Il punto di vista

Democrazia Futura. Considerazioni preliminari sull’attuale conflitto e sulle ipotesi in campo per approdare ad una sua risoluzione

di Giorgio Pacifici, sociologo, saggista e docente universitario |

La pace è possibile? Ma a quali condizioni? E quali nuovi equilibri mondiali nascerebbero? Il punto di vista di Giorgio Pacifici.

Partendo dal webinar di geopolitica con Lucio Caracciolo dedicato al tema de “La pace in ucraina: a quali condizioni e con quale impatto sugli equilibri politici mondiali: Russia, Cina, Stati Uniti, Gran Bretagna, Unione europea e Italia“, Democrazia Futura inizia la pubblicazione di un dossier con alcune “Considerazioni preliminari sull’attuale conflitto e sulle ipotesi in campo per approdare ad una sua risoluzione” scritte da Giorgio Pacifici. “Per definizione chi si propone di mediare deve essere percepito come “equidistante” o almeno “non troppo vicino” a una delle parti. Deve essere indubbiamente autorevole ma non così “pesante” che il suo ruolo divenga incombente sulle parti in conflitto. A meno che… A meno che – aggiunge Pacifici – non ci sia un bilanciamento tra diversi mediatori possibili, all’interno di un “gruppo di possibile mediazione”. Per la creazione di un gruppo di questo genere deve esserci l’esplicito consenso delle parti in conflitto”. Da qui le tre ipotesi formulate dal sociologo, ovvero sconfitta della Russia, sconfitta dell’Ucraina, e una terza ipotesi di un esito del conflitto non negoziato dagli Stati Uniti: un esito siffatto “con una pace diversa da quella desiderata potrebbe voler dire rassegnarsi ad essere inevitabilmente la seconda potenza mondiale. Dietro a una Cina sempre più aggressiva su tutti gli scacchieri internazionali”.

A quali condizioni una pace possibile

Giorgio Pacifici
Giorgio Pacifici

Credo che la prima condizione – anzi la precondizione – debba consistere nell’esistenza di una reale volontà delle parti in conflitto di arrivare alla pace, condizione per ora non verificata.

La seconda condizione non meno importante è rappresentata dalla concreta esistenza di un mediatore possibile di questa pace. La telefonata di Xi Jinping e la missione del presidente della Conferenza Episcopale Italiana Cardinale Zuppi sono segnali importanti, ma non hanno costituito un punto di svolta…

Per definizione chi si propone di mediare deve essere percepito come “equidistante” o almeno “non troppo vicino” a una delle parti. Deve essere indubbiamente autorevole ma non così “pesante” che il suo ruolo divenga incombente sulle parti in conflitto.

A meno che…

A meno che non ci sia un bilanciamento tra diversi mediatori possibili, all’interno di un “gruppo di possibile mediazione”. Per la creazione di un gruppo di questo genere deve esserci l’esplicito consenso delle parti in conflitto.

Personalmente, e lo scrissi in una breve nota su questa rivista sin dall’inizio dell’“operazione militare speciale”, ritengo che questa sia la soluzione a cui si arriverà. Non facilmente, non a breve. Manca soprattutto il quid su cui mediare dal momento che le parti in conflitto per il momento non pongono nessun oggetto sul banco della trattativa. Compilare in questa tarda primavera 2023 un elenco dei Paesi che potrebbero far parte di un gruppo di mediazione mi sembra quindi un esercizio calligrafico e sinceramente inutile. Forse può valer la pena di cominciare a pensare all’India così autorevolmente isolata nelle posizioni che ha finora assunto.

Quale impatto della pace sugli equilibri mondiali

Prevedere l’impatto sugli equilibri mondiali di una possibile pace è a mio avviso ancora più arduo, in quanto occorre prima cercare di prevedere quali potranno essere i cambiamenti, gli spostamenti di forze all’interno di ciascuno dei grandi Paesi. Come sociologo forse è proprio l’aspetto che mi interessa di più.

