Le piattaforme

Democrazia Futura. Cambiamenti di stili e modelli di business per i programmi in streaming

di Dom Serafini, Direttore Video Age International |

Dalla stagione degli screamers a quella degli streamers: mentre i dirigenti di un tempo urlavano per ottenere più introiti dalle emittenti internazionali, creando più finestre per lo sfruttamento dei diritti, oggi gli streamer competono per realizzare meno vendite sul mercato e riservare lo sfruttamento dei contenuti alle proprie piattaforme.

Dom Serafini

Per sua gentile concessione Dom Serafini, direttore del mensile newyorkese Video Age international ci ha autorizzato a tradurre due suoi articoli dedicati ai “Cambiamenti di stili e modelli di business per i programma in streaming” nel passaggio “dalla stagione degli screamers a quella degli streamers” come recita l’occhiello. “Quando l’industria televisiva era un prodotto di “Main Street”, ovvero destinato ad una platea piccolo borghese essenzialmente provinciale, e guadagnava miliardi nell’arena internazionale, il settore era popolato da “screamers”, dirigenti a cui piaceva urlare contro i loro subalterni. A Norman Horowitz, buon’anima, piaceva raccontare la storia di quando chiese al suo capo alla Columbia, che lo stava redarguendo, se gli sarebbe piaciuto “risolvere il problema o continuare a urlare”. La sua risposta è stata: “Voglio continuare a urlare”. Tra gli urlatori più famosi si dice che ci siano Barry Diller, Jonathan Dolgen, Dawn Steel, Michael Eisner, Harvey Weinstein e Lew Wasserman, solo per citare alcuni dirigenti degli Studios di Hollywood. Ma c’erano anche urlatori famosi in altri campi, come Steve Jobs (Apple), Jeff Bezos (Amazon), Bill Gates (Microsoft) e Jack Welch (General Electric/NBC), che erano noti per alzare la voce con i loro dipendenti. Nei libri accademici questa pratica viene spesso definita “stile manageriale”, mentre a Hollywood, è semplicemente nota come “amore estremo” […] il che significa che se qualcuno veniva sgridato, ma non veniva licenziato, era perché l’urlatore riconosceva che quella persona aveva un talento fuori dal comune”. Oggi –  chiarisce Serafini – “Main Street è stata soppiantata da Wall Street e gli urlatori sono stati sostituiti da streamer più miti. Mentre i dirigenti di un tempo urlavano per far ottenere ai loro dipendenti più introiti dalle emittenti internazionali creando più finestre per lo sfruttamento dei diritti, gli streamer di oggi in genere competono per realizzare meno vendite sul mercato internazionale e riservare lo sfruttamento dei contenuti alle proprie piattaforme, cambiando così un modello di business che ha funzionato a meraviglia per oltre cinquant’anni”. Entrando ne “Il mondo segreto della produzione in streaming” Serafini osserva: “per tutti gli streamer le principali considerazioni per i budget messi a disposizione per le produzioni da loro commissionate includono il numero di abbonati che una nuova serie attirerà, quanto questo ridurrà il tasso di cancellazione degli abbonati, e quanto tempo impiegherà una serie a generare nuove sottoscrizioni, ovvero nuovi abbonati […]. Gli streamer devono valutare in anticipo il valore di una nuova serie, anche se i test hanno dimostrato che le valutazioni previsionali non sono effettivamente accurate. In effetti, se la produzione di un episodio di un nuovo show costasse 4 milioni di dollari, gli streamer conosceranno il suo valore effettivo solo una volta che sarà a disposizione sulle loro piattaforme […]. L’articolo si conclude esaminando “Il caso della serie House of Cards commissionata da Netflix”

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Quando l’industria televisiva era un prodotto di “Main Street”[1] e guadagnava miliardi nell’arena internazionale, il settore era popolato da “screamers”, dirigenti a cui piaceva urlare contro i loro subalterni. A Norman Horowitz, buon’anima, piaceva raccontare la storia di quando chiese al suo capo alla Columbia, che lo stava redarguendo, se gli sarebbe piaciuto “risolvere il problema o continuare a urlare”. La sua risposta è stata: “Voglio continuare a urlare“.

