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Democrazia Futura. Capire e raccontare la rivoluzione digitale: storia di un’ideologia

di Gabriele Balbi, Professore Associato all’Università della Svizzera italiana |

"L’ultima ideologia. Breve storia della rivoluzione digitale", il libro di Gabriele Balbi per capire come è nata la grande trasformazione tecnologica, economica e sociale del nostro tempo.

Gabriele Balbi

Gabriele Balbi, fra i più promettenti storici delle comunicazioni, riassume per i lettori di Democrazia futura e Key4biz il suo breve saggio L’ultima ideologia. Breve storia della rivoluzione digitale (Laterza, 2022) in un articolo in cui invita a “Capire e raccontare la rivoluzione digitale: storia di un’ideologia”. Per Balbi “La rivoluzione digitale è stata ribattezzata più volte nel corso del tempo e ciascuno di questi nomi ha rappresentato uno slogan da ‘vendere’ ai diversi attori sociali. Allo stesso modo anche le date di inizio della rivoluzione sono continuamente riviste e ritoccate a seconda delle società e dei periodi storici: per alcuni la rivoluzione nasce addirittura nell’Ottocento, molti indicano gli anni Novanta, altri sostengono che deve ancora cominciare”.

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L’idea di rivoluzione digitale ha accompagnato le società globalizzate degli ultimi decenni.

Soppiantando la forza propulsiva delle rivoluzioni politiche o economiche del Novecento, quella digitale ha promesso e continua a promettere un mondo migliore, ricchezze e nuovi stili di vita, eroi e valori inediti. Grazie alla digitalizzazione, per esempio, lavoreremo in maniera più smart, il pianeta sarà più green, i mercati finanziari vivranno un’epoca d’oro, la rappresentanza politica sarà più efficace, per citare solo alcuni dei presunti effetti di questa rivoluzione che da decenni vengono ritenuti come imminenti.

Ma come è nata ed è stata interpretata la rivoluzione digitale nel corso del tempo? Le retoriche che l’accompagnano sono sempre uguali oppure si adattano ai momenti storici e ai luoghi geografici? Quali sono gli attori umani, materiali e simbolici che accompagnano questa rivoluzione? Che interessi politici, economici e socioculturali nasconde e veicola? L’ultima ideologia. Breve storia della rivoluzione digitale[1]risponde a queste domande e vuole tracciare la storia di un’idea potente e incontrastata, che rappresenta forse l’ultima ideologia globale dei nostri tempi.

Capire la rivoluzione digitale

Capire la rivoluzione digitale, la sua storia e le varie narrazioni che si sono sovrapposte negli ultimi decenni significa, di fatto, comprendere un’ideologia che ha attraversato le società globali tra la seconda metà del Novecento e i primi anni Duemila. Un’ideologia fatta di discorsi simili anche in paesi e culture distanti, di stereotipi ripetuti e rinnovati nel corso del tempo, di una visione della storia lineare che porta da un mondo analogico a uno inevitabilmente digitale. Questo libro approccia la rivoluzione digitale sotto il profilo storico e argomentativo, ripercorrendo discorsi, parole chiave e stereotipi (in un termine, le narrazioni) che hanno portato alla costruzione retorica di questa ideologia dal secondo dopoguerra a oggi.

Rivoluzione digitale: significati e definizioni

Anzitutto, si mira a definire la rivoluzione digitale, un oggetto spesso sfuggente. E allora quali sono i significati e le definizioni di rivoluzione digitale che si sono imposte nel corso dei decenni e quali invece sono state scartate? Cosa vuole dire vivere in un’epoca caratterizzata dalla rivoluzione digitale e, soprattutto, quale periodizzazione storica può essere assegnata alla rivoluzione? La parola d’ordine in questo caso è variabilità: la rivoluzione dell’informazione negli anni Sessanta e Settanta del Novecento ha lasciato spazio al brand di rivoluzione digitale dagli anni Novanta e oggi sempre più a quello di trasformazione digitale.

La rivoluzione digitale è, insomma, stata ribattezzata più volte nel corso del tempo e ciascuno di questi nomi ha rappresentato uno slogan da ‘vendere’ ai diversi attori sociali. Allo stesso modo anche le date di inizio della rivoluzione sono continuamente riviste e ritoccate a seconda delle società e dei periodi storici: per alcuni la rivoluzione nasce addirittura nell’Ottocento, molti indicano gli anni Novanta, altri sostengono che deve ancora cominciare.

I parallelismi con altre rivoluzioni del passato

Tra le argomentazioni più interessanti per rimarcare il passaggio epocale da atomi a bit (una delle definizioni più comuni di rivoluzione e che si deve a Nicholas Negroponte e al suo Essere digitali del 1995[2]), ci sono i parallelismi con altre rivoluzioni del passato. La rivoluzione digitale somiglia alle rivoluzioni del fuoco, del libro e di molte altre comunicazioni e soprattutto alla rivoluzione industriale. Anzi, la rivoluzione digitale è la rivoluzione industriale del nostro tempo, secondo molti osservatori, perché ne ha la stessa forza e potenzialità di cambiamento.

Anche in questo caso, si tratta di una dimensione strategica: la rivoluzione digitale è l’erede dei cambiamenti epocali della storia umana, si pone sulle spalle e in continuità con i giganti. Non solo: la rivoluzione digitale è anche raccontata come la causa ultima (ecco una delle accezioni dell’aggettivo ultima nel titolo) dei cambiamenti più significativi del presente: pensiamo in particolare al rapporto simbiotico tra rivoluzione o trasformazione digitale, cambiamento climatico e necessità di un’azione rivoluzionaria per salvare il pianeta.

