In Quarta di copertina, Andrea Melodia recensisce per Democrazia futura un importante quanto ben costruito volume promosso dall’Ufficio Studi Rai, già diretto da Andrea Montanari e coordinato da Flavia Barca, su un tema cardine per il superamento della crisi politica e sociale: Coesione sociale. La sfida del servizio pubblico radiotelevisivo e multimediale (Rai Libri, 2020).
Il concetto di coesione sociale, insieme a quello di sviluppo sostenibile, ha assunto nell’Unione europea la valenza di ideale a cui tendere e attraverso cui orientare e valutare le scelte di policy. Questo riguarda in modo evidente anche il servizio pubblico radiotelevisivo e multimediale la cui missione è promuovere la coesione delle comunità e del Paese parlando alle diverse componenti della società e stimolando la partecipazione attiva e consapevole alla vita delle istituzioni nazionali, europee ed internazionali. Lo strettissimo legame tra media di servizio pubblico e coesione sociale risulta evidente da questo studio che mettendo sotto esame obiettivi, norme e e pratiche della Rai e dei principali media di servizio pubblico, definisce una griglia di analisi per rendere il concetto operativo, attualizzabile nelle politiche aziendali e monitorabile.
(dalla quarta di copertina del volume)
La struttura del volume curato dall’Ufficio Studi Rai
Coesione sociale. La sfida del servizio pubblico radiotelevisivo e multimediale è il titolo del libro recentemente pubblicato da RAI Libri e curato dall’Ufficio Studi RAI, sotto la direzione di Andrea Montanari. La pubblicazione, molto tempestiva tenendo conto dell’insistenza con cui il tema della coesione sociale è stato riproposto dal presidente Sergio Mattarella e dal premier Mario Draghi quale punto cardine per il superamento della crisi sociale e politica del Paese, fornisce l’occasione di ampliare la riflessione sul ruolo del servizio pubblico della comunicazione e sulle pratiche necessarie per renderlo efficace.
La struttura del libro, chiuso nell’ottobre 2020 e curato da Flavia Barca, è costituita da 5 capitoli. Il primo, scritto da Antonia Carparelli, esamina il concetto di coesione sociale e le sue criticità, tra le quali viene indicata la frequente carenza di una dimensione localistica della coesione sociale. In che misura, si chiede, il perseguimento della coesione sociale, spesso individuato a livello di nazione, è coerente con il benessere di una particolare comunità, con i suoi obbiettivi, o con quelli delle comunità limitrofe? La costruzione europea, scrive l’autrice, è la storia della ricomposizione, attraverso il negoziato, dei diversi obiettivi conflittuali delle diverse comunità. La possibilità di salvaguardare i valori locali – identità, cultura, linguaggio, storia, tradizione – dipende dalla capacità di quella comunità di rapportarsi ai contesti più ampi di cui è parte. È questa capacità che deve essere implementata, ed è questo il ruolo essenziale di un servizio pubblico della comunicazione, attraverso l’informazione e la formazione delle persone e la costruzione di strumenti di partecipazione e di senso civico nelle comunità.
Il capitolo 2, curato da ricercatori dell’ISTAT, illustra il quadro delle iniziative di misurazione, nazionali e internazionali, sui temi della coesione sociale, del benessere e della sostenibilità. Oltre alle necessarie illustrazioni metodologiche necessarie agli addetti ai lavori, emerge la conoscenza di una “Agenda 2030” che le Nazioni Unite hanno sviluppato per la misurazione, secondo parametri globalmente accettabili, dello sviluppo sostenibile. A questi obbiettivi, come vedremo, si cerca di collegare l’impegno RAI nell’ultimo capitolo del libro.
Il capitolo 3 contiene il fulcro cruciale del testo, nell’ottica della azienda RAI. È curato direttamente dall’Ufficio Studi RAI (Andrea Montanari con Flavia Barca, Paolo Morawski, Alessandra Paradisi) e fornisce un quadro del rapporto tra RAI e la questione della coesione sociale. Mi limito qui a descrivere la struttura del capitolo, rinviando alle conclusioni per la loro interpretazione.
