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Democrazia Futura. Come caricare il primo tomo HERMES del dodicesimo fascicolo

Il primo tomo 12/A HERMES Storie di geopolitica. Mondo-Europa-Italia del dodicesimo fascicolo di Democrazia futura dell’autunno 2023 (anno III (12), ottobre-dicembre 2023, pp. 1411-1678), è finalmente caricabile ai seguente link:  http://digital.casalini.it/5855914.

Cosa offre HERMES prima parte di questo dodicesimo fascicolo

Presentazione. Questo numero

Nel suo editoriale “Per una nuova sovranità politica di fronte all’escalation delle guerre e allo strapotere della tecnoscienza”[1] Bruno Somalvico invita vecchie e nuove potenze a ricomporre i numerosi contenziosi che conosce attualmente il nostro pianeta attraverso la via della politica e quella della diplomazia. A quasi cinquant’anni dalla firma dell’Atto finale della Conferenza che pose fine alla guerra fredda dopo quasi tre decenni, per il direttore editoriale di Democrazia futura occorre “Ribadire lo spirito di Helsinki” di cui l’autore ripropone l’elenco dei dieci principi approvati nel 1975 e che rimangono di grande attualità guardando ai due principali conflitti in Ucraina e a Gaza. “Mai come in questa fase drammatica della storia di questo ventunesimo secolo occorre difendere le ragioni dell’Occidente, i suoi valori e principi, e al contempo, creare le condizioni perché continui ad essere in grado – come nel Novecento – di difendere la democrazia e combattere ogni forma di totalitarismo ma anche e soprattutto di incidere sul piano diplomatico e militare sulla scena internazionale”. In secondo luogo, per “Restituire lo scettro del primato della politica” suggerisce di “Creare una task force politica contro le intrusioni del mondo economico e della tecnoscienza”

Il mondo in guerra visto da Salvatore Sechi, Lo storico contemporaneo sardo nel suo editoriale per Democrazia Futura “Un clima di guerra sull’uscio di casa”[2] in apertura del primo tomo Hermes, dedicato alla geopolitica, del dodicesimo fascicolo traccia un quadro della situazione politica internazionale a due anni esatti dalla invasione russa dell’Ucraina e a quattro mesi e mezzo dall’attacco sanguinario di Hamas che ha dato vita ad un secondo conflitto in Medio Oriente con segnali pericolosi di rischi di estensione in tutta l’area. “Purtroppo, c’è una grande resistenza a renderci conto che il sistema democratico è sotto attacco, e arretra, su scala planetaria ormai – sottolinea lo storico sardo -. Non solo da parte di chi non l’ha mai amato, e anzi l’ha sempre osteggiato come Russia e Cina, ma anche al proprio interno, a cominciare dagli Stati Uniti”. Diminuisce la percentuale di popolazione che vive in regimi pienamente democratici.

Parte prima HERMES Storie di geopolitica. Mondo – Europa – Italia

Mondo

Una riflessione di Stefano Rolando, docente di Comunicazione pubblica e politica alla Università IULM (Milano), condirettore di Democrazia Futura e membro del comitato direttivo di Mondoperaio, apre la sezione Mondo con un articolo dal titolo “L’anno che finisce. Le sei dominanti del 2023”[3]. E le sei dominanti, secondo l’autore, sono «l’anno del governo Meloni. Condito in salsa nazionalista, spesso con restauro di vecchi merletti e poca innovazione»; «le guerre a tenaglia ai lati dell’Europa» e «in mezzo l’Europa, che va alle elezioni nel 2024, con due strategie contrapposte»; la «paura per il futuro dell’America»; «la società italiana nella annuale lettura del Censis», secondo cui il 2023 vedrebbe gli italiani trasfigurare in un popolo di sonnambuli»; «la «questione giovani e questione donne»; e infine «l’evoluzione complessa della trasformazione digitale che chiamiamo Intelligenza Artificiale».

Giampiero Gramaglia, giornalista ed ex direttore dell’Ansa, in “Il 2024 l’anno di tutte le elezioni, circa tre miliardi coinvolti”[4] annota le date più importanti per seguire le elezioni che si terranno nel resto del mondo, dalla Russia all’India e dai Paesi UE alle Americhe, nei prossimi 12 mesi, ricordando tuttavia che «sul calendario del 2024, tutti i giorni sono rosso guerra, perché le date della pace, in Medio Oriente e in Ucraina, nessuno è in grado di scriverle ora e nessuno sa neppure se arriveranno», aggiungendo «sperare è sterile, se non ci sono azioni positive per innescare cessate-il-fuoco e negoziati; e, al momento, non se ne vedono». Russia, in India, nell’Unione europea e negli Stati Uniti d’America. Si conclude con un elenco delle data da ricordare in questo 2024».

L’avvio della corsa alle presidenziali USA 2024

Ancora Giampiero Gramaglia in un articolo scritto a 365 giorni dal voto per le prossime elezioni presidenziali negli Stati Uniti d’America, “Fra un anno esatto americani al voto”[5], mette in evidenza alcuni punti salienti della campagna in corso, suddivisi in sette capitoli. Iniziando dal primo “La corsa all’investitura”, in cui è delineata in Joe Biden la figura di «un candidato fragile, per l’età e perché la sua popolarità è attualmente piuttosto bassa», oltre a trovarsi unico in corsa nel campo democratico, mentre è «molto più numeroso il lotto degli aspiranti repubblicani, fin qui dominato, nei sondaggi, da Trump». Osserva che tra i sette «rivali che restano in pista i più in vista sono il governatore della Florida Ron DeSantis, 45 anni, una campagna partita in fanfara, ma che s’è rapidamente impantanata; e l’ex governatrice della South Carolina, ed ex rappresentante degli Usa all’Onu, Nikki Haley, 51 anni, l’unica donna, la cui campagna, invece, trova consensi crescenti, anche alla luce delle sue performances nei due dibattiti finora svoltisi». Seguono le sei parti: “Assist a Donald Trump. La Corte Suprema degli Stati Uniti non si pronuncia sull’immunità”; “Via alle primarie come tradizionalmente nello Iowa”[6]; “Caucus Iowa: Trump stravince, DeSantis meglio di Haley”; Ron DeSantis lascia la corsa per la nomination repubblicana”[7]; “Trump vince pure nel New Hampshire, Haley per ora non molla” e “La guerra in Medio Oriente entra in campagna elettorale con i primi morti”[8].