E di queste rivoluzioni, quella digitale ha ereditato alcune caratteristiche, anch’esse ossessivamente ripetute, fino a diventare veri e propri mantra: la promessa di un mondo migliore (più democratico, sostenibile, equo), la capacità della rivoluzione di modificare anche i più minuti aspetti dell’esistenza, l’irresistibilità e l’impossibilità di opporsi al fiume rivoluzionario che travolge chi o cosa gli si oppone, ma al tempo stesso il fatto che la rivoluzione digitale non sia mai compiuta nel presente ma potrà esserlo solo nel futuro.

Queste retoriche e discorsi di lungo periodo sono una sorta di applicazione alla rivoluzione digitale delle teorie rivoluzionarie classiche: pensiamo al fatto che la rivoluzione digitale debba essere permanente, aggettivo che Lev Trockij assegnò alla rivoluzione comunista[3], oppure all’irresistibilità che Hannah Arendt nel suo bellissimo libro Sulla rivoluzione[4] indicò come una delle caratteristiche di base delle rivoluzioni politiche.

Il carattere ideologico della rivoluzione digitale

Il carattere ideologico della rivoluzione digitale emerge infine nella sua dimensione quasi-religiosa. Alla rivoluzione digitale si deve credere, così come ai suoi protagonisti. Ci sono patriarchi e santi patroni della rivoluzione che l’hanno avviata, o tenuta a battesimo, e che sono numi tutelari che la proteggono: Alan Turing e Marshall McLuhan due nomi su tutti.

Profeti, messia, evangelisti e guru sono giornalisti, accademici, bibbie di carta come Wired, politici e soprattutto imprenditori del digitale che in maniera infaticabile promuovono o evangelizzano la rivoluzione.

Pensiamo alla funzione di Steve Jobs, Bill Gates, Elon Musk e molti altri (americani e non solo, dato che la rivoluzione parla sempre più cinese o un inglese con accento indiano).

Questi guru parlano per oracoli e profezie e sono idolatrati sui grandi giornali: basti pensare che nel 2021 Musk ha vinto sia il personaggio dell’anno di Time che quello del Financial Times. Un vero segno dei tempi, insomma.

La rivoluzione ha anche le sue reliquie, perlopiù dispositivi e aggeggi digitali che invecchiano rapidamente ma che ogni volta sono immancabilmente presentati come la nuova grande rivoluzione – oltretutto con parole molto simili dagli orologi digitali, al CD ROM, dagli smartphone alla next big thing, ovvero la “prossima grande cosa” in testa all’elenco delle nostre pulsioni di consumatori e dei nostri desideri di acquisto. 

L’ostensione delle reliquie avviene in luoghi specifici come le fiere high tech o i negozi specializzati o ancora in alcuni musei che stanno sempre più ricostruendo la storia della rivoluzione. Sono queste le mecche o i santuari della rivoluzione, il più importante dei quali è naturalmente la Silicon Valley, dove ci si reca per vedere e capire il futuro della rivoluzione digitale e dove la rivoluzione si fa ogni giorno.

Certo ci sono anche degli eretici, che indicano una direzione nefasta della rivoluzione (la digitalizzazione ha preso sempre più una piega apocalittica come la popolarità di documentari come The Social Dilemma su Netflix ha mostrato), ma che non mettono in dubbio il suo carattere rivoluzionario.

Conclusioni

Ma perché esiste e persiste questo grande racconto, che è così diffuso, globale e incontestato da essere configurabile come una visione del mondo del mondo? Perché una narrazione così forte serve alla nostra società per giustificare scelte politiche, come nei piani di ripresa post-Covid in cui la trasformazione digitale è una specie di parola chiave onnipresente, alle grandi aziende digitali per raccontarsi come le protagoniste della rivoluzione e in fondo serve a tutti noi, che facciamo la fila per acquistare i prodotti digitali o che passiamo così tante ore in loro compagnia.

Del resto, chi vuole essere escluso dalla rivoluzione forse più importante dopo la scoperta del fuoco?


[1] Gabriele Balbi, L’ultima ideologia. Breve storia della rivoluzione digitale, Roma – Bari, Laterza, 2022, 168 p.

[2] Nicholas Negroponte, Being Digital, New York, Alfred Knopf,1995, 243 p. Traduzione italiana di Franco e Giuliana Filippazzi: Essere digitali, Milano, Sperling & Kupfer, 1995, XIV-267 p.

[3]Lev Tochkij, Перманентная революция (Permanentnaja revoljucija), Berlin, Granit, 1930. Traduzione francese: La Révolution permanente, Les Éditions Rieder, Paris, 1932, 352 p. In Italiano: La rivoluzione permanente, Traduzione e introduzione di Livio Maitan, Torino, Einaudi, 1967, XXIX, 206 p

[4] Hannah Arendt, On Revolution, New York, Penguin Books, 1963, 351 p. (edizione originale consultabile on line: cr. https://archive.org/details/OnRevolution/mode/2up. Traduzione italiana: Sulla rivoluzione. Con una nota di Renzo Zorzi, Milano Edizioni di Comunità, 1965, LXXVIII, 334 p.

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