Apre il focus di approfondimento Antonio Sassano, ordinario di ingegneria informatica e presidente della Fondazione Ugo Bordoni che riecheggiando un celebre film americano del 1970 ci offre un affresco della rivoluzione digitale e delle sue trasformazioni tecnologiche articolato in Cinque pezzi facili ovvero cinque temi generali. Il primo si propone di esaminare a quali condizioni si possa creare “una nuova Internet coerente con il sogno dei suoi fondatori, oggi dirottata dagli Over-The Top: Sassano se la prende poi con alcune leggende e mantra da sfatare a proposito di valorizzazione e protezione dei dati definiti come “il “driver” principale dell’economia del web. La materia prima per la quarta rivoluzione industriale che stiamo vivendo. Non necessariamente “big data” ma “good data”. Terzo pilastro individuato da Sassano delle mutazioni in atto è quella che considera la “materializzazione di Internet” prodotta dalle reti wireless di quinta generazione (il cosiddetto 5G), grandi “abilitatrici” dell’“Internet delle cose”. Detto in modo sintetico: finora Internet ha connesso gli umani, miliardi di umani, ora si appresta a connettere centinaia di miliardi di “oggetti” senza l’intermediazione umana… Centinaia di miliardi di “oggetti” (o “soggetti”?) saranno, tra breve, perfettamente in grado di utilizzare le nostre reti per interagire” . In questo contesto “uno sviluppo dal basso (buttom up) offre a suo parere maggiori garanzie: “Con il 5G è possibile costruire reti “attorno” ai servizi, aggiungere server di contenuti, sensori, attuatori, “oggetti” che potenziano l’efficacia e la qualità del servizio… Nello scenario 5G sono le esigenze del servizio a definire le reti fisiche specifiche che ne esaltano la qualità; reti dedicate, flessibili e intelligenti, costruite attorno al servizio e integrate con gli oggetti fisici che lo rendono possibile”. Il quarto pezzo di Sassano analizza il rapporto tra “rete unica” e “reti-servizio” nell’era dell’Internet delle Cose “La competizione infrastrutturale sarà tra reti integrate con il servizio, gestite da operatori che hanno interesse a ottimizzarne l’efficienza per migliorare qualità dell’esperienza dell’utente e, al tempo stesso, proteggere e valorizzare i dati prodotti grazie all’uso di algoritmi di intelligenza artificiale”. Per Sassano “Le reti-servizio hanno bisogno di comunicare tra loro, di scambiarsi dati in modo sicuro e protetto e di interagire. Questo è il ruolo della rete neutrale. Non è una rete fisica “stupida” e passiva, ma una rete attiva, in grado di garantire la “consegna” del traffico Internet a tutti in modo neutrale ma anche efficiente. La rete neutrale è un operatore wholesale only, mentre tutte le reti-servizio, dal grande porto al singolo utente domestico o business, sono suoi clienti retail”. Sassano conclude il suo “Pentìttico” dedicandosi alle future reti per la distribuzione dei contenuti dopo la fine delle reti broadcasting verticalmente integrate. “Tutto questo è finito. Già con la transizione che si completerà a giugno del 2022, i Fornitori di Servizi Media Audiovisivi (FSMA) come RAI, Mediaset e Cairo avranno a disposizione capacità trasmissiva su multiplex gestiti da operatori di rete non controllati dallo stesso proprietario. Dunque, dal giugno 2022, anche le reti digitali terrestri saranno reti neutrali (non uniche!) adatte al trasporto dei contenuti video ricevibili dai nostri televisori. Quegli stessi contenuti, come già accade saranno veicolabili sulla rete Internet fissa in fibra o sulle reti mobili 5G e ricevibili da antenne fisse o da veicoli in movimento come ogni altro contenuto veicolato su quelle reti. E’ dunque sul viale del tramonto la specificità delle reti di diffusione digitali terrestri. […]Anche le reti 5G saranno in grado di riconfigurarsi dinamicamente in modalità “unicast” sulla base delle esigenze di diffusione dei contenuti (5G broadcast) e comunque al fine di assicurare larghissime coperture “unicast” i satelliti potranno essere concorrenti davvero temibili in combinazione con il 5G. Dunque, gli elementi “materiali” che caratterizzeranno la Qualità del Servizio di broadcasting televisivo saranno soprattutto le Content Delivery Network – CDN che dovranno sempre di più essere proprietarie e costruite “attorno” agli utenti grazie ad algoritmi di allocazione dinamica dei contenuti sui “server” in grado di assicurare una visione di altissima qualità anche in presenza di traffico o colli di bottiglia della rete fisica”.
