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Democrazia Futura. Civismo e partiti

Politica
Stefano Rolando

Si svolge questo mercoledì 31 maggio a Milano promosso dal nuovo Circolo e Centro Studi “Emilio Caldara”, un Seminario su Valori e identità del civismo italiano, che fa esprimere le tre alleanze civiche italiane del nord, del centro e del sud che vanno verso una federazione nazionale a Roma a metà giugno.

Stefano Zamagni

Su questo tema, tra i materiali che il seminario mette a disposizione, Stefano Rolando propone per i lettori di Democrazia futura questa intervista, svolta il 29 maggio, con il professor Stefano Zamagni, economista sociale, che ha insegnato in molte Università in Italia e nel mondo, ordinario di Economia politica all’Universita di Bologna, già presidente della Agenzia per il Terzo Settore e già presidente della Pontificia Accademia per le Scienze Sociali.

Intervista a Stefano Zamagni

Stefano Rolando. La crisi dei partiti ha attraversato una conclamata emergenza. Ora, dopo le elezioni, il quadro di governo è tornato al negoziato interpartitico. Ma i partiti in Italia restano a una soglia di fiducia sociale bassissima. L’ipotesi delle organizzazioni delle liste civiche del nord, del centro e del sud di superare i singoli localismi e avviarsi a federare un soggetto politico nazionale, le vedi come un’intuizione o come una velleità?

Stefano Zamagni. La politica, intesa come pensiero e come prassi, nasce duemila e trecento anni fa, nella Grecia di Aristotele. Il modo in cui l’azione politica può essere espletata e’ tuttavia duplice: o attraverso i partiti o attraverso il civismo. Storicamente questa ultima forma antecede l’altra. Cioè il civismo nasce prima della forma partitica, perché la forma dei partiti inizia a manifestarsi con la nascita dello Stato nazionale, dopo la pace di Versailles e dunque nella seconda metà del ‘600. Mentre il civismo era già presente dall’epoca dell’Umanesimo e soprattutto rinascimentale.

E’ bene che questo si sappia. E che anche coloro che fanno liste civiche se lo ricordino. Pensano a volte che sia una trovata di adesso, mentre è stato il modo con cui la società civile per lungo tempo si è organizzata per svolgere attività politica.

Stefano Rolando. Cosa ha determinato il cambio di passo?

Stefano Zamagni. Sono state ragioni basicamente organizzative ed economiche. Il civismo agisce localmente e non è in grado – ovvero non era più in grado nella fase di avvento degli Stati nazionali – di ottenere risorse per agire su larga scala. Questo cambio di passo ha assegnato al civismo ruoli appunto locali in virtù dei costi infinitamente inferiori del “far politica”. Il cambio ha altresì determinato l’insufficienza dell’agire sulla base di intese, rendendo cioè necessaria una struttura organizzativa. Chi capisce un po’ la teoria dell’organizzazione sa che questa non è una cosa semplice in materia. Qualunque imprenditore percepisce le difficoltà che esistono se si intende passare dalla dimensione della piccola alla grande (o anche media) impresa. Non è perché mancano le idee, ma perché non c’è massa critica delle risorse necessarie.

Stefano Rolando. Dunque, con la formazione del mercato anche la politica ha seguito le sue leggi?

Stefano Zamagni. Non solo. Nel quadro politico c’è stata anche un’altra difficoltà. La dimensione più ampia comporta la necessità di disporre di una proposta complessa. Non basta più mettere d’ accordo gli uni e gli altri, mettere in sicurezza le infrastrutture civili e sociali. E così via. Con la necessità degli Stati, in più, di dover agire quasi per tutto in sinergia con altri Stati e – nel caso nostro – con la complessità relazionale del quadro europeo. E sempre nel nostro caso essendo parte di una organizzazione militare come è la NATO. Rispetto a questi profili è chiaro che il civismo incontri difficoltà. Non dico “impossibilità”, ma è bene avere chiaro che le difficoltà sono notevoli. Le due scelte – per dirla in sintesi – corrispondono a una matrice (dico “matrice”) culturale ben precisa.