Tra gli urlatori più famosi si dice che ci siano Barry Diller, Jonathan Dolgen, Dawn Steel, Michael Eisner, Harvey Weinstein e Lew Wasserman, solo per citare alcuni dirigenti degli Studios di Hollywood. Ma c’erano anche urlatori famosi in altri campi, come Steve Jobs (Apple), Jeff Bezos (Amazon), Bill Gates (Microsoft) e Jack Welch (General Electric/NBC), che erano noti per alzare la voce con i loro dipendenti. Nei libri accademici questa pratica viene spesso definita “stile manageriale”, mentre a Hollywood, è semplicemente nota come “amore estremo” (dal libro del 1968 di Bill Milliken[2]), il che significa che se qualcuno veniva sgridato, ma non veniva licenziato, era perché l’urlatore riconosceva che quella persona aveva un talento fuori dal comune.

Comunque, il punto di questa analisi non è quello di screditare gli urlatori, ma di ricordare con affetto quanto quei tempi ad alto decibel fossero diversi rispetto a quando Main Street è stata soppiantata da Wall Street e gli urlatori sono stati sostituiti da streamer più miti. Mentre i dirigenti di un tempo urlavano per far ottenere ai loro dipendenti più introiti dalle emittenti internazionali creando più finestre per lo sfruttamento dei diritti, gli streamer di oggi in genere competono per realizzare meno vendite sul mercato internazionale e riservare lo sfruttamento dei contenuti alle proprie piattaforme, cambiando così un modello di business che ha funzionato a meraviglia per oltre cinquant’anni.

Secondo me, i tempi da urlo erano più gratificanti in termini di vendite, creatività e ambiente aziendale. Solo il tempo dirà come se la caveranno gli streamer e se avranno davvero successo oppure no.

Il mondo segreto della produzione in streaming

Qual è il modello finanziario di un programma televisivo realizzato per lo streaming? Quanto costa produrlo è facile da capire (ed è spiegato in fondo a questo articolo), ma quanto guadagnerà lo spettacolo ovvero quale sarà il valore del programma per la piattaforma rimane difficile da valutare. Un produttore canadese ha detto: “Vorrei conoscere la loro formula. Non viene messo a disposizione dei produttori esattamente quale sia il loro modello“.

Un produttore di Hollywood conferma: “Non lo so. Al momento della  vendita discutiamo di quale sia l’ordine di grandezza del budget che ci mettono a disposizione. Noi chiediamo di più, loro vogliono darci di meno e solo se  riceviamo offerte da più canali per lo stesso programma possiamo ottenere più soldi”.

Quando una serie è realizzata per la televisione tradizionale, il costo di ogni puntata è in gran parte a carico della rete che ha commissionato la serie, e il produttore recupera il deficit sul mercato internazionale, con il profitto che viene dalla syndication nazionale. Inoltre, in base alla sua popolarità e durata, ovvero al numero di episodi, la serie acquisisce un valore di archivio (library), un bene che i produttori possono utilizzare a garanzia per prestiti bancari. Per il broadcaster lo spettacolo ha un valore predeterminato (fornito dalle prevendite degli inserzionisti coinvolti in prima battuta), e quindi il profitto è facile da stimare.

Per determinare il valore di un programma realizzato ad hoc per lo streaming, i gestori di programmi su piattaforme online di videostreaming (che chiameremo d’ora in avanti gli streamer), utilizzano formule complesse, alcune ben definite, altre ancora in fase di messa a punto.

Un altro elemento da prendere in considerazione è il cosiddetto “prezzo di autovendita” ovvero la ricerca di una forma accettabile di Transfer Pricing, e cioè il prezzo che una divisione addebita ad un’altra divisione della stessa azienda (in pratica vendono a se stessi), e che dovrebbe essere il giusto prezzo di mercato che, quando ci sono coproduzioni, un azionista otterrebbe investendo in un programma prodotto per canali televisivi di altre società.