Descrivere il caotico e creativo processo di evoluzione della società verso un futuro con caratteristiche e specificità continuamente “mutate” dalle nuove tecnologie non è un compito difficile, direbbe qualcuno, è impossibile. Dunque quando ci viene affidato il compito di descrivere la natura e i possibili effetti di quelle trasformazioni tecnologiche su mercato, società e futuro degli “umani”, il primo istinto è quello di chiamarsi fuori. Poi curiosità, affetto per gli amici che lo chiedono e, soprattutto, voglia di mettere ordine nelle proprie idee ci fanno rispondere positivamente e ci consegnano all’angoscia delle sei cartelle nelle quali scrivere alcuni brevi cenni sul futuro del mondo. La mia scelta, questa volta, è stata quella di toccare cinque temi generali (il numero dipende dal fascino della citazione) che, a mio parere, incrociano alcune delle principali questioni di quella che taluni chiamano “rivoluzione digitale”. Eccoli:
- Una nuova Internet: coerente con il sogno dei suoi fondatori.
- La valorizzazione e la protezione dei dati.
- La “materializzazione” di Internet
- Rete “unica” e Reti-Servizio.
- Le future reti per la distribuzione dei contenuti
Una Rete coerente con il sogno dei suoi fondatori, oggi dirottata dagli Over-The-Top
Internet fu originariamente pensata e realizzata per garantire la connessione tra “pari” (“peer to peer”), contro qualsiasi tentativo esterno di controllo o isolamento. La sua evoluzione recente ha totalmente abbandonato quel sogno originario. Stiamo assistendo ad una vera e propria mutazione genetica di Internet (la rete vera e propria) e del Web (la ragnatela delle “pagine web”). La mutazione consiste nella crescente centralizzazione. Le pagine e i siti di tutti, dai singoli alle imprese, sono sempre più spesso ospitate in centri specializzati che contengono migliaia di “server” e sono gestiti dalle grandi piattaforme del web: Facebook, Google, Amazon e Microsoft. Internet, nato per essere distribuito e resistente agli attacchi nucleari diventa sempre più concentrato ed esposto ad attacchi contro i suoi punti nevralgici. Un sogno è stato dirottato. Questo avviene sotto gli occhi di Stati e Regolatori, che assistono impotenti alla “mutazione”.
Un blackout di Google, nella notte del 3 giugno 2019, ha azzerato servizi di posta e di social network per centinaia di milioni di utenti. Si è trattato di un “semplice” disservizio informatico (dice Google) e non di un attacco vero e proprio. Cosa accadrà quando i gangli vitali della nostra Internet centralizzata e sempre più pervasiva saranno attaccati di proposito. Ospedali, aeroporti, sistemi di sicurezza e monitoraggio, dati bancari e personali, tutto e sempre di più dipende da (relativamente) poche grandi “server farm” iper-protette e terribilmente energivore.
Questo web centralizzato, il “cloud”, nel quale le pagine web di un argentino, di un giapponese e di un australiano risiedono in un server in Finlandia, è estremamente concentrato anche in termini degli operatori che lo gestiscono. Amazon non è (soltanto) un marketplace per comprare di tutto. E’ soprattutto la sua piattaforma AWS che gestisce il 33 per cento delle infrastrutture “cloud” del mondo. Una concentrazione incredibile. Un altro 33 per centoè gestito da Google, Microsoft e IBM. Quattro grandi operatori gestiscono i due terzi del “cloud” mondiale. Il traffico della rete tra pagine non residenti sulle piattaforme “cloud” è in rapida diminuzione ed è stimato che nel 2021 scenderà intorno al 2 per cento del totale. Cioè, solo nel 2 per cento dei casi la mia pagina web sarà scaricata dal mio computer e letta dal computer del richiedente. Nel restante 98 percento dei casi sarà in un computer in Finlandia o, meglio, in uno o più computer scelti da un algoritmo e sparsi nelle “server farm” delle grandi piattaforme in modo tale da ottimizzare l’accesso.
Ecco dunque la prima grande “mutazione”. Internet, pensata per essere distribuita, acefala e resiliente agli attacchi ai “single point of failure” che diviene centralizzata e dipendente dalla difesa “militare” dei grandi data center.
Inevitabile? Certamente no! A mio avviso si tratta di un dirottamento. I grandi Over The Top hanno sviluppato strumenti efficienti per estrarre dati e informazioni dalle nostre vite e il modo più efficace per organizzare i loro sistemi di calcolo è apparso immediatamente il “cloud” centralizzato.