Il libro di Orietta Moscatelli Putin e putinismo in guerra, con la intelligente prefazione di Lucio Caracciolo, proprio all’inizio del conflitto[1], aiuta a far chiarezza là dove invece molti commentatori occidentali ci hanno fornito informazioni non proprio corrette. La lotta tra la burocrazia ministeriale russa, i vertici delle forze armate, gli alti gradi dell’esercito presenti sul campo, i servizi di informazione, le compagnie di mercenari, sembra ancora agli inizi e molto del suo esito dipenderà dai risultati dei combattimenti in corso. La chiesa ortodossa, prima ancora che i nouveaux philosophes nazionalisti, sembra l’unico vero grande alleato di Vladimir Putin in questa lotta per l’avvenire della Russia.

Probabilmente quello che inizialmente è stato descritto al grande pubblico come un contrasto sull’utilizzo delle forniture militari, rappresenta un pesante strascico di vecchi conti in sospeso tra gruppi socio-economici con interessi diversi. Intanto i combattimenti si fanno sempre più aspri e sempre più simili a una riedizione tecnologica della Prima Guerra Mondiale.

Ipotesi 1 sconfitta della Russia

Per la Russia, una sconfitta totale potrebbe aprire un periodo di lotte intestine molto cruente con esiti estremamente negativi per gli equilibri mondiali. Può essere inutile scomodare la memoria dei vecchi generali bianchi, Anton Denikin, Pëtr Wrangel, Nikolaj Judenič, ma dei signori della guerra sono sempre disponibili (in agguato) in ogni paese, in qualsiasi circostanza storica. La Russia sconfitta potrebbe non sentirsi più impero, cosa essenziale per l’anima russa, e quindi frammentarsi prima ancora spiritualmente che sul piano geopolitico

Ipotesi 2 sconfitta dell’Ucraina

Viceversa la sconfitta dell’Ucraina, come è stato autorevolmente sottolineato, potrebbe significare l’inizio di un periodo di disgregazione dell’Unione Europea e dell’Alleanza occidentale.

E qui sarebbe il caso di dare una risposta alla domanda, intelligente ma impossibile, su chi manovra i servizi ucraini. Penso che molti collaboratori di questa rivista e partecipanti ai nostri seminari ne sappiano più di me. Vorrei solo osservare che gli inglesi sembrano gli unici ad avere percepito la reale posta in gioco in questo conflitto.

Ipotesi 3 il peso della guerra sulla futura leadership americana

Non è forse neppure il caso di accennare a tutti gli errori commessi dalla Presidenza di Joe Biden, sempre puntigliosamente in ritardo rispetto ad ogni richiesta, (sia proveniente dai suoi consiglieri, sia dai suoi “alleati”), ciò che potrebbe avere un riflesso molto negativo non soltanto sull’esito del conflitto, ma anche su chi aspira a ricoprire un secondo mandato.

Per gli Stati Uniti un esito della guerra non negoziato con una pace diversa da quella desiderata potrebbe voler dire rassegnarsi ad essere inevitabilmente la seconda potenza mondiale. Dietro a una Cina sempre più aggressiva su tutti gli scacchieri internazionali.

Naturalmente, va ricordato che negli Stati Uniti, il 2024 è anno di elezioni presidenziali. E che l’atteggiamento dei candidati repubblicani e, in particolare di Donald Trump, sulla guerra sarà un fattore che potrà incidere, più che sulla scelta degli elettori americani (cha paiono distanti non solo geograficamente dal teatro bellico), sugli esiti del conflitto. Trump continua a sostenere di essere l’unico a poter trattare con Vladimir Putin, perché lo conosce bene, sa come trattare con lui e perciò è l’unico in grado di negoziare realisticamente con il presidente russo.

Sarà Donald Trump a poter decidere il disimpegno americano dal conflitto?


[1]Orietta Moscatelli, Putin e putinismo in guerra, Roma, Salerno editrice, 2022, 160 p.

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