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Democrazia Futura. Come scovare i falsi nella ricostruzione e interpretazione dei fatti storici

Lorenza Pozzi Cavallo, giornalista d’inchiesta e analista politica esperta di intelligence, in un articolo per Democrazia futura “Come scovare i falsi nella ricostruzione e interpretazione dei fatti storici”, mette in luce quella che definisce “La crucialità degli archivi per ricostruire senza inganni la memoria storica nell’era digitale”. “[…] la mancanza di gerarchia tra le informazioni e, quindi, il venir meno del principio di autorità, – osserva Lorenza Pozzi Cavallo – rendono l’utente più “indifeso” di fronte a una tale massa di “notizie” e ai social: per restare nel campo storico, accanto a siti autorevoli e scientificamente documentati si trova una congerie di siti privi di ogni indicazione di fonti certe. Tornerebbe utile l’antica, fondamentale distinzione dei filosofi greci tra opinione e conoscenza, tra doxa e epistème, non più o difficilmente percepibile quando si lancia una ricerca su Google. L’immensa massa di dati presenti nella Rete crea spesso l’illusione che ciò che il motore di ricerca non trova sia del tutto inesistente nella realtà: ancora una volta il virtuale sembra cancellare il reale; ancora una volta la necessità di consultare le carte fisiche, analizzare il loro rapporto con gli altri documenti dell’archivio, legati da quel vincolo archivistico che li unisce logicamente, si impone ai fini di una seria ricerca”.

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È cosa consueta in ogni situazione, dagli autobus ai ristoranti, quella di persone intente a consultare il proprio smartphone, incuranti di ciò che li circonda. Fenomeno oggetto di innumerevoli studi, di articoli di stampa, aspetto esteriore di una profonda trasformazione delle nostre società. Una rivoluzione tecnologica che, come altre in passato, ha mutato radicalmente i rapporti economici e sociali. L’immensa ampiezza della rete digitale nella quale si naviga quotidianamente ha visto negli ultimi anni un ulteriore balzo in tale sviluppo tecnologico inusitato: miliardi di persone raggiungono ogni genere di informazione proprio attraverso l’utilizzo dello smartphone. 

“Siamo quindi sempre più obbligati a usare una macchina opaca e infedele, che crea dipendenza e problemi fisici e psicologici, capace di essere uno strumento di sorveglianza intrusivo e pervasivo”

come è affermato nel recente volume di Juan Carlos De Martin[1].

Come è noto la Rete si è caratterizzata dalla difficoltà di distinguere in modo netto tra conoscenza e comunicazione, dall’assenza di gerarchia tra i miliardi di informazioni presenti: in tutti i campi, dalla vita quotidiana, ai rapporti interpersonali, alla politica, fino alla ricerca e alla letteratura, le trasformazioni apportate dalla rivoluzione digitale – ormai in atto da quasi cinquant’anni – sono imponenti. Interrogandosi su come Italo Calvino, scomparso agli albori di tale mutamento, avrebbe potuto reagire all’era digitale, Ernesto Ferrero, nella sua biografia dello scrittore, redige un elenco parziale, ma pur significativo, delle mutazioni:

“la smaterializzazione dei dati, affidati a remote “nuvole” di immensi computer; […] il massiccio trasferimento in rete delle enciclopedie, dei repertori d’informazione; […] le false aggregazioni, le nuove solitudini, le aggressività e i rancori rivelati dai social; il narcisismo dei selfie e la sempre più ridotta capacità d’ascolto, gli spazi offerti alle mistificazioni, alle menzogne, alla costruzione di “falsi” sempre più sofisticati e dunque convincenti”[2].

Quest’ultimo aspetto è quello che più direttamente coinvolge gli archivi e il loro utilizzo rivolto alla ricostruzione e all’interpretazione dei fatti storici, antichi o contemporanei.

Non che la diffusione del Web sia fenomeno negativo, in passato è stata paragonata al rivolgimento introdotto dall’invenzione della stampa ma tale paragone non considera che i documenti cartacei, nella forma e nel contenuto, sono del tutto controllati dal loro produttore, mentre in rete forma e contenuto possono essere modificati da tutti coloro che sono coinvolti nella comunicazione, si pensi a Wikipedia.  È certamente una forma di “democratizzazione” e diffusione dei saperi, tuttavia il loro utilizzo e la loro produzione pongono con forza la questione della attendibilità.