Si può cambiare direzione? Certamente si! E il bello è che anche questo cambiamento di rotta è una scelta tecnologica (ahi! Ecco il tecnologo!) Non si tratta di “combattere” contro le grandi piattaforme OTT ma a favore di uno sviluppo del Web coerente con il sogno originario. Distribuito, resistente alle interferenze, senza “gatekeeper”. Un web nel quale la fiducia negli intermediari (piattaforme) non debba essere, come ora, illimitata. Dove non si sia costretti ad affidare al “cloud” tutti i nostri dati e il nostro “sapere”, fidando nel buon comportamento degli OTT. Piuttosto, un Web distribuito, senza intermediari e nel quale lo scambio di beni e informazioni “peer to peer” sia affidata ad algoritmi di “trust” (come quelli delle BlockChain) e la cui affidabilità sia garantita da una trasparente applicazione di proprietà matematiche.
E’ possibile costruirlo localmente? Certamente. L’esperienza di piccoli paesi come l’Estonia ci mostra come questa scelta possa essere realizzata e sostenuta da politiche nazionali e come l’esperienza locale consenta di presentarsi in Europa per proporre politiche innovative e non per subire le scelte altrui. Usiamo questa prima scelta strategica per valutare una scelta politica di dettaglio. La Web Tax va nella direzione di contrastare il Web centralizzato? Assolutamente NO. E’ un obolo (per gli OTT) di difficile calcolo e soggetto all’inevitabile fuoco di sbarramento dei legali delle grandi piattaforme. E’ un vicolo cieco che non porta certamente alla modifica della struttura del Web. E senza modificare la struttura del Web, assecondando le politiche del “cloud” centralizzato e di cessione agli OTT di ogni nostro servizio, la democrazia stessa è in pericolo.
A proposito di valorizzazione e protezione dei dati. Alcune leggende e mantra da sfatare
Sono i dati il “driver” principale dell’economia del web. La materia prima per la quarta rivoluzione industriale che stiamo vivendo. Non necessariamente “big data” ma “good data”. Dati con alto contenuto informativo. È il contenuto informativo dei dati raccolti da un nuovo servizio che ne determina la redditività e che dunque attrae capitale di rischio e capitali “tout court”.
Google tenta di convincerci che i dati sono come l’aria. Un bene di tutti, non escludibile. Sono piuttosto gli algoritmi a fare la differenza. Questa affermazione (spesso presa per buona anche dalle Autorità di Regolazione) è quantomeno discutibile. Qualcuno sostiene che gli algoritmi si fanno domande sempre più sofisticate man mano che apprendono e dunque il valore dei dati cresce con la qualità delle domande che gli algoritmi si pongono. Dunque, i buoni dati stimolano gli algoritmi a migliorare e chi li programma a porsi obiettivi sempre più ambiziosi.
I dati hanno un effetto diretto sull’economia reale non solo perché cambiano i rapporti concorrenziali ma soprattutto perché determinano le scelte degli investitori. Perché investire in una compagnia aerea se Uber è in grado di produrre dati di migliore qualità e ha dunque un miglior posizionamento strategico in quello che Shoshana Zuboff chiama il “capitalismo della sorveglianza”. Investire in Uber o in iniziative analoghe è più redditizio che investire in Alitalia o nell’Ilva. I ritorni sono maggiori e i rischi minori.
Dunque i dati vanno protetti e valorizzati. Di più: deve essere sviluppata tra i cittadini ma soprattutto tra le imprese e nella Pubblica Amministrazione la percezione del loro valore. Le leggi europee sulla protezione dei dati puntano alla protezione dei dati personali. Ma chi difende i dati delle imprese? Soprattutto delle imprese medio piccole (il tessuto di base del sistema industriale italiano). Il “mantra” dei nostri giorni è: spostatevi nel “cloud”, fate gestire “as-a-service” i vostri dati e i vostri processi. Ma se dati e processi sono proprio il nostro “sapere” minuto e di difficile replicabilità, ciò che ci rende competitivi nel mondo, è davvero una buona idea quella di affidarlo al “cloud” centralizzato? O stiamo cedendo uno degli oggetti più preziosi ancora presenti nel nostro tessuto industriale.
E ancora. La scelta politica di dettaglio dell’”open data”; del mettere i dati prodotti dalla Pubblica Amministrazione e di chi lavora per la Pubblica Amministrazione medesima a disposizione di tutti, senza protezioni, garanzie e vincoli è una buona politica? Certo, è utile per le startup; ma non solo per loro, anche per le grandi piattaforme che hanno algoritmi più potenti e in grado di mettere meglio a frutto i nostri dati. E poi, dove finiscono le startup? Nella maggior parte vengono divorate come “plancton” dalle grandi piattaforme. Tutto finisce li. Anche il nostro “saper fare”.
