A proposito de Il disprezzo per i poveri di Joseph Townsend. “Contro i poveri anche il liberismo inglese del XVIII secolo”. Gli Editori Riuniti con un saggio introduttivo di uno studioso di economia degli investimenti ripropongono Due scritti sulle radici dell’avversione liberista contro lo stato sociale del reverendo britannico. I due pamphlet, rispettivamente la Dissertazione sulle leggi per i poveri da parte di un sostenitore dell’umanità e le Osservazioni su vari piani per il sostegno ai poveri offerti al pubblico – scrive Sechi nella sua premessa “Furono composti tra il 1786 e il 1788, ed ebbero come tema comune i costi (in termini di incremento del prelievo fiscale) che comportava la legislazione volta a mitigare il micidiale impoverimento che fece seguito all’inizio della rivoluzione industriale”.
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Si può dire che storicamente l’assistenza dei poveri, cioè quella forma di Welfare State che nel XVIII secolo fu la Poor Law, dai conservatori del Regno Unito fu vissuta come un freno allo sviluppo economico? Un po’ come ritengono i critici del reddito di cittadinanza nostrano.
Gli Editori Riuniti, nella traduzione di Mattia Lungarella, hanno offerto al pubblico due pamphlet del reverendo Joseph Townsend che vengono presentati in copertina non col loro titolo originario, ma con una sintesi brutale ma efficace Il disprezzo per i poveri.
Furono composti tra il 1786 e il 1788, ed ebbero come tema comune i costi (in termini di incremento del prelievo fiscale) che comportava la legislazione volta a mitigare il micidiale impoverimento che fece seguito all’inizio della rivoluzione industriale.
Uno studioso di economia e in particolare degli investimenti come Raffaele Lungarella nel suo saggio introduttivo al volume ha collocato in una prospettiva storica la vicenda. Ne è derivata una riflessione che si distende fino alle soglie dell’attualità.
Salvatore Sechi. Come definiresti questi saggi del reverendo Townsend?
Raffaele Lungarella. Sono due saggi “di lotta” con cui il loro autore si proponeva di influenzare il dibattito sulle sorti della società del suo tempo. Il primo si intitola Dissertazione sulle leggi per i poveri da parte di un sostenitore dell’umanità. Nel 1786 uscì anonimo, ma un anno dopo il nome di Townsend fu reso pubblico. Il pamphlet conteneva una critica serrata delle leggi (l’importante Poor Law) in base alle quali i poveri erano aiutati a sopravvivere. Egli proponeva la totale abolizione di quelle leggi. Una posizione ritenuta troppo radicale anche nella prefazione che nel 1817 l’ex premier (dall’11 febbraio 1805 al 31 marzo 1807) William Wyndham Grenville fece alla riedizione del pamphlet.
Salvatore Sechi. Il secondo che recava il titolo di Osservazioni su vari piani per il sostegno ai poveri offerti al pubblico su cosa era incentrato?
Raffaele Lungarella. È un esame delle proposte, avanzate da diversi autori, per contenere la diffusissima indigenza da cui risultò a lungo afflitto il Regno Unito. Erano proposte per riformare le leggi esistenti anche molto differenti una dall’altra. L’attenzione di Townsend si appunta sui loro costi; egli contesta che internare i poveri in case di lavoro faccia risparmiare.
Salvatore Sechi. Ma non sembra che alle Osservazioni sia arriso un grande successo.
Raffaele Lungarella. Undici anni dopo la pubblicazione del primo lavoro di Townsend, George Eden, in una delle numerose appendici della sua monumentale opera sulla condizione dei poveri, elencò duecentosettanta opuscoli e documenti pubblicati tra il 1524 e il 1797. La produzione pubblicistica sull’argomento si intensificò soprattutto nella seconda metà del Settecento: dal 1750 i nuovi scritti sull’argomento, elencati da Eden, furono quasi centosessanta. Forse anche a causa di una così copiosa letteratura, a opera anche di importanti protagonisti della vita politica e culturale dell’epoca, le Osservazioni non trovarono addirittura posto nella lista di Eden.
Salvatore Sechi. Forse, tirando un bilancio, si può dire che i due pamphlet di Townsend pur essendo stati dei precursori in fatto di critica alle politiche di sostegno ai poveri, vegetano in un cono d’ombra?
Raffaele Lungarella. Ancora oggi non sono tanti gli studi sui due scritti di Townsend che è possibile consultare e continuano a essere sostanzialmente sconosciuti. La Dissertazione è citata di rimando grazie ad un altro pastore protestante, cioè a Thomas Robert Malthus, e alla teoria della popolazione, che la cita nella sua seconda edizione del 1803 del suo Saggio sul principio di popolazione.