Dopo un richiamo ai molteplici aspetti contenuti nella Convenzione Stato-RAI e nel Contratto di servizio che riguardano tematiche sociali, gli autori compiono una analisi approfondita dei temi, delle aree rilevanti e degli obbiettivi e principi che devono essere presenti nella offerta, al fine di sviluppare le capacità dichiarate nel primo capitolo, sotto due grandi aree di intervento: “promuovere lo sviluppo umano, i diritti e le capacità individuali in modo inclusivo”, e “promuovere strutturazione, rafforzamento e crescita della comunità, anche nelle sue proiezioni esterne”. Siamo di fronte a una analisi ricca e probabilmente completa, che può fornire molti spunti agli autori dei programmi.
La questione del monitoraggio, cioè della valutazione e misurazione, viene affrontata nella seconda parte del capitolo, dove si dà conto della trattazione delle tematiche sociali nella programmazione, dell’offerta dedicata alle disabilità, delle analisi di corporate reputation. Il Bilancio sociale RAI è individuato come lo strumento principale nell’evidenziare queste attività. Ad esso si aggiungono le rilevazioni periodiche della Direzione Marketing, tra cui la ricerca Qualitel, su gradimento e qualità percepita, quelle specificamente orientate al controllo della rappresentazione femminile e della pari opportunità, e le indagini sulla aderenza alla realtà sociale dell’offerta generalista. Si tratta sempre, come è facile notare, di analisi interessanti che non riguardano con continuità l’insieme dell’offerta, e nelle quali la dimensione qualitativa prevale su quella quantitativa.
Il quarto, corposo capitolo affronta la dimensione internazionale del rapporto tra coesione sociale e servizio pubblico. Curato dalla LUISS sotto la guida di Michele Sorice, viene dedicata attenzione particolare ai servizi pubblici europei più importanti – Francia, Germania, Olanda, Gran Bretagna, Spagna – ma non mancano sguardi all’America Latina, all’Australia, al Canada, al Sudafrica e alla Tunisia. Emergono nell’insieme molti punti di convergenza nelle tematiche affrontate, mentre in alcuni Paesi sono presenti normative che limitano l’autonomia delle aziende allo scopo di favorire, nelle intenzioni, il raggiungimento di risultati sociali (per esempio, equilibri etnico-linguistici o di genere nelle strutture manageriali).
Il quadro è molto utile per definire le linee di sviluppo del raggiungimento della coesione sociale, soprattutto in ambito europeo. Mancano tra i Paesi esaminati gli Stati Uniti, dove – pur in assenza di un servizio pubblico nazionale – da molto tempo operano con risultati significativi iniziative di servizio pubblico localizzate, ora estese a tutti i media. Quest’ultimo tema avrebbe lambito la questione spinosa su cosa possa costituire “servizio pubblico della comunicazione” al di fuori del finanziamento statale.
Il quinto capitolo, infine, a cura, come il secondo, dell’ISTAT (sotto la direzione di Roberto Monducci) riprende e conclude la questione metodologica relativa a come ricomporre le pratiche per la coesione sociale, e la loro misurazione, per renderle compatibili soprattutto con l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Si tratta di un framework complesso e specialistico, di certo importante ma che è difficile rapportare alla operatività della produzione aziendale.
Una tematica cruciale non priva di criticità
Una visione conclusiva sul volume deve necessariamente, a giudizio di chi scrive, distinguere la soddisfazione rispetto all’analisi sulle criticità.
È molto positivo che la RAI, attraverso il suo Ufficio Studi, recentemente riemerso da anni di abbandono, abbia prioritariamente affrontato una tematica cruciale intorno alla quale si giocano prioritariamente il ruolo e la ragione d’essere del servizio pubblico, e anche la sua capacità di risollevarsi da quello che molti indicano come un lento declino. Da questo punto di vista il volume è una scelta di politica aziendale significativa e lungimirante, condotta con competenza, tempestività e mezzi adeguati alla rilevanza dell’obbiettivo.
Le criticità riguardano la capacità della ricerca di incidere all’interno dell’azienda, nelle sue anime molteplici e non dialoganti. Emerge con evidenza, nel terzo capitolo, una diversa sensibilità tra l’impostazione della ricerca e le attività ordinarie di indagine che sono realizzate, con obbiettivi non sovrapponibili, dal marketing aziendale, che governa le tre reti generaliste. Il fatto stesso che il governo dei palinsesti sia da tempo definito come “marketing” la dice lunga sulle difficoltà del rapportare l’offerta a fini diversi da quelli commerciali, e la stessa esistenza di reti differenziate sia per obbiettivi di target sia per ragioni ideologiche è funzionale alle esigenze degli inserzionisti più che a quelle della coesione sociale.