Uno scontro sempre più aspro: incognite conseguenze nello scacchiere mediorientale

La questione mediorientale, giustappunto, agita non solo le primarie americane, ma anche le coscienze occidentali. Ne scrive Beppe Attene, autore, sceneggiatore e manager audiovisivo, già responsabile della produzione di Cinecittà, nell’articolo dal titolo “L’antisemitismo dopo il 7 ottobre 2023”[9], articolato in due parti, “A macchia d’odio” e “Noi, tutti ebrei”. Si tratta di una profonda riflessione, scritta per Ilmondonuovo.club, a un mese dal 7 ottobre 2023, sulle ragioni dell’esplosione di antisemitismo, non solo i Europa, che sembravano appartenere al passato. Sostiene Attene che «oggi l’antisemitismo si può nutrire di ulteriori e devastanti fattori. Unificare in un unico quadro di disprezzo e paura gli Ebrei abitanti in Israele con tutti quelli residenti nelle altre Nazioni è un’attrattiva troppo ghiotta e spiega quel che sta avvenendo nelle nostre piazze e nei nostri raffinati circoli intellettuali. Rende possibile fingere di dimenticare l’aggressione del 7 ottobre 2023 da parte di un soggetto armato che ha come scopo statutario la distruzione di Israele e degli Ebrei. Rende possibile sostenere gli assassini di Hamas (che opprimono e utilizzano il Popolo Palestinese) nella loro alleanza con regimi antidemocratici e sanguinari. Per la prima volta nella Storia l’odiatore antiebraico può credere di vedere e combattere il proprio supposto nemico nella sua completezza: uno Stato Ebraico, i grandi poteri economici ebraici, le rendite politiche e culturali dell’Ebraismo in tutto il mondo. La paranoia può nuovamente manifestarsi e agire».

Cecilia Clementel Jones, psichiatra e psicoterapeuta, in dissenso con la linea della rivista di ferma condanna dell’attacco perpetrato da Hamas contro Israele il 7 ottobre e di “sostegno incondizionato a Israele”, aderendo alle tesi espresse dal Segretario generale dell’ONU, invita a perseguire i tentativi per approdare ad «un’immediata e duratura tregua che permetta l’ingresso di aiuti umanitari sufficienti per la popolazione, la prosecuzione di trattative per gli ostaggi (in atto con la mediazione del Quatar) e la ricerca di una soluzione diplomatica. La tesi ‘sostegno incondizionato a Israele’ di quasi tutto l’arco politico occidentale, Biden in testa, costituisce collusione con pulizia etnica ed eventuale genocidio a Gaza». In “Guerra per l’umanità. Il bene vincerà. Parere in dissenso”[10], Clementel Jones mette il dito nella piaga della disumanità del conflitto, interrogandosi sulle violazioni dei diritti umani da entrambe le parti.

Gianluca Veronesi, già direttore della Comunicazione e della Relazioni esterne della Rai, in “Non è un derby. La tragedia di Gaza dopo la strage in Israele e lo stupido ‘tifo’”[11], in merito al conflitto mediorientale, considera con una certa amarezza che, di fronte alla scandalosa «reazione dell’opinione pubblica che ha trattato la questione come fosse un derby calcistico […], nella partita Israeliani contro Palestinesi non può esserci un vincitore perché non c’è un colpevole e una vittima. Entrambi sono colpevoli e vittime». Per terminare con un auspicio e una proposta: «due derby differenti: Palestinesi contro Hamas e Israeliani contro Netanyahu».

Al di là delle opinioni e della analisi, la dura realtà dei fatti è riassunta da Giampiero Gramaglia nel lungo articolo, suddiviso in tredici parti, dall’eloquente titolo “Gli effetti devastanti della guerra tra Israele e Hamas. Nonostante l’intensificarsi delle azioni diplomatiche”[12]. Raccogliamo anche in questa occasione le “corrispondenze di guerra” che hanno spostato verso il Medio Oriente l’attenzione degli osservatori rimasta per diciotto mesi focalizzata sul conflitto in Ucraina. Si inizia, in “Gaza completamente accerchiata: gli Stati Uniti chiedono ‘pause’”, dai cruenti scontri avvenuti nella notte fra il 2 e il 3 novembre e dall’ennesima missione del segretario di Stato statunitense Anthony Blinken. Nel secondo pezzo del 6 novembre, “Una strage di cui non si intravede la fine”, Gramaglia sottolinea come «il conflitto è già divenuto il più sanguinoso mai combattuto dalla nascita dello Stato di Israele, 75 anni or sono; e non se ne intravvede ancora la fine». Nella sua terza corrispondenza “Netanyahu, le mani su Gaza”[13], scritta il 9 novembre l’autore analizza la fase degli scontri sul terreno. «La strategia di Netanyahu di restare nella Striscia non è però condivisa dagli Stati Uniti e suscita molte critiche anche in Israele». Seguono la quarta corrispondenza, “Tregue di quattro ore per esodo e aiuti”[14], la quinta, “Ospedali epicentro dei combattimenti”[15], la sesta, “Un barlume di speranza per un accordo sugli ostaggi”, a cui si riconnette direttamente la settima corrispondenza: “Biden si prodiga per Abigail, bimba ostaggio di quattro anni liberata a Gaza”[16]. L’ottava parte, “La tregua prorogata di due giorni con la mediazione di Qatar ed Egitto. Onu e Ue fuori dai giochi” precede logicamente la nona: “Tregua ancora prolungata. La pace resta lontana mentre la Cina si muove”. Infine, la decima parte, “Il sud della striscia di Gaza sotto attacco a due mesi esatti dall’attacco di Hamas” e l’undicesima, “L’Onu non chiede tregua, solo più aiuti. La strage a Gaza continua”[17], per concludersi con la dodicesima, “Speranza di pace, notizie di morte”, scritta il 3 gennaio del 2024, dove si aggiornano i numeri di un’immane tragedia, non senza rievocare le ripercussioni sul fronte interno israeliano. L’articolo si conclude con la tredicesima parte, scritta il 10 gennaio 2024, “Proseguono i movimenti diplomatici, ma continua la conta dei morti”, nella quale Gramaglia affronta i riflessi del conflitto negli Stati Uniti e i rischi di allargamento nello scacchiere mediorientale.