Per questo le aziende tedesche (come Bosch a Dresda o il Porto di Amburgo) ma anche il Porto di Southampton hanno iniziato a costruire “isole” 5G, blindate verso l’esterno a protezione di dati e informazioni. Per questo l’Amministrazione tedesca e il regolatore inglese OFCOM le aiutano, riservando loro una porzione di spettro 5G che non andrà alle società di telecomunicazioni e favorendo lo sviluppo di “isole” 5G.
Dunque, la scelta strategica deve essere: Protezione e valorizzazione dei dati. Aumento della consapevolezza delle nostre imprese e della Pubblica Amministrazione che i dati hanno valore e creano nuovo valore. Politica industriale lo sviluppo di reti che garantiscano questa protezione e limitino l’invasività delle grandi piattaforme. Isole “5G”, uso degli “smart contract” su BlockChain per favorire un mercato dei dati, frequenze dedicate, Web e “cloud” distribuito. E infine, Potenziamento delle politiche europee, con strategie di raccolta, protezione e valorizzazione dei dati a livello comunitario (in particolare in agricoltura e per tutte le applicazioni della “Green Economy” ora così centrali per il PNRR). I capitali arriveranno a rafforzare le startup europee se e solo se i dati verranno protetti e valorizzati (senza essere regalati).
Mettiamo di nuovo alla prova le nostre linee strategiche con le proposte di politica industriale sul tappeto. La politica di costringere gli OTT a tenere i dati in “cloud” europei (sempre sotto il loro controllo) e di non “portarli all’estero” non è una contromisura ma è una cortesia per gli OTT. Una delle prime regole del “cloud” centralizzato è quella di avvicinare i dati agli utilizzatori. Piuttosto, chi garantisce che i “risultati degli algoritmi applicati a questi dati” (e non i dati stessi) non verranno esportati. Nessuno. Ecco perché si tratta di una misura inefficace.
La “materializzazione” di Internet (1). Perché uno sviluppo dal basso (bottom-up) offre maggiori garanzie
Una delle “mutazioni” più radicali in arrivo (la più radicale a mio avviso) è quella della “materializzazione di Internet” prodotta dalle reti wireless di quinta generazione (il cosiddetto 5G), grandi “abilitatrici” dell’“Internet delle cose”. Detto in modo sintetico: finora Internet ha connesso gli umani, miliardi di umani, ora si appresta a connettere centinaia di miliardi di “oggetti” senza l’intermediazione umana.
La frase ricorrente “si, ci sono le reti, ma gli umani non le utilizzano, non hanno la cultura per utilizzarle” va definitivamente in soffitta. Centinaia di miliardi di “oggetti” (o “soggetti”?) saranno, tra breve, perfettamente in grado di utilizzare le nostre reti per interagire. Auto, colonnine di ricarica, pacemaker, vestiti e attrezzature sportive, treni, camion, pacchi e container si scambieranno informazioni e interagiranno su reti sempre più flessibili e pervasive.
La descrizione della rete come luogo dell’immateriale si adattava alle caratteristiche della prima fase dello sviluppo del web, con servizi che non avevano bisogno di oggetti fisici per funzionare in modo efficiente. Una e-mail, una ricerca sul web, l’ordine di un oggetto o lo “streaming” di un film erano attività che non avevano bisogno di una rete fisica dedicata. Con il 5G questo cambia radicalmente; è possibile costruire reti “attorno” ai servizi, aggiungere server di contenuti, sensori, attuatori, “oggetti” che potenziano l’efficacia e la qualità del servizio.
Non si tratta di una semplice transizione tecnologica. L’evoluzione cambierà “driver” e protagonisti degli ingenti investimenti necessari per realizzare le reti di nuova generazione e, di conseguenza, avrà effetti duraturi sulla struttura del mercato e sul futuro valore dello spettro. Cerchiamo di capire perché.
Nello scenario 5G sono le esigenze del servizio a definire le reti fisiche specifiche che ne esaltano la qualità; reti dedicate, flessibili e intelligenti, costruite attorno al servizio e integrate con gli oggetti fisici che lo rendono possibile.
Già in passato avevamo alcune reti di questo tipo: ad esempio proprio le reti di “broadcasting” radio-televisive che sono le protagoniste di altri contributi di questo focus, con i loro trasmettitori specializzati e dedicati al trasporto di specifici contenuti (i programmi TV).
La rete Internet e il web di prima generazione hanno invece rappresentato un paradigma diverso: una singola rete che trasporta pacchetti che possono essere un film, una telefonata, una pagina web o i dati di un sensore. E’ in questo ecosistema che sono nati gli OTT (servizi che utilizzano una rete neutra).