Stefano Rolando. E sembra evidente che questa “matrice culturale”, nel caso del civismo, corrisponda a una diversificazione oggettiva…

Stefano Zamagni. Certamente. Risale alle dinamiche della Civitas, la città-Stato del basso Medioevo che fa il suo balzo nell’epoca dell’Umanesimo. E così oggi alla prospettiva nazionale del civismo si presentano le due difficoltà insieme. Quella economica-organizzativa e quella per la quale il sistema di frammentazione locale aumenta le difficoltà nel profilare intese sulla politica estera. Perché non è mai stato questo il suo scopo. Non ha le categorie. Le persone si, chi ha studiato si. Ma io parlo delle organizzazioni. E tuttavia voglio essere chiaro. Oggi si vede che a livello nazionale c’è spazio per l’uno e per l’altro soggetto.

Stefano Rolando. E i tentativi di esprimere in questa stagione questa “coabitazione” cosa insegnano?

Stefano Zamagni. Mah, bisogna distinguere casi e situazioni. Quella che è apparsa più incidente ha riguardato le vicende dei 5 Stelle. Una vicenda molto particolare, un civismo all’inizio molto particolare. Che abbiamo visto come è andata a finire. Innanzi tutto mostrando che non aveva una linea unica proprio nell’essenziale quadro dei rapporti internazionali. Non voglio dire che non sia possibile percorrere una simile strada. Ma non bisogna avere l’arroganza che ha avuto appunto 5Stelle che all’inizio – poi hanno fatto cambiamenti – dicevano “libereremo l’Italia dai partiti, cacceremo tutti e creeremo una nuova condizione di governo”. Una ingenuità senza pari, sollecitata da una persona poco intelligente come Grillo, molto abile ma poco intelligente. Se invece il civismo italiano punta ad alleanze, ovviamente con la sua autonomia, con organizzazioni di partito, non parlo di fusione, parlo di alleanze strategiche, penso che nei contesti attuali ciò possa portare a risultati importanti.

Stefano Rolando. Sosteniamo in questo seminario che si svolge a Milano il 31 maggio che, per tentare il recupero di una parte dell’astensionismo, bisogna che l’offerta corrisponda da vicino all’elettorato in disaffezione. Da qui l’attenzione per le fonti partecipative, tra cui le associazioni sociali, civili, professionali hanno grade rilievo. La tua alta esperienza nel Terzo settore identifica bene questi mondi. Sono mondi orfani della politica, che vogliono camminare da soli o credi che ci sia spazio per governare insieme un progetto?

Stefano Zamagni. Devo fare un punto preliminare sull’astensionismo che, diciamo la verità, non solo in Italia, è il vero cancro della democrazia. Credo che vada affrontata con più analisi la questione di cosa davvero determini questo fenomeno. Non credo che sia tanto un problema di disaffezione rispetto all’offerta. Credo che il nodo centrale sia rappresentato dal modello di democrazia che testardamente continuiamo a voler tenere in piedi. Cioè il modello elitistico-competitivo. Penso da tempo che sia necessario andare invece verso il modello di democrazia deliberativa. Se e quando si farà questo passaggio, si vedrà che l’astensionismo tenderà a scomparire.

Stefano Rolando. E cosa spinge verso questo modello alternativo?

Stefano Zamagni. Al momento, va ammesso, non c’è nessuna norma. Norme che ci sono in Francia, in Germania, negli Stati Uniti. Il guaio è che da noi, dopo cinquant’anni di letteratura sulla democrazia deliberativa, i più non sanno cosa sia. Il modello su cui hanno scritto e stanno scrivendo lucide menti a livello internazionale, da Rawls a Habermas, è materia di studi non di applicazioni. Anche se va detto che alcune esperienze reali sono state attuate in realtà comunali, poche ma tentate. E in questi casi con risultati travolgenti. Il principio è che il cittadino deve essere messo non tanto nelle condizioni di “partecipare”, che è una espressione retorica e insufficiente, ma di contare, di co-decidere. Insomma intervenire non solo attraverso il voto ogni tanto. Ma nel quadro di forum deliberativi. Questa è la proposta di cambiamento che il civismo italiano deve sostenere.