Due fronti bellici principali e il rischio di allargamento dei conflitti in un quadro ad alta tensione

Ancora Giampiero Gramaglia in “La situazione sui due principali fronti bellici alla fine del 2023. Un quadro decisamente preoccupante con opinioni pubbliche distratte da scadenze elettorali”[18] riassume la situazione sui due principali fronti bellici in tre parti. Le prime due relativa all’Ucraina, “Con un fronte statico verso un nuovo inverno di guerra in Ucraina” e “Incrinature e stanchezze nel campo occidentale”, la terza su entrambi i fronti, quello mediorientale e ucraino: “Gaza, la speranza è un voto dell’Onu. Ucraina, aiuti in stallo”. Secondo l’ex direttore dell’Ansa «mentre la diplomazia celebra i suoi riti, i conflitti vanno avanti, letali e cruenti. In Ucraina, lo stallo al fonte, imposto dal Generale Inverno, è scandito ogni notte da bombardamenti russi su obiettivi militari e infrastrutturali ucraini, specie con missili e droni. In 22 mesi, dal 24 febbraio 2022 a oggi, l’invasione ha complessivamente fatto centinaia di migliaia di caduti sui due fronti – le cifre fornite dalle due parti sono diametralmente opposte e reciprocamente inattendibili. Nelle stime dell’Onu, le vittime civili sono circa 10 mila, oltre a milioni di profughi in fuga dal conflitto». In quanto al Mediterraneo orientale, aggiunge Gramaglia, «le cronache dalla Striscia restano fitte di episodi cruenti. In 75 giorni di guerra, quasi 20 mila palestinesi sono stati uccisi – per il 70 per cento donne e bambini; i soldati israeliani caduti sono circa 140. Circa un abitante di Gaza su cento è morto nel conflitto, il 60 per cento delle abitazioni sono andate distrutte». Concludendo che «le condizioni nella Striscia sono “orribili”; Gaza è “un incubo vivente” e “un cimitero di bambini”».

Lo stesso Giampiero Gramaglia in “Biden vede Xi, passi avanti e dialogo ‘molto costruttivo e produttivo’”[19] cambia scenario passando al vertice Apec di San Francisco del novembre scorso, in cui è emerso, dopo l’incontro bilaterale tra i due leader americano e cinese che «Stati Uniti d’America e Cina riprenderanno regolari contatti militari, nell’intento di evitare che incidenti fortuiti inneschino conflitti.  Tuttavia, poche ore dopo, il presidente americano pare voler correggere al ribasso l’impressione positiva suscitata dai suoi primi commenti e dice di continuare a considerare il presidente cinese Xi Jinping “un dittatore”. Frase che il Ministero degli Esteri cinese chiosa come “estremamente sbagliata”. Segno – aggiunge Gramaglia – che molto resta da riparare, nelle relazioni bilaterali Stati Uniti d’America-Cina, al di là del fatto di per sé incoraggiante che l’incontro c’è stato e che qualche intesa, sia pure minima, è stata raggiunta».

Riccardo Cristiano, giornalista e collaboratore di Reset, commentando il vertice congiunto della Lega araba e dell’Organizzazione per la cooperazione islamica tenutosi a Riyad l’11 novembre 2023, a proposito di Arabia saudita e Iran parla di «opposizioni parallelamente indispensabili» e ben riconoscibili: «il vertice arabo islamico è stato di nuovo la commedia degli inganni, perché ognuno ha pensato a regolare i conti interni più che a trovare un ordine per il futuro. Suppongo: ricevendo per la prima volta dopo la lunga interruzione delle relazioni bilaterali il presidente iraniano, il giovane principe di Riyad Moḥammad bin Salmān Āl Saʿūd ha inteso esibire un credito che dovrebbe a suo avviso preservarlo da attacchi delle milizie filoiraniane sparse nel Medio Oriente. Recandosi nella tana di bin Salmān il presidente iraniano da parte sua ha ritenuto di incassare un credito che dovrebbe proteggerlo da attacchi diretti sull’Iran».

Rimanendo nell’ambito dello scacchiere mediorientale, Carmen Lasorella, giornalista e scrittrice, ha incontrato la giornalista dissidente siriana Wafa Ali Mustafa, vincitrice a Genova del premio Ipazia International. In un’intervista uscita sul quotidiano Domani, qui in versione integrale, la giovane attivista, fuggita a Berlino, spiega “Perché il regime siriano è ‘fuori dalla storia’”[20] e lo fa senza sconti: «La Siria è stata lasciata al suo destino, è finita in un cono d’ombra. I nostri media sono asserviti, ma quelli internazionali che potrebbero parlarne non lo fanno. Il regime è criminale e lo stesso Bashar è un criminale di guerra, che andrebbe perseguito dalla Corte Internazionale. Non abbiamo alternative: serve un processo che approdi a libere elezioni per smantellare questo regime».

In un articolo dedicato all’Iran in previsione delle elezioni di marzo, “Iran al voto: esportare le tensioni per contrastare le violenze interne. Il ricorso alle milizie esterne alleate in Iraq, Libano, Siria, Yemen per contrastare il dissenso interno[21]. Riccardo Cristiano chiarisce come «i recenti bombardamenti in Iraq e in Pakistan sembrano più scelte di contenimento dei timori che atti espansionisti. Si leggono meglio questi bombardamenti se li si capisce contro i curdi dell’Iraq e i beluci del Pakistan, perché tanto gli uni quanto gli altri sono presenti anche in Iran, e molto “irrequieti” verso un regime che li ha ferocemente repressi. Il Belucistan iraniano, come il Kurdistan iraniano, sono pentole di dissenso in piena ebollizione. Anche il terzo bombardamento contro il nord della Siria sembra allora un avvertimento alla Turchia, assai presente nelle zone colpite». In questo quadro, secondo Cristiano, emerge un ruolo preponderante dei Pasdaran che controllano le milizie alleate rispetto a «un clero alle prese con una società insofferente verso la teocrazia».

La sezione Europa vede prevalere il ricordo di Jacques Delors, definito nell’articolo di Giampiero Gramaglia “un architetto dell’integrazione”[22]. Il 27 dicembre 2023 è stato segnato dalla scomparsa, a 98 anni, di “Monsieur Europe”, come lo definisce Gramaglia, che rievoca il contributo alla storia dell’integrazione europea dell’ex presidente della Commissione europea per ben tre mandati dal 1985 al 1995.  «Chi, come me, ebbe modo di seguirne per anni le conferenze stampa – ricorda l’ex direttore dell’Ansa a lungo corrispondente a Bruxelles – rimaneva sempre ammirato dalla chiarezza cartesiana delle sue esposizioni, strutturate con una gerarchia di enunciati che nulla ha da spartire con la genericità degli slogan dei leader attuali, le cui approssimazioni ideologiche s’accompagnano a conoscenze approssimative e la cui bussola è la ricerca del consenso: l’obiettivo non è fare quel che si ritiene giusto, ma essere in sintonia con quello che la gente vuole sentirsi dire (e magari promettere). Cosa di cui Delors non si curava: infatti, esaurito il mandato europeo, evitò sempre di imboccare la strada che gli sembrava tracciata, quella della presidenza francese. Nel 1994, deluse le speranze della sinistra rifiutando di candidarsi alle presidenziali del 1995, nonostante fosse il favorito nei sondaggi: una rinuncia annunciata in televisione davanti a 13 milioni di spettatori».