Salvatore Sechi. E Marx?
Raffaele Lungarella. Marx elenca Townsend tra gli autori plagiati da Malthus. Ma gli riserva un’opinione non migliore di quella manifestata su Malthus.
Salvatore Sechi. Perché le idee sulla popolazione rintracciabili in Townsend non ebbero il successo e la diffusione di quelle di Malthus?
Raffaele Lungarella. Mancò loro la cornice storico-politica post-rivoluzione francese, in cui venne a collocarsi il Saggio malthusiano, che necessitava di argomenti per «soffocare col fatto demografico l’idra rivoluzionaria», come scrisse il nostro Achille Loria. Inoltre, le affermazioni sulla popolazione, rintracciabili soprattutto nella Dissertazione, non sono sufficientemente sviluppate per costruire su di esse una teoria esplicativa delle relazioni tra il fattore demografico e le altre variabili socio-economiche.
Salvatore Sechi. Il centro dell’interesse di Townsend era, quindi, una radicale critica alla strumentazione del welfare state del suo tempo, cioè della poor law, e alle conseguenze prodotte dalla sua applicazione?
Raffaele Lungarella. Si indubbiamente. Sebbene se, a dire il vero anche questo suo, certamente prioritario, interesse, non gli è valsa grande attenzione nella letteratura sull’argomento. Voglio dure che si rinvengano solo sporadici richiami a Townsend in saggi e articoli che si occupano di quella legislazione inglese di sostegno ai poveri.
Salvatore Sechi. Però e, facciamo un bel salto avanti, la Dissertazione di Townsend non è trascurata da Karl Polanyi nella sua La grande trasformazione, uscita in Italia nel 1974.
Raffaele Lungarella. Si è Vero. Nella sua ricostruzione del processo che portò il mercato a rendersi autonomo dalla società, lo storico austriaco individuò nel teorema della lotta per la sopravvivenza delle capre e dei cani, che Townsend pone al centro della sua costruzione concettuale, una radice del paradigma secondo cui il soddisfacimento dei bisogni degli uomini soccombe alle esigenze dell’economia nel sistema capitalistico.
Salvatore Sechi. Sono passati quasi due secoli e mezzo da quando i due pamphlet furono pubblicati per la prima volta. Perché pubblicarli nuovamente oggi? Cosa possono dirci?
Raffaele Lungarella. Vale la pena leggerli anche oggi. Hanno una loro attualità perché possono aiutarci a interpretare alcune concezioni ideologiche e posizioni politiche. Probabilmente i liberisti più radicali non hanno una consapevolezza che la loro avversione per le politiche pubbliche, che costituiscono un indispensabile intervento per fronteggiare i danni sociali e umani prodotti dall’economia di mercato, inizio a maturare già nel Settecento, e che un protagonista di quell’elaborazione fu l’autore dei due pamphlet di cui stiamo parlando. La loro lettura ci aiuta a capire quanto antiche siano le argomentazioni cui si rifanno le posizioni contemporanee di più radicale rifiuto del welfare state.
Salvatore Sechi. Però quelle posizioni sono diffuse. Perché sono tanto diffuse e radicate le correnti di pensiero e le forze politiche che non vedono di buon occhio, e anche sono fieramente contrarie, alle politiche di solidarietà attuate dalle autorità pubbliche?
Raffaele Lungarella. Ma è diffusa anche la povertà, anche se nel tempo le sue forme sono profondamente cambiate; sono cambiati anche i soggetti che la soffrono. Però, i poveri ci sono ancora, anche nelle società nel complesso ricche. Il mercato da solo ha dimostrato di non riuscire a garantire a tutti condizioni di vita dignitose. In una nota della mia introduzione ai due pamphlet cito un economista di scuola neoclassica, Alfred Marshall, secondo cui,
«Ora finalmente ci siamo posti sul serio a studiare se sia proprio necessaria l’esistenza delle cosiddette “classi inferiori”; se cioè sia indispensabile l’esistenza di un gran numero di persone condannate fin dalla nascita a un duro lavoro, allo scopo di provvedere alle altre [persone n.d.c.] i mezzi necessari per condurre una vita raffinata e intellettualmente elevata, mentre la povertà e la fatica impediscono a quelle di avere alcuna parte in quella vita».
Se non per ragioni di principio è poco comprensibile l’avversione di un certo liberismo radicale verso politiche pubbliche che si propongono di diffondere il benessere anche alle classi meno agiate. A meno di non pensare, come erroneamente riteneva Townsend, che l’esistenza di masse di poveri sia necessaria per la sopravvivenza del capitalismo.