La possibilità, poi, di diffondere “false notizie” è molto ampliata e difficilmente individuabile dagli utenti: per fare un esempio si consideri l’operazione d’influenza in Francia, operata da gruppi russi creando “sosia” di siti di importanti testate giornalistiche che riportavano dati e avvenimenti falsi sulla guerra in Ucraina[3].

Certamente anche gli archivi sono stati interessati dalla rivoluzione digitale: percorrendo i siti dei grandi archivi nazionali – e non solo -, dagli Stati Uniti, alla Francia alla Gran Bretagna o l’Archivio centrale dello Stato in Italia, i ricercatori e ogni persona interessata può agevolmente consultare gli inventari e un gran numero di fondi documentali digitalizzati o, presso i Bundesarchiv in Germania, visionare le imponenti raccolte fotografiche. Grande facilità per i ricercatori e gli utenti di ogni parte del mondo, ma si impongono almeno due ordini di problemi. In primo luogo la mancanza di gerarchia tra le informazioni e, quindi, il venir meno del principio di autorità, rendono l’utente più “indifeso” di fronte a una tale massa di “notizie” e ai social: per restare nel campo storico, accanto a siti autorevoli e scientificamente documentati si trova una congerie di siti privi di ogni indicazione di fonti certe. Tornerebbe utile l’antica, fondamentale distinzione dei filosofi greci tra opinione e conoscenza, tra doxa e epistème, non più o difficilmente percepibile quando si lancia una ricerca su Google. L’immensa massa di dati presenti nella Rete crea spesso l’illusione che ciò che il motore di ricerca non trova sia del tutto inesistente nella realtà: ancora una volta il virtuale sembra cancellare il reale; ancora una volta la necessità di consultare le carte fisiche, analizzare il loro rapporto con gli altri documenti dell’archivio, legati da quel vincolo archivistico che li unisce logicamente, si impone ai fini di una seria ricerca.

Oltre a ciò, il documento citato nelle note di un testo, secondo l’uso, permette a ogni lettore/utente il controllo della fonte. Operazione imprescindibile per ogni ricostruzione del passato. E qui il ruolo degli archivi, pubblici o privati, non può che essere centrale, non solo per l’accuratezza scientifica degli studi storici, ma anche per contrastare le forme di disinformazione presenti nei media: quando, e non è infrequente, nella stampa quotidiana o periodica, si affrontano avvenimenti di una storia più o meno recente con un uso distorto di fonti, si riprendono pareri e giudizi, o meglio pre-giudizi, ideologici o di altra natura, senza verifica: disinformazione non meno pericolosa di quella russa citata prima. E la corretta informazione è tra i fondamenti della democrazia poiché si tratta della possibilità di essere cittadini consapevoli.

 È possibile solo un cenno alle questioni sollevate dall’avvento dell’Intelligenza artificiale, che occupa spazi nel dibattito pubblico, e ai problemi etici e epistemologici affrontati in molti studi e ricerche. Per ciò che riguarda il nostro argomento basta notare che un sistema artificiale di intelligenza non può conoscere altro che ciò che l’intelligenza umana gli sottomette. Di qui l’esigenza che dati in rete sempre più certificati: ha fatto scalpore sui giornali la notizia della condanna di avvocati statunitensi che avevano prodotto sentenze inesistenti, create dall’IA a sostegno della loro tesi processuale.

Infine, resta una domanda di fondo: la grande massa dei “navigatori” del Web ha strumenti critici in grado di valutare ogni informazione? Di porsi e di rispondere alle classiche domande: Chi? Come? Quando? Dove? Perché? È improbabile; torna ancora una volta il problema della formazione e il ruolo dell’educazione e della scuola. Da un lato l’utilizzo della Rete in un insegnamento che abbia come obiettivo non l’uso dello strumento elettronico come fruitori, addestrati a essere clienti e consumatori passivi; dall’altro, anche attraverso questi strumenti, la creazione dello spirito critico, certamente non assicurato, talvolta anche psicologicamente dannoso, dalla comunicazione dei vari social.


[1]Juan Carlos De Martin, Contro lo smartphone. Per una tecnologia più democratica, add editore, Torino 2023, p. 170. De Martin è ordinario di Ingegneria Informatica al Politecnico di Torino, dove ha fondato nel 2006 il Centro Nexa su Internet e società.

[2] Ernesto Ferrero, Italo, Giulio Einaudi editore, Torino 2023, pp. 164-65.

[3] “Infox: Paris dénonce l’ingérence russe. L’opération “Doppelganger” a produit des faux sites officiels et des faux articles de médias, dont Le Monde”, Le Monde, 15 giugno 2023, p. 4.

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