Il presidente del Movimento Europeo Italia, Pier Virgilio Dastoli, in “La lezione di Jacques Delors sull’Europa a geometria variabile”[23] mette in evidenzia due elementi preponderanti degli ideali di Delors. «Il primo aspetto riguarda la dimensione sociale e cioè della sua visione della economia sociale di mercato che deriva dalla sua esperienza nei sindacati francesi e in particolare nelle CFDT […]. Dal 1985 in poi e cioè dall’intuizione di Jacques Delors del carattere essenziale per la costruzione europea del dialogo sociale – un’intuizione che ebbe negli anni settanta Jean Monnet, predecessore ideale di Jacques Delors, quando associò i sindacati nel suo Comitato per gli Stati Uniti d’Europa – alcuni limitati passi in avanti sono stati fatti anche nel Trattato di Lisbona con l’obiettivo della piena occupazione, con il riconoscimento del ruolo dei partner sociali e con l’inserimento della clausola sociale orizzontale». «Il secondo aspetto delle idee di Jacques Delors che il “cittadino d’Europa” ha sviluppato nel tempo e per oltre trent’anni prima da intellettuale socialista, poi a titolo personale nei dieci anni della presidenza della Commissione europea e poi durante la guida dell’Istituto da lui fondato [riguarda] la sua idea di un’Europa a geometria variabile per tenere legato il Regno Unito al continente europeo ma per consentire alle Comunità europee di avanzare sulla via di una “unione sempre più stretta” senza il peso confederale dei britannici […]. Su questa base e facendo riferimento alla costituenda area dell’euro ha successivamente sviluppato l’idea di una “Federazione di Stati-nazione” (che qualcuno ha definito “un ossimoro”) come un cerchio ristretto all’interno della più ampia Unione europea».

Stefano Rolando aggiunge al dibattito una riflessione con l’articolo “In lode di una moderna idea degli Stati Uniti d’Europa”[24], traendo ispirazione dal “libro rivelatore e provocatore di Timothy Garton Ash Patrie”, «rivelatore e provocatore» stando alla definizione che gli è stata data dal Guardian. «Il titolo è “Patrie” (edito in Italia da Garzanti) e ripercorre come l’insieme delle patrie europee debba all’Europa la ricostruzione morale e materiale dopo la devastazione dei nazionalismi, cancellando i confini interni e mettendo a comun denominatore sia l’economia che l’etica pubblica». E che un tale ragionamento provenga da un Paese che ha «certamente contribuito alla sterzata antieuropeista, sovranista e nazionalista, come quella che ha serpeggiato in mezza Europa dalla crisi finanziaria del 2008 in poi» è ancor più rivelatore e significativo. Secondo Rolando il momento attuale può necessitare di un cambiamento che «riguarda la prospettiva di un’Europa per la quale [torni] ad avere valore simbolico la bandiera degli “Stati Uniti d’Europa”», mentre «le dimensioni nazionali entrano inevitabilmente nella fase storica di una necessaria cessione di sovranità».

Conclude la sezione l’articolo “All’Unione europea serve un presidente unico”[25], di Pier Virgilio Dastoli, nel quale si ragiona sul fatto che rafforzare la leadership europea potrebbe garantire stabilità alle istituzioni, dando visibilità e coerenza all’Unione nelle relazioni internazionali. La difficile relazione politica tra la presidente della Commissione Ursula von der Leyen e il capo del Consiglio europeo Charles Michel ha mostrato quanto sia necessario unificare le due cariche come proposto anni fa da Giuliano Amato e Pierre Lequiller, e tale è anche la proposta dell’autore.

L’Europa di fronte a due guerre. Perché si aggrava il disaccordo nella politica estera dell’Unione

Un altro articolo di Giampiero Gramaglia suddiviso in due capitoli prende le mosse dall’ostacolo frapposto dall’Ungheria all’approvazione del bilancio dell’Unione. In “Il difficile Consiglio europeo di metà dicembre”[26]. Se nella prima parte, “Quando l’urgenza del momento è utile a schivare i problemi di fondo”, l’autore sostiene che «al Consiglio europeo i temi contingenti finiranno con il prevalere su quelli di prospettiva», e si affronteranno sostanzialmente quattro problematiche (Allargamento versus approfondimento, Patto di Stabilità e altre urgenze, Ucraina e Medio-Oriente, Rapporti con la Cina), nella seconda, “L’Ucraina inizia il viaggio, l’Unione resta ferma” si analizzano i magri risultati del vertice Europeo di Bruxelles del 14-15 dicembre con, ad un tempo, «il via libera ai negoziati per l’adesione all’Unione europea dell’Ucraina», ma anche il «blocco degli aiuti di cui Kiev ha subito bisogno – come di quelli americani, del resto, anch’essi bloccati».

Il presidente del Movimento Europeo Italia Pier Virgilio Dastoli espone in “Per una legislatura costituente di una nuova Comunità federale o di una Repubblica Europea” una proposta del Movimento europeo, articolato a sua volta in tre parti: “Ceci n’est pas une pipe. L’adesione dell’Ucraina all’Unione Europea e l’inganno mediatico dei facili annunci”[27], “Il rapporto sulla revisione del Trattato di Lisbona. Analisi del voto e prospettive future”[28] e “Il silenzio tattico di Ursula von der Leyen e il futuro governo dell’Unione”[29]. Nella prima «il quadro di René Magritte del 1929 intitolato Ceci n’est pas une pipe – scrive l’autore – potrebbe essere usato per sintetizzare visivamente i risultati del Consiglio europeo del 14-15 dicembre 2023 dove le immagini magniloquenti delle sue conclusioni contrastano con una realtà decisamente negativa richiamando l’espressione dei “sonnambuli”». Nella seconda Dastoli commenta, con prospettive non incoraggianti, il Rapporto sulla revisione del Trattato di Lisbona adottato il 22 novembre dal Parlamento europeo. Infine, nella terza parte si evidenzia come «la presidente uscente della Commissione europea cerca la riconferma, ma per ora non si espone, ricordando quanto è stata risicata la sua elezione nel 2019».