Nell’ecosistema 5G, lo sviluppo sinergico e integrato di reti e servizi sarà invece la regola, con la realizzazione di reti costruite “attorno” ai servizi del futuro: computer al bordo delle strade e sui veicoli che potenziano la rete di comunicazione e rendono possibile la guida assistita e autonoma; reti di distribuzione dei contenuti (CDN) che ottimizzano il flusso dei contenuti della tv in “streaming” per rendere possibile una visione senza interruzioni ad alta risoluzione; set-top-box di intrattenimento domestico, sensori e apparati medici per la medicina di prossimità e per abilitare i sistemi di produzione 4.0.
La competizione tra operatori infrastrutturati diverrà dunque la regola e gli investimenti in reti “su misura” il suo strumento principale. Ma come si svilupperà il nuovo ecosistema? Quali saranno i suoi “driver”?
La prima “ipotesi di sviluppo” dell’ecosistema 5G è stata quella “dall’alto”, “top down”. Le reti specializzate nei singoli servizi nascono come “slicing” (affettamento) di una rete “madre”, i cosiddetti “verticals”.
Si tratta di uno scenario di elezione per le Telco (e per gli over-the-top ) perché la rete “madre” risponde all’identikit delle attuali reti incumbent: deve infatti avere la possibilità di utilizzare tutte le possibili soluzioni tecnologiche (dalla fibra, al wireless, al cloud), di gestirle in modo virtuale e trasparente all’utente finale e di offrire a quest’ultimo una rete virtuale dedicata (una “slice”) grazie a sofisticati algoritmi di orchestrazione.
È uno scenario nel quale una società di streaming video, una casa costruttrice di automobili, una grande azienda di produzione, un (aero)porto, un ospedale o un produttore di apparecchi medicali realizzano le proprie reti in modo virtuale, “orchestrati” da operatori che gestiscono per loro comunicazione, “cloud” e intelligenza dei processi assegnandogli una fetta dedicata della rete “madre”.
Questa “ipotesi di sviluppo” delle reti di nuova generazione ha però una conseguenza altamente indesiderabile. Il peso degli investimenti sulla rete fisica tende a ricadere tutto sul gestore della rete “madre”, con l’effetto di condizionare la qualità del servizio di tutte le reti specializzate alle decisioni di investimento del super-incumbent.
Inevitabilmente, ci troveremo di fronte a un bivio.
Da un lato, la continuità, con la gestione affidata agli attuali operatori di telecomunicazioni interessati a non uccidere troppo presto la “cash-cow” del 4G o delle reti già esistenti e la conseguente, inevitabile, minor enfasi sugli investimenti nelle nuove reti e nello sviluppo dei servizi del futuro.
Dall’altro, potremmo assistere all’affermazione di operatori con tasche molto profonde e capacità di trasformare in valore il ruolo di orchestratore. In questo schema, il processo che aveva portato alla nascita degli Ott con una fornitura di servizi “in cambio” di dati verrebbe replicato e amplificato nel nuovo scenario della rete materializzata. Infatti, per consentire all’orchestratore di ottimizzare la struttura della rete “attorno” al servizio, un’azienda dovrebbe mettere a sua disposizione dati di produzione e informazioni sulla struttura dei suoi processi. Una vera e propria cessione del proprio “patrimonio aziendale”. I gestori delle “slice” diverrebbero rapidamente gli Ott della prossima generazione.
Lo scenario “top down” non è però inevitabile. Un possibile scenario alternativo non solo esiste in teoria, ma prende già una forma molto concreta in alcuni paesi europei, con in testa il Regno Unito e la Germania. Si tratta di un’ipotesi di sviluppo nella quale lo sviluppo parte “dal basso”, “bottom up”, e dalla realizzazione di reti 5G locali, gestite dai “service provider”, sicure e “blindate” verso l’esterno. Si tratta di quelle che nel primo paragrafo abbiamo definito come “isole 5G”.
Perché e meglio scegliere l’opzione “bottom up“ e ricorrere a reti-servizio e a isole 5G
Sono reti nelle quali i dati e le informazioni sui processi vengono protette da accessi esterni e che si aprono alla condivisione in modo controllato e protetto. Queste reti sono state definite in molti modi: private, regionali, “campus”, locali. Credo che la definizione più appropriata sia quella di “reti-servizio”. Un termine che include la rete (LAN) del singolo utente domestico ma anche la rete di un ospedale o del servizio di sanità pubblica, di un’infrastruttura di trasporto, di una fabbrica 4.0, di un operatore di “streaming tv” o di un operatore di telefonia mobile.