Un aspetto centrale e molto significativo è la resistenza del marketing aziendale, che l’Ufficio studi non contrasta, a implementare in modo significativo metodi di ricerca quantitativa – apparentemente più rozzi, ma certo molto più semplici, rapidi e direttamente interpretabili, similmente ai dati Auditel – sulla capacità dell’offerta di generare coesione sociale.
Il metodo è richiamato in poche righe asettiche a pagina 110, ma non se ne spiegano i caratteri e le potenzialità. A giudizio di chi scrive si tratta di un percorso, probabilmente perfettibile e di certo non esclusivo, le cui potenzialità sono abbastanza vaste da costringere la RAI, se applicate, a riorientare il proprio management secondo obbiettivi di pubblico servizio, orientato alla coesione sociale, e di premiare i dirigenti non per la quantità degli ascolti ma per gli obbiettivi raggiunti. La rilevazione quantitativa e sistematica di un indice di coesione sociale applicato alla totalità dell’offerta non sarebbe priva di rischi, perché non è da escludere che possa comportare nel breve periodo una ridefinizione negativa del perimetro aziendale, ma di certo ne rilancerebbe la missione, la visibilità, la necessità pubblica. Potrebbe nel tempo portare a convincere gli italiani che non è un bene per il nostro Paese avere il canone più basso d’Europa, mentre la RAI oggi fatica a evitare la sua contrazione. Potrebbe, addirittura, generare un metodo accettabile di remunerazione variabile della RAI, da parte dello Stato, legata al raggiungimento degli obbiettivi.
Si tratta, molto semplicemente e con costi minimi, di usare le informazioni Auditel esistenti parametrando, insieme alla quantità degli ascolti, la loro capacità di rappresentare le diverse categorie del pubblico raggiunto, rapportata alla dimensione reale di ciascuna categoria nella società. L’assunto è che maggiore è la capacità di raggiungere le diverse dimensioni della società, maggiore è la capacità di promuoverne la coesione. Insomma: un programma “culturale” deve essere visto anche dai meno colti, un programma “femminile” anche dagli uomini, un programma sulle campagne anche da chi vive in città, un programma apparentemente “per anziani” deve piacere anche ai nipoti. Il tutto senza perdere pubblico: più si riesce a farlo, più si guadagnano punti. È difficile, ma molti programmi, spesso i migliori, già raggiungono questo obbiettivo, che peraltro raramente viene reso esplicito, mentre si preferisce assecondare il mondo pubblicitario, che predilige target frantumati.
È un metodo sbagliato? Lo si dimostri, invece di alimentare il sospetto che nascondendolo si eviti il capovolgimento di abitudini consolidate, o peggio di strutture di competenza e potere tradizionali. Non è ammissibile che si celi sotto il tappeto una idea tutta italiana, che potrebbe trovare applicazione globale, ideata e già sperimentata dal prof. Francesco Siliato, che nel volume in questione non viene citato.
Un’ultima considerazione. Per generare coesione sociale, è indispensabile che la RAI maturi e esprima al proprio interno coesione sociale. Questo obbiettivo è molto lontano nella realtà aziendale di oggi. Lo è soprattutto nei gangli centrali della RAI, le tre reti e testate generaliste, devastate da decenni di lottizzazione. Ma lo è anche nel proliferare di direzioni aziendali nate e cresciute con la necessità di ripartire i posti di comando, con sovrapposizioni di ruoli e scarso rispetto delle competenze professionali. Molti oggi ritengono che un rilancio della missione RAI debba necessariamente passare da una profonda ristrutturazione, e che per realizzarla occorra riformare la governance aziendale affidando a una Fondazione, composta da esperienze sicure ma lontana dalla gestione corrente, il compito di fare da cuscinetto tra la RAI e la “politica politicante”.
Si tratta di un passaggio legislativo necessario, di grande efficacia per la “cura Italia”, praticamente a costo zero, che richiede una ulteriore prova di coesione e di presa di responsabilità da parte della politica.
Di questi tempi, sembra quasi realistico che possa accadere?