Sempre Giampiero Gramaglia, in “L’Unione europea verso il voto per il rinnovo del Parlamento europeo”[30], articolo suddiviso in due parti, “L’estrema destra in Olanda: primi alle urne, ma fuori dal governo” e “Ansie, progetti, ambizioni e ipotesi dream team tutto femminile”, osserva come, di fronte a  «l’avanzata dell’estrema destra olandese incentivata da ansie culturali ed economiche che hanno fatto presa sugli elettori, specie per quanto riguarda i migranti», ma anche di fronte a «l’emergere di spinte di segno diverso, nella ricerca di risposte ai problemi solidali e non populiste, europee e non sovraniste […]  i principali gruppi del Parlamento europeo – popolari, socialisti, liberali, verdi, tutte forze che si considerano ‘europeiste’ – non danno l’impressione di essere a pieno consapevoli di questa situazione; e, soprattutto, non sembra che stiano preparando una valida risposta politica a inquietudini e paure dei cittadini elettori». In questo quadro «la corsa al voto europeo è uno scontro di personalità, più che di idee». Politico «ipotizza un Dream Team tutto al femminile» con la tedesca Ursula von der Leyen confermata alla Commissione, Roberta Metsola al Parlamento europeo, la danese Mette Frederiksen alla Presidenza del Consiglio dell’Unione europea e, infine, l’estone Kaja Kallas alla politica estera.

In una “Lettera da Bruxelles” Stefano Rolando riferisce di alcuni suoi incontri con «amici di lunga data che si sono molto dedicati alla causa europea, per sondare un po’ gli umori “interni” circa il significato e le conseguenze» delle elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo del prossimo giugno. Ne emerge un quadro a tinte piuttosto fosche riassunto nel titolo dell’articolo: “Europeisti un po’ demoralizzati”[31]. Ed è lo stesso autore a sottolineare che, come se non bastassero i richiami al protezionismo e i timori delle opinioni pubbliche nazionali, lo schiacciamento sulle posizioni della NATO, per di più «ora tutti i soggetti di cui anche questa mia inchiestina si occupa (l’Europa, i parlamenti, i partiti) sono tutti al di sotto della maggioranza della fiducia collettiva».

Conclude la sezione sull’Europa l’articolo di Giulio Ferlazzo Ciano, dottore di ricerca in Storia, “Serbia, nazione frantumata e lacerata di fronte a un bivio”[32]. Democrazia Futura avvia una riflessione sui Paesi candidati ad entrare nell’Unione Europea, iniziando dai Balcani. L’autore, dopo aver rievocato storicamente la questione dell’identità nazionale serba, dagli albori fino alla lotta per l’indipendenza e alla costituzione della Jugoslavia, si sofferma sulla storia recente della Repubblica di Serbia dopo la frantumazione della Jugoslavia, sino ad esaminare, quello che nell’occhiello viene definito come “Lo stato incerto della candidatura di adesione all’Unione europea dopo il voto del 18 dicembre 2023”. Lo Stato balcanico è oggi terreno di scontro tra due visioni del futuro contrapposte: la “terza via” del presidente Vučić e il sogno europeo, sempre meno a portata di mano, che genera delusione e rabbia.

Italia

Tra barbarie, crisi demografica e trasformazione dei costumi. Valori e comportamenti degli italiani tra continuità e rotture

Introduce questa sezione la riflessione di Celestino Spada, vicedirettore della rivista Economia della cultura affrontando il delicato tema delle ragioni della scarsa attenzione dell’opinione pubblica, e in particolare dei media, in merito alla drammatica crescita delle morti sul lavoro in Italia. Nell’articolo “6 febbraio 2024. Una data da non dimenticare. La morte di Luigi Coclite e l’onore d’Italia nel crollo di Firenze”[33] si chiede: «Quanto pesano, quanto valgono cinque operai morti in Italia?». Risposta: «Poco o nulla in termini mediatici, considerati i giorni nei quali informazioni e commenti, dalle prime pagine dei quotidiani e dai titoli dei tg italiani, sono scivolati in quelle interne e spariti dai radar della nostra stretta attualità. Ma abbastanza, nel merito, per consigliare di superare la soglia abituale che ci fa replicanti della comunicazione mediale e cogliere che cosa e quanto dello stato reale del nostro Paese, della nostra Italia, è venuto in primo piano con quei corpi sotto le macerie». Infine, Celestino Spada conclude l’articolo con una constatazione che riaffiora anche nel titolo: «a fronte di due stranieri morti sul lavoro, c’è un solo italiano in attività alle quali verosimilmente la domanda di lavoro degli italiani non si rivolge in misura adeguata, e dove sono gli immigrati, regolarizzati o clandestini che siano, a costruire le nostre case e le nostre strade, assicurando il funzionamento e le esigenze del settore. Anche per questo non possiamo evitare di riconoscere, ancora una volta nella nostra storia, a un Coclite Luigi nella circostanza […] il merito di aver salvato, nel crollo di Firenze, l’onore d’Italia».

Segue, a proposito dell’ondata di sdegno provocata dall’omicidio di Giulia Cecchettin e dell’emersione del concetto di “femminicidio”, la discussione sulle cause di questo fenomeno. Introduce l’argomento Stefano Rolando in “Femminicidio e patriarcato. La versione di Amelia, mia figlia ventottenne”[34], un’intervista, giustappunto, a sua figlia, che «vive a Milano, ma si è formata girando un po’ l’Europa […], laureata a Milano in Scienze Politiche e poi in Filosofia per le Scienze Sociali a Londra […]» e che «lavora con le lingue, con i libri, con le università, con la rete». Una conversazione fatta di «una quindicina di brevi domande». E secondo Amelia, per andare al cuore della questione, l’istinto di conservazione non impedisce agli uomini di uccidere perché «molti uomini sono consapevoli della realtà in cui viviamo, intesa come una realtà che li protegge, una realtà privilegiata. Mi riferisco soprattutto a uomini bianchi e uomini bianchi di potere», per cui «l’omicidio non è altro che l’ultimo atto di tutta una serie di episodi in cui si esprime il non sopportare l’idea di una reale uguaglianza. L’insopportabilità dell’idea che la donna sia di più, voglia di più, conti di più». Tenendo conto, inoltre, che «l’Italia ha una mentalità misogina e machista diffusa». C’è speranza che la realtà in Italia possa cambiare? No, secondo Amelia, almeno nel breve termine, con un governo retto da una donna che per prima «esprime una femminilità molto in linea con il patriarcato».

Come controcanto Giulio Ferlazzo Ciano in “Donne e uomini nell’età barbarica: la pagliuzza e la trave”[35] avanza l’ipotesi che il problema alla radice del fenomeno dei cosiddetti “femminicidi” sia da riscontrare in un generale degrado della società in molti ambiti del vivere civile. Sul caso italiano in particolare aleggia la tesi della modernizzazione senza sviluppo, ma in generale è tutto l’Occidente che si ritrova a fare i conti con il lento sgretolamento della società e l’emergere di zone d’ombra non regolate dalle norme di civiltà. E non solo nel rapporto uomo-donna, come la cronaca documenta fin troppo bene. Che si badi troppo alla pagliuzza del patriarcato per non vedere la trave della barbarie che ci circonda? E se il problema, in fin dei conti, fosse molto più grave di ciò che il femminismo, ultima ideologia del Novecento ancora oggi in vita, intende mostrarci?