Il processo di sviluppo “bottom up” avrebbe una natura “favorevole agli investimenti” (investment friendly), ogni fornitore di servizio specializzato avrebbe tutto l’interesse a realizzare la propria rete-servizio. Si tratterebbe di un co-investimento di nuova generazione: non scavare insieme la stessa trincea o realizzare un cavidotto comune, ma contribuire alla realizzazione delle nuove reti 5G investendo, in parallelo, su reti-servizio distinte e tra loro in competizione.
All’aspetto del co-investimento si aggiungerebbe anche quello del contributo all’avanzamento tecnologico e soprattutto alla cybersecurity “by design”. Le reti-servizio non sarebbero “fette” di una rete “madre” sulla quale circolano i pacchetti di tutti, ma potrebbero essere progettate con protezioni verso le intrusioni “dall’esterno” e rese sicure per una gestione autonoma del proprio servizio, sulla propria rete e condividendo i propri dati in modo controllato.
Si tratta di un’ipotesi di sviluppo che non azzererebbe la competizione infrastrutturale, ma la sposterebbe dalla competizione basata sull’accesso e dalla “scala degli investimenti” degli anni Novanta alla competizione tra reti specializzate dedicate allo stesso servizio: la soluzione per la rete dedicata alla gestione di un porto dell’operatore A contro la soluzione per lo stesso servizio proposta dall’operatore B. Inoltre, grazie alla dimensione locale della sfida, non favorirebbe solo i giganti del web, ma anche la creatività e la capacità imprenditoriale di centinaia di aziende, anche di piccola e media dimensione.
Una ipotesi astratta? Non è così. Questa ipotesi deve essere piaciuta ai giganti industriali che solo marginalmente erano stati toccati dalla prima Internet, quella immateriale, e che invece si vedevano minacciati dalla nuova “Internet delle cose”. In Germania, il fondamentale settore dell’automotive e la grande industria manifatturiera hanno rifiutato immediatamente l’idea di essere orchestrati dal super-incumbent e hanno fatto propria l’ipotesi di uno sviluppo “dal basso” dell’ecosistema 5G.
Il “driver” principale della scelta e del parallelo lancio dell’iniziativa del “cloud” europeo Gaia-X in grado di funzionare efficientemente anche in ambienti “distribuiti” (punto 1) è la crescente percezione del valore dei dati (punto 2), molto bassa da parte degli utenti ma altissima da parte di aziende e organizzazioni pubbliche. Il “capitalismo della sorveglianza” si è potuto affermare per la disponibilità degli utenti a cedere dati e informazioni personali in cambio di servizi. La stessa disponibilità non esiste per le aziende.
Nello scenario della “materializzazione” di Internet il numero di imprese e organizzazioni che attribuiscono grande valore ai dati prodotti nei propri processi cresce in modo considerevole e aumenta la percezione del fatto che gli algoritmi di “data mining” arricchiscono il valore dei dati aziendali e creano valore per gli azionisti.
Rete “unica” e “reti-servizio” (2) nell’età dell’Internet delle Cose. Per una Rete neutra interconnessa con le singole e specifiche “reti-servizio”
Il dibattito sulla “rete unica” ruota attorno a due questioni strettamente correlate: la definizione del suo perimetro ottimale e la necessità che sia o meno verticalmente integrata.
Fino a oggi, nell’universo dei sistemi “a rete”, il termine integrazione verticale è stato utilizzato per indicare l’integrazione tra la gestione di reti che rendono disponibile connettività “all’ingrosso” con l’utilizzo di quella connettività per la fornitura di servizi “al dettaglio”: la rete digitale terrestre Tv e i servizi di “broadcasting” e di raccolta pubblicitaria, la rete telefonica e il servizio voce o dati, la rete ferroviaria e il trasporto merci e passeggeri.
Nello scenario 5G, – repetita juvant – la “materializzazione” di Internet (punto 3) genera una molteplicità di reti costruite attorno a specifici servizi e integrate con gli oggetti fisici che li rendono possibili: computer al bordo delle strade (edge computing) e sui veicoli che permettono la guida assistita e autonoma; reti di distribuzione dei contenuti (CDN) che ottimizzano il flusso dei contenuti della televisione in “streaming” per rendere possibile una visione senza interruzioni ad alta risoluzione; consolle di intrattenimento domestico, sensori (e apparati medici) per la medicina di prossimità e per abilitare i sistemi di produzione 4.0.
La competizione infrastrutturale sarà tra reti integrate con il servizio, gestite da operatori che hanno interesse a ottimizzarne l’efficienza per migliorare qualità dell’esperienza dell’utente e, al tempo stesso, proteggere e valorizzare i dati prodotti grazie all’uso di algoritmi di intelligenza artificiale.