Stefano Rolando. Se questa prospettiva costituisse una articolata proposta europea oggi avrebbe il senso di essere una macro-progettualità su temi di grande portata, no?

Stefano Zamagni. Di assoluta evidenza. Ma sempre considerando il modello con la sua scala applicativa a tutti i livelli. Elettoralmente non va spiegato con quattro parole. Va spiegato bene, richiede un po’ di studio. Come dico, c’è la letteratura al riguarda. Ma bisogna leggerla. Sono sicuro che su queste linee possa avvenire un reale consenso, soprattutto dei giovani che sono quelli che non vanno più a votare.

Stefano Rolando. Il “far politica” – lo ha dimostrato il governo Draghi che non va fatto passare come un puro “tecnico” – non comporta necessariamente l’inquadramento partitico. Cosa significa oggi l’agire politico nel senso del bene comune?

Stefano Zamagni. Era questo il senso della mia prima risposta, parlando delle origini del “far politica”. Le differenzestoriche tra politiche e partitiche. I partiti sono strumenti. La politica non è uno strumento, è una finalità. Qui servirebbe molta spiegazione sociale. Perché ciò che prevale è una sorta di cultura dello scambio. Io ti do il voto e tu mi dai un contentino, dal superbonus alle raccomandazioni. I partiti appartengono all’ordine dei mezzi non all’ordine dei fini. Lo scopo della politica è il bene comune, dovrebbero essere sinonimi. Basta leggere ancora Aristotele per averne chiara dimostrazione.

Stefano Rolando. Visto dalle tue esperienze, la questione “destra e sinistra”, su cui c’è un trentennale dibattito a partire da quanto vi ha scritto Norberto Bobbio sul finire della “prima Repubblica”, sono categorie derubricate oppure – come appare ora in una certa polarizzazione per rispettive egemonie delle due leader donne emerse – un paradigma da aggiornare? E in subordine, ciò che va sotto il nome di civismo progressista come dovrebbe ragionare rispetto allo schema tradizionale della rappresentanza?

Stefano Zamagni. Il modello bipolare destra-sinistra, che è stato chiamato anche “modello Lib-lab”, poteva andar bene e può ancora andar bene solamente se la società stessa assume questa caratteristica bipolare. Per cui, per rispondere alla tua domanda, si dovrebbe prima fare una indagine sul campo. E capire se la società contiene o no questa bipolarità. Lo schema è diventato famoso in America per il semplice fatto che la società americana è, per l’appunto, bipolare. Non ha mai avuto la monarchia, non ha mai avuto il nazi-fascismo, non ha mai avuto il comunismo, quindi le distinzioni tra democratici e repubblicani non sono così nette come quelle di cui parlava Bobbio. Per questo li il modello funziona, anche se recentemente ha perso colpi. Penso per questo che affidare questo modello polarizzante ad un paese come l’Italia sia un delitto.

Stefano Rolando. E che nesso vedi tra questa riflessione e il cammino del civismo organizzato verso una federazione?

Stefano Zamagni. L’ Italia dei territori, delle regioni, non si adatta nelle sue grandi differenze a questo schema radicale. Storie, tradizioni e norme sociali diverse. Imporre la camicia di forza bipolare è fare violenza all’Italia e agli italiani. Tra l’altro non va a votare proprio chi non accetta lo schema bipolare. Ancor di più in Italia in cui non sono veri poli, ma sistema di alleanze tattiche. E nel superamento di questo schema di bipolarismo la proposta politica civica potrebbe rappresentare una tendenza interessante.

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