In un’amichevole risposta a Giulio Ferlazzo Ciano, Licia Conte, giornalista sessantottina autrice del primo programma radiofonico femminista della Rai negli anni Settanta, distingue nella fattispecie “Femminismo emancipazionista e femminismo della differenza”. “Il femminismo emancipazionista punta al raggiungimento di obiettivi individuali come lavoro, carriera e pari riconoscimenti. Il femminismo della ‘differenza’ vede nel puro emancipazionismo un rischio: l’omologazione al modello maschile. Ha un progetto più ambizioso: vuole portare nel mondo la propria ‘differenza’, vuole che le donne restino sé stesse pur reclamando parità di diritti.  E non solo dice che non c’è più un soggetto unico, ma proclama che i soggetti sono due. Queste donne, infatti, dicono: vogliamo essere pari e differenti”.

Torna la vecchia stagione in Italia. Il clima da campagna elettorale permanente in vista delle regionali e del rinnovo del Parlamento europeo

Altro dito nella piaga, quello della campagna elettorale permanente, cui offre simbolico inizio l’articolo di Guido Barlozzetti, conduttore televisivo, critico cinematografico, esperto dei media e scrittore, dal titolo “Meloni a spada tratta. La conferenza stampa di inizio 2024”[36], in cui analizza la comunicazione della presidente del Consiglio in occasione della consueta conferenza stampa di inizio anno. E così, in sintesi, lo definisce Barlozzetti: «un discorso da dominus (domina)» e Meloni «una simil-Napoleone perfettamente seduta sul trono, Dio me l’ha data (la corona) e guai chi me la tocca». «Insomma – osserva Barlozzetti – governa, esprime tutta la determinazione per continuare a farlo e si assume le responsabilità, questa è la linea strategica». Aggiungendo che «una rivendicata fermezza e però anche un segnale che il livello di guardia sia stato raggiunto. Come a dire che il governo non può diventare il colabrodo di estemporaneità che andrebbero fatalmente a rifrangersi su di lei».

Democrazia Futura ha chiesto ad alcuni storici e scienziati politici di scrivere un primo bilancio del nuovo governo di centrodestra, il primo presieduto da una donna. Il primo ad esprimersi sulle nostre colonne è Marco Severini, docente di storia dell’Italia contemporanea presso l’università di Macerata, con un vero e proprio saggio intitolato “Le ombre e le incertezze del governo Meloni”[37]. E si tratta di un bilancio radicalmente pessimista senza remissione su vari aspetti: partendo dalle mai sopite tendenze fasciste, neppure troppo sottotraccia, passando per il familismo e il machismo della sua cerchia, per poi toccare la disinvoltura con la quale la presidente del Consiglio ha cambiato idee e programma di governo, l’oscillazione tra europeismo e sovranismo, la gestione economica dilettantesca, l’occupazione della Rai, l’aumento della povertà, i disinvestimenti su sanità e istruzione, l’elusa questione di genere, ove è mancata la «approvazione di una normativa di contrasto alla violenza e alla discriminazione basata sul sesso, sul genere e l’orientamento sessuale», i tagli ai fondi per la prevenzione della violenza contro le donne, l’aumento dei femminicidi, il disinteresse sul caso Salis, una certa postura militarista nel Mar Rosso, l’accordo italo-albanese per la deportazione dei migranti, il rischio che il Piano Mattei sia una scatola vuota, la fiacca lotta all’evasione fiscale e l’inclinazione ai condoni, il permanere di un’eccessiva tassazione sul lavoro, per concludere infine con un encomio a Jannik Sinner, «un campione vero, originale, diverso dai dettami imposti dalla società mediocratica», l’unico in grado di riscattare il Paese, sfortunatamente solo in ambito sportivo. Almeno finché – potrebbe essere il pensiero dell’autore – non risorgeranno Armodio e Aristogitone.

Giampiero Gramaglia torna sull’accordo dello scorso 6 novembre tra Giorgia Meloni e il primo ministro albanese Edi Rama che, venendo incontro alle richieste dell’opposizione, sarà oggetto di discussione in Parlamento, approfondendone i risvolti europei.  Nell’articolo dal titolo “Migranti: l’Italia prova con l’Albania a ‘esternalizzarli’”[38], l’ex direttore dell’Ansa che «a prima vista, l’intesa suscita dubbi di costituzionalità e potrebbe pure violare regole europee e internazionali. C’è sospetto, ma anche cautela, da parte della Commissione europea, che tuttora attende di conoscere i dettagli del patto e che dà la sensazione di volersene ‘lavare le mani’, mentre il Consiglio d’Europa boccia il progetto».

Prosegue l’atto d’accusa a Giorgia Meloni attraverso l’articolo di Gianluca Veronesi, “Punt e mes? No, punt e bast!”[39], il cui occhiello recita significativamente “I danni che Giorgia Meloni si è procurata rifiutando di adottare il MES”. Invero Veronesi riconosce alla Presidente del Consiglio di aver favorevolmente sorpreso chi ne temeva l’approccio destabilizzante in politica estera, dimostratosi infondato, così come le riconosce di essere «l’unica donna del prestigiosissimo G7». Tuttavia, ciò che l’autore intende fare nell’articolo è «fotografare i danni che ella si è procurata (e che ci ha procurato) con la decisione di bocciare l’adesione italiana al MES, unici a fronte di 26 paesi favorevoli». 

Non poteva mancare, a proposito di punt, anche un punto sul cantiere della riforma costituzionale, offerto da Stefano Rolando in “Premierato, riforma con scopi sbagliati”[40] il cui occhiello altrettanto significativamente recita «Manca un modello organizzativo coordinante e concertato per il governo». «Che senso ha – si interroga Rolando – rappresentare la riforma del “Premierato” per presunti equilibri tra le maggiori istituzioni del Paese, quando la vera riforma dovrebbe concentrarsi sul tema dell’effettivo e concreto modello di coordinamento delle politiche di governo, non solo sui macro-temi (Esteri, Difesa, Interno) ma su tutto il quadro socio-economico dell’Esecutivo?». Ricordando precedenti tentativi di riforma, l’autore non può non dimenticare, da osservatore diretto, che il precedente progetto del 1988 «era un approccio rispettoso dei poteri del Capo dello Stato e, pur se con qualche fastidio, sostanzialmente non conflittuale con il Parlamento». Conclude l’autore che «se alla fine il risultato di uno scontro sui massimi sistemi (Matteo Renzi lo personalizzò e per altro fu questo il principio del suo declino) porta a mettere qualche bavaglio al Parlamento o qualche limatura alle esternazioni del Quirinale e non migliora di un grammo la qualità della concertazione governativa, perdiamo anche l’occasione di fare qualche passo di metodo verso l’Europa».