Le reti-servizio hanno bisogno di comunicare tra loro, di scambiarsi dati in modo sicuro e protetto e di interagire. Questo è il ruolo della rete neutrale. Non è una rete fisica “stupida” e passiva, ma una rete attiva, in grado di garantire la “consegna” del traffico Internet a tutti in modo neutrale ma anche efficiente.
Una rete dal funzionamento coerente con le regole europee sulla net neutrality (neutralità della rete), ma anche in grado di sfruttare le caratteristiche di decomponibilità del traffico su reti virtuali dedicate (slicing) garantite dal 5G. Insomma, una rete che assicura in modo neutro, imparziale ed efficiente la connessione a tutte le reti-servizio specifiche.
È la rete neutrale che dovrà garantire il nuovo accesso universale, rendendo ogni “luogo” del paese adatto alla realizzazione di ogni specifica rete-servizio garantendo un level playing field per la competizione infrastrutturale.
Ovviamente, dovrebbe essere una rete con tariffe di accesso definite dall’Autorità di regolazione e con l’unica missione di giungere a una copertura universale del Paese e di garantire a tutti una connessione Internet di qualità crescente. Insomma, una rete neutrale con tutte le caratteristiche per essere “unica” e difficilmente replicabile.
La definizione del perimetro di una rete neutrale con queste caratteristiche diviene molto semplice: la rete neutrale arriva ovunque, ma si ferma al confine di ogni rete-servizio.
Facciamo qualche esempio per chiarire il concetto.
La rete neutrale arriva a casa degli utenti ma non include la LAN (Local Area Network) domestica; arriva ai siti di broadcasting ma non include i trasmettitori (e le frequenze); collega le CDN (content delivery network) per la distribuzione dei contenuti o le reti di edge computing ma non le include; collega le stazioni radio-base per il servizio mobile o Fwa (fixed wireless access) ma non le comprende.
Un operatore che ha acquisito le frequenze per il servizio mobile/Fwa o intende installare in ambiente domestico una smart-Tv o una consolle dedicata a servizi di intrattenimento avrà diritto a realizzare la propria rete, in competizione con altre reti-servizio, e ad usufruire di una connessione efficiente a Internet garantita dalla rete neutrale.
Tutto ciò richiede ovviamente l’assenza di ogni possibile integrazione verticale tra la rete neutrale e una rete asservita a uno specifico servizio. Dunque, è escluso che un broadcaster Tv, un proprietario di una rete mobile o di streaming Tv controlli anche la rete neutrale.
Di più: nessun proprietario di rete-servizio potrà avere una posizione tale da condizionarne le strategie di sviluppo. Questa definizione riguarda dunque l’integrazione verticale tra rete neutrale e reti-servizio. La distinzione tra mercato wholesale e mercato retail che aveva caratterizzato la fase di liberalizzazione del settore delle telecomunicazioni assume invece connotati diversi nello scenario 5G.
Per analizzare la nuova configurazione dei mercati è utile fissare la nostra attenzione su una particolare rete-servizio, quella costituita dalla LAN di proprietà di un utente finale (domestico o business) e collegata alla rete neutrale che consegna il traffico Internet alla porta di casa o dell’ufficio. Si tratta di una particolare rete-servizio, composta dai computer, dalle consolle, dalle smart-Tv e da tutti gli “oggetti connessi” e i dati prodotti a casa dell’utente e che quest’ultimo vuole proteggere dalle interferenze esterne.
Fino a oggi il servizio di connessione a Internet dell’utente domestico o “business” è stato svolto da intermediari: direttamente dai gestori delle infrastrutture fisse oppure da operatori virtuali che cooperano all’attività commerciale e ai profitti degli operatori infrastrutturati, acquistando traffico all’ingrosso e vendendolo al dettaglio.
Nel nuovo scenario la rete neutrale (e unica) ha il sostanziale monopolio dell’“ultimo miglio”, giunge fino a casa dell’utente e offre un servizio neutrale di connettività alle tariffe fissate dall’Autorità di regolazione.
La presenza di una rete di questo tipo azzera la ragione d’essere di un qualsiasi margine tra prezzo all’ingrosso e prezzo al dettaglio per il servizio di mera connessione a Internet. La qualità del servizio wholesale alla porta di casa sarebbe identica a quella di un qualsiasi servizio “retail”.
La vera competizione nello scenario 5G è invece quella tra reti-servizio, ovvero reti che al mero traffico Internet aggiungono una componente infrastrutturale del servizio. La rete neutrale è un operatore wholesale only, mentre tutte le reti-servizio, dal grande porto al singolo utente domestico o business, sono suoi clienti retail.