Celestino Spada, vicedirettore della rivista Economia della cultura, torna sulla proposta di riforma istituzionale in “Dal premierato a un Piano Mattei per l’Italia”[41]. «Con il premierato proposto dalla Meloni – sostiene Spada – il bicameralismo […] resterebbe in vigore, soggetto alla decretazione d’urgenza e alla ricorrente “blindatura” della stessa maggioranza attorno alle proposte di legge governative. Mentre con la “autonomia differenziata” in progetto per le Regioni – la rivendicazione identitaria della Lega di Matteo Salvini – verrebbero a profilarsi nuovi ruoli e poteri istituzionali divisivi, non solo in potenza, dell’Unità nazionale, capaci (come si vogliono) di condizionare l’attività di governo e il perseguimento di politiche, appunto, nazionali. Un guaio serio, che la proposta di premierato della premier ha, si dice, l’obiettivo primario di contenere, anzi, di evitare». E l’autore a tal proposito aggiunge: «Molte cose in questi mesi spingono a pensare che per una parte della classe dirigente oggi al governo, i problemi dello Stato, della democrazia e della società italiana potrebbero risolversi meglio (e comunque) in termini di “comando”. La proposta di premierato avanzata dopo un anno di esperienza a Palazzo Chigi, con i suoi caratteri specifici, si colloca in questo contesto». Mentre la Sicilia, conclude Spada, potrebbe essere il volano per lanciare il Piano Mattei, tuttavia, politiche per lo sviluppo di quella regione al momento non se ne vedono.

In “La potenza di una vocale”[42] Beppe Attene riallaccia il suo discorso dal ricordo di un motto affermatosi tra gli anni Sessanta e Settante del secolo scorso, «Il personale è politico», a sottolineare una certa interdipendenza tra sfera privata e pubblica, per evidenziare come il cambiamento di una vocale abbia condotto in quegli stessi anni a tramutarlo in «Il personale è politica», a sostegno di una totale compenetrazione di sfera privata e pubblica, laddove anche ciò che è privato era necessariamente una questione pubblica. Oggi, secondo Attene, se possibile «le cose vanno ancora peggio. La continuità stabilitasi tra privato e pubblico ha trasformato la sfera dei comportamenti personali in uno strumento di comunicazione rivolto sistematicamente all’esterno». E in particolare «per coloro che, come i politici, devono cercare il consenso l’esposizione apparentemente libera della vita personale è diventata strumento di caratterizzazione e di lotta».

Stefano Rolando in “La Scala. Miseria e nobiltà dei riti laici”[43] ritorna all’inaugurazione della stagione teatrale della Scala, a Milano, il 7 dicembre scorso, con il Don Carlo. Rito laico, secondo l’autore, dove da sempre, in quel tempio musicale che è il celebre teatro milanese, si sono da sempre mischiati miseria e nobiltà, fin dagli albori. E anche questa volta non è mancato uno spaccato di nobiltà e miseria allorché un loggionista ha mostrato «coraggio fermo e costituzionalissimo», mentre la miseria è arrivata dal presidente del Senato, con una reazione «breve ma plateale» che «resta tra le cose più sgrammaticate» di quell’evento. Conclude Rolando che «quando i riti laici contengono un punto sbagliato, finiscono non come tutti i salmi in gloria, ma vagamente nel ridicolo».

Michele Mezza, docente di Epidemiologia sociale dei dati e degli algoritmi presso l’Università di Napoli, mette a confronto due visioni ideologiche metodologicamente opposte in “Il Mulino Operaista: le diverse lezioni di Mario Tronti e Toni Negri per una sinistra post fordista”[44]. Partendo dalla fine Mezza, relativamente alla sinistra, recupera un vecchio slogan apparso sulle mura di un centro sociale milanese: «le nostre sconfitte sono figlie delle discussioni mai fatte», aggiungendo che «questa è sicuramente una di esse». A cosa si riferisce l’autore dell’articolo? Al mancato dibattito relativo alla trasformazione della società e, con essa, della classe operaia e del capitalismo, che pur ebbe in Mario Tronti e Toni Negri – al netto delle «gravissime e innegabili responsabilità personali» di quest’ultimo in merito alla deriva violenta e radicale di una certa sinistra extraparlamentare – due validi strumenti di riflessione, pur se con approcci teorici contrapposti. La sorte ha voluto che la dipartita da questo mondo li separasse di pochi mesi, mentre radicale era la divaricazione che li aveva portati su fronti opposti. Mentre Tronti «reagisce al disfacimento di quella potente infrastruttura, all’eclissi della fabbrica come matrice sociale, rifugiandosi in una declamata centralità della direzione politica», Negri invece «coglie con un’intuizione in quel tempo assolutamente esclusiva, l’evoluzione molecolare degli interpreti del conflitto sociale, che nella transizione fra lavoro e sapere mutano caratteristiche, bisogni e ambizioni, assumendo come bussola propria quel rifiuto del lavoro che diventa terreno di scontro fra l’automazione neo capitalista e l’insorgenza delle rivendicazioni del reddito senza occupazione». Se la prima tesi si dimostrerà «convergente con quella della componente migliorista del PCI guidata allora da Giorgio Napolitano», attraversando «tutta la storia ultima della sinistra tradizionale in nome di un moderno Principe che ripari il vulnus del disfacimento del soggetto storico, quella classe operaia a cui fideisticamente era affidata ogni speranza», la seconda invece, ovvero «il filone della cosiddetta fabbrica sociale […] ci fornisce strumenti più attuali per stare nella storia e negoziare i processi di automatizzazione informatica che rendono il destino delle persone, a cominciare dai settori professionali anche più alti e privilegiati “materia di manipolazione e asservimento”. Perché, secondo Mezza, «l’algoritmo è innanzi tutto una fabbrica […] che assegna rango e influenza a tutte le altre attività, a cominciare dalla lotta politica». Ed ecco perciò che «il mulino che macina, per tornare a Marx, è quello digitale che ci sarà una società completamente diversa dal precedente mulino a vapore». Urge prendere nota se si vuole rifondare seriamente la sinistra. Affrontando un dibattito rimandando per troppo tempo.

Il penultimo intervento di Stefano Rolando in questa sezione prende le mosse dal sud, donde il titolo dell’articolo “Mezzogiorno tra talenti in fuga e miliardi (forse) in arrivo”[45], che registra il dato di fatto dell’emigrazione dei più intraprendenti e dei più competenti dalle regioni del sud Italia. Un dato su tutti: «dal 2002 al 2021 – dunque vent’anni – 808 mila under 35 hanno lasciato il Sud, compresi 263 mila laureati». E si ritorna anche in questo caso a un vecchio dibattito che si chiama – come anche lo definisce l’autore – “questione meridionale”. Un altro dibattito mai abbastanza affrontato, se non a colpi di finanziamenti statali, ma che non risolvono un problema per cui sarebbe necessaria «una politica regolatrice di prim’ordine».

Ed infine la sezione non poteva non concludersi con un ultimo articolo di Stefano Rolando, “Fedeli alla parola democrazia, ma scontenti (quasi) di tutto. Gli italiani e la fiducia nelle istituzioni”[46], nel quale si prende in esame l’annuale rapporto Demos-Università di Urbino. Dalla lettura del documento emerge che hanno la fiducia della maggioranza degli italiani solo il Presidente della Repubblica, le forze dell’ordine, il papa e la scuola. Gli altri 17 ambiti istituzionali sondati, no (compreso l’espressione generica dello “Stato” che intende sostanzialmente l’apparato di Governo, ma anche Parlamento, partiti, sanità, magistratura, banche, Unione europea, eccetera). E in questo quadro mentre il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella parla anche delle cose che non funzionano bene spronando alla reattività, la premier Meloni – secondo Rolando – incenserebbe il suo operato con la narrativa che va tutto bene e mostrerebbe toni assertivi e polemici solo contro “nemici, oppositori” e misteriosi “poteri forti”. Aprendo peraltro un caso irrituale e sbagliato attorno alla figura di Giuliano Amato.


[1] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-editoriale-del-12-fascicolo-per-una-nuova-sovranita-politica-di-fronte-allescalation-delle-guerre-e-allo-strapotere-della-tecnoscienza/494120/.

[2] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-un-clima-di-guerra-sulluscio-di-casa/481137/.

[3] https://www.giampierogramaglia.eu/2023/12/31/le-sei-dominanti-del-2023/.

[4] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-il-2024-lanno-di-tutte-le-elezioni-circa-tre-miliardi-coinvolti/474541/.

[5] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-fra-un-anno-esatto-americani-al-voto-la-corsa-alla-nomination/466072/.

[6] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-iniziata-la-corsa-per-la-nomination-repubblicana-alla-casa-bianca/475450/.

[7] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-da-dodici-a-due-i-candidati-repubblicani-alla-casa-bianca/476936/.

[8] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-la-guerra-in-medio-oriente-entra-in-campagna-elettorale-con-i-primi-morti/478078/.

[9] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-a-macchia-dodio-lantisemitismo-dopo-il-7-ottobre-2023/466238/.

[10] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-guerra-per-lumanita-il-bene-vincera/475591/.

[11] https://italialibera.online/primo-piano/non-e-un-derby-di-calcio-la-tragedia-di-gaza-dopo-la-strage-in-israele-e-lo-stupido-tifo/.

[12] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-gli-effetti-devastanti-della-guerra-fra-israele-e-hamas/466427/.

[13] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-netanyahu-le-mani-su-gaza/466877/.

[14] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-tregue-di-quattro-ore-per-esodo-e-aiuti-assedio-al-cuore-di-gaza-city/467029/.

[15] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-orrori-e-sprazzi-di-umanita-nella-guerra-fra-israele-e-hamas/468993/.

[16]https://www.key4biz.it/democrazia-futura-gaza-fra-speranza-di-proroghe-alla-tregua-e-nuovi-esodi-e-ostilita/470713/.

[17] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-lonu-non-chiede-tregua-bensi-solo-piu-aiuti-mentre-la-strage-continua/475193/.

[18] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-gaza-la-speranza-e-un-voto-dellonu-ucraina-aiuti-in-stallo/473506/.

[19] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-biden-vede-xi-passi-avanti-e-dialogo-molto-costruttivo/468082/.

[20] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-perche-il-regime-siriano-e-fuori-dalla-storia/472147/.

[21] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-iran-al-voto-esportare-le-tensioni-per-contrastare-le-violenze-interne/476383/.

[22] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-jacques-delors-un-architetto-dellintegrazione/477338/.

[23] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-la-lezione-di-jacques-delors-sulleuropa-a-geometria-variabile/477355/.

[24] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-in-lode-di-una-moderna-idea-degli-stati-uniti-deuropa/484451/.

[25] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-allunione-europea-serve-un-presidente-unico/477133/.

[26] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-quando-lurgenza-del-momento-e-utile-a-schivare-i-problemi-di-fondo/471396/.

[27] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-ceci-nest-pas-une-pipe/475305/

[28] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-il-rapporto-sulla-revisione-del-trattato-di-lisbona/469587/.

[29] https://www.giampierogramaglia.eu/2024/01/24/il-silenzio-tattico-di-ursula/

[30] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-ansie-progetti-ambizioni-e-ipotesi-dream-team-tutto-femminile/476402/.

[31] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-europeisti-un-po-demoralizzati/477742/.

[32] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-serbia-nazione-frantumata-e-lacerata-di-fronte-a-un-bivio/479323/.

[33] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-la-morte-di-luigi-coclite-e-lonore-ditalia-nel-crollo-di-firenze/483519/.

[34] https://www.giampierogramaglia.eu/2023/11/26/femminicidi-e-patriarcato-la/.

[35] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-donne-e-uomini-nelleta-barbarica-la-pagliuzza-e-la-trave/480311/.

[36] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-meloni-a-spada-tratta/474124/

[37] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-le-ombre-e-le-incertezze-del-governo-meloni/478824/

[38] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-migranti-litalia-prova-con-lalbania-a-esternalizzarli/468513/.

[39] https://www.giampierogramaglia.eu/2023/12/28/punt-e-mes-meloni/.

[40] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-premierato-riforma-con-scopi-sbagliati/484695/.

[41] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-dal-premierato-a-un-piano-mattei-per-litalia/468360/.

[42] https://www.giampierogramaglia.eu/2023/12/02/la-potenza-di-una-vocale/.

[43] https://www.giampierogramaglia.eu/2023/12/10/la-scala-miseria-e-nobilta/.

[44] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-dalloperaismo-sociale-un-contributo-per-una-sinistra-del-mulino-digitale/461163/.

[45] https://www.giampierogramaglia.eu/2023/12/17/mezzogiorno-talenti-in-fuga/.

[46] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-fedeli-alla-parola-democrazia-ma-scontenti-quasi-di-tutto/474351/.

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