Le future reti per la distribuzione dei contenuti video dopo la fine delle reti broadcasting verticalmente integrate
La descrizione delle “mutazioni” indotte dalla “centralizzazione” del “cloud”, dalla scoperta del valore dei dati e dalle conseguenze della “materializzazione” di Internet facilitano, credo, il compito di gettare uno sguardo alla forma che prenderà (o, meglio, che potrebbe prendere) la distribuzione dei contenuti video nel nuovo scenario tecnologico.
Partirei dai punti meno controversi (spero). Innanzitutto la fine dell’integrazione verticale. In effetti, l’integrazione verticale non è stata una caratteristica propria di tutte le reti per la distribuzione dei contenuti. Le reti satellitari sono state, al contrario, esempi di reti non verticalmente integrate dove Astra ed Eutelsat agivano da “carrier” e SKY da fornitore/aggregatore di servizi media audiovisivi.
Va però detto che le reti televisive e radiofoniche analogiche e digitali, nazionali e locali, sono state a lungo l’archetipo delle reti verticalmente integrate. I trasmettitori RAI e Mediaset sulle colline e sui monti italiani erano da decenni dedicati alla trasmissione di specifici programmi televisivi. Al punto che abbiamo finito con il chiamare “canali” (termine radioelettrico sinonimo di frequenza) i singoli palinsesti trasmessi.
Tutto questo è finito. Già con la transizione che si completerà a giugno del 2022, i Fornitori di Servizi Media Audiovisivi (FSMA) come RAI, Mediaset e Cairo avranno a disposizione capacità trasmissiva su multiplex gestiti da operatori di rete non controllati dallo stesso proprietario.
Dunque, dal giugno 2022, anche le reti digitali terrestri saranno reti neutrali (non uniche!) adatte al trasporto dei contenuti video ricevibili dai nostri televisori. Quegli stessi contenuti, come già accade saranno veicolabili sulla rete Internet fissa in fibra o sulle reti mobili 5G e ricevibili da antenne fisse o da veicoli in movimento come ogni altro contenuto veicolato su quelle reti.
E’ dunque sul viale del tramonto la specificità delle reti di diffusione digitali terrestri. La “mutazione” in atto riduce enormemente il valore di quelle reti di diffusione e anche le interessanti prospettive della trasmissione “unicast” che quelle reti possono assicurare, descritte nell’interessante contributo di Antonio Arcidiacono in questo focus, sarà difficilmente compensata dai significativi costi di gestione dei grandi impianti di broadcasting televisivo.
Anche le reti 5G saranno in grado di riconfigurarsi dinamicamente in modalità “unicast” sulla base delle esigenze di diffusione dei contenuti (5G broadcast) e comunque al fine di assicurare larghissime coperture “unicast” i satelliti potranno essere concorrenti davvero temibili in combinazione con il 5G.
Dunque, gli elementi “materiali” che caratterizzeranno la Qualità del Servizio di broadcasting televisivo saranno soprattutto le CDN che dovranno sempre di più essere proprietarie e costruite “attorno” agli utenti grazie ad algoritmi di allocazione dinamica dei contenuti sui “server” in grado di assicurare una visione di altissima qualità anche in presenza di traffico o colli di bottiglia della rete fisica.
Altro elemento fondamentale nel futuro della distribuzione dei contenuti potrebbe essere il controllo della rete domestica degli utenti, una delle reti-servizio di maggior criticità, tecnica e regolatoria, del panorama delle reti del futuro. In questo senso alla televisione “lineare” e “on demand” che abbiamo conosciuto in questi anni, si affiancheranno sempre di più elementi interattivi di gioco e realtà virtuale e di gestione della “casa intelligente”.
Inoltre assisteremo ad una competizione sempre più agguerrita per la conquista del “sancta sanctorum” della nostra intimità, la nostra casa e i dati che continuamente produce. Questa sarà la vera sfida per i “broadcaster” e per il servizio pubblico.
Ma questa è un’altra storia.
Note al testo
(1) Tratto in parte da Antonio Sassano, “Reti di servizio per la materializzazione di Internet”, La Voce.Info, 19 ottobre 2020., https://www.lavoce.info/archives/70020/reti-di-servizio-per-la-materializzazione-di-internet/.
(2) Tratto in parte da un articolo Antonio Sassano, “Il 5G corre, ma sulla rete neutrale”, La Voce.info, 28 ottobre 2020. Cf. https://www.lavoce.info/archives/70245/il-5g-corre-ma-sulla-rete-neutrale/.