Tuttavia, per tutti gli streamer le principali considerazioni per i budget messi a disposizione per le produzioni da loro commissionate includono il numero di abbonati che una nuova serie attirerà, quanto questo ridurrà il tasso di cancellazione degli abbonati, e quanto tempo impiegherà una serie a generare nuove sottoscrizioni, ovvero nuovi abbonati. Da notare su quest’ultimo punto che, se non si produce un aumento significativo di nuovi abbonamenti dopo la seconda stagione di una nuova serie, si presume che quei nuovi abbonamenti non si materializzeranno e, di conseguenza, la serie viene cancellata.

Come determinare il valore di una serie per le piattaforme online

La formula per determinare il valore di una serie è triangolare (nel senso che prende in considerazione diversi elementi). Ad esempio, quando qualcuno si abbona a un contenuto che si suppone il nuovo utente voglia guardare, si attiva un processo che coinvolge elementi come gli analytics (analisi dei dati grezzi (o dei big data) o statistiche) e metriche (metodi per misurare qualcosa).

Gli streamer devono valutare in anticipo il valore di una nuova serier, anche se i test hanno dimostrato che le valutazioni previsionali non sono effettivamente accurate. In effetti, se la produzione di un episodio di un nuovo show costasse 4 milioni di dollari, gli streamer conosceranno il suo valore effettivo solo una volta che sarà a disposizione sulle loro piattaforme.

Il caso della serie House of Cards commissionata da Netflix

Analizziamo alcuni esempi del passato, come quando nel 2011 Netflix commissionò due stagioni della versione per gli Stati Uniti di House of Cards, con 13 episodi a stagione. Il costo compolessivo era di 100 milioni di dollari. Secondo alcuni resoconti, nel 2013 la serie ha generato tre milioni di nuovi abbonati (due milioni negli Stati Uniti, un milione all’estero), ovvero 280 milioni di dollari all’anno. La serie è proseguita per altre quattro stagioni. Quindi il valore di un nuovo programma è determinato da quanti nuovi abbonati genera, anche se dobbiamo ben capire se ci si abbona a causa di quella particolare serie o per un’altra.

È possibile che gli streamer assegnino un ipotetico “nuovo valore per gli abbonati” a ogni nuovo programma. Ma poiché lo spettacolo non offre altre fonti di reddito differite nel tempo, dopo un certo tempo il suo valore tende allo zero.

Netflix, ad esempio, ha stabilito che il tasso di successo di ogni sua nuova serie debba essere del 70 per cento e che se riesce a convincere ogni utente a guardarne almeno 15 ore ogni mese, ha il 75 per cento di probabilità  in meno di cancellazione. Se si scende al di sotto delle cinque ore mensili, c’è invece una probabilità del 95 per cento di cancellazione.

Per quanto riguarda i costi di produzione, Netflix e altri streamer in genere offrono un modello “cost-plus”, che copre il costo di produzione più una somma che varia tra il 15 e il 40 per cento in aggiunta ai costi di produzione (a seconda del potere contrattuale dei produttori). Quando gli accordi di Netflix riguardano la proprietà del prodotto (cioè acquisizioni), i produttori cedono la maggior parte delle future opportunità di guadagno a Netflix in cambio di un pagamento anticipato di maggiore entità. Per quanto invece riguarda le licenze d’uso, la durata dei diritti è fissata generalmente per un periodo di nove anni.

Un’altra formula introduce gli “anticipi contro il backend”. Un modello che riproduce la ripartizione dei profitti ai produttori nei modelli in vigore prima dell’affermazione dello streaming. I vari “punti di profitto” avvengono con diversi pagamenti differiti nel corso del tempo. Gli “anticipi contro il backend” vengono riconosciuti, in genere dalla seconda stagione di una serie. Nel caso di Netflix, tuttavia, occorre attendere la quarta stagione prima che la maggior parte delle produzioni seriali inizi a pagare gli anticipi del backend, e questo perché, secondo quanto riferito, Netflix cancella spesso le serie prima della quarta stagione.

Questo fenomeno è ben diverso da quanto avviene con le concessioni in licenza alle reti televisive tradizionali, che arrivano a coprire il 60 per cento dei costi di una produzione seriale. Tuttavia, i produttori mantengono i diritti, il che dà loro l’opportunità di maggiori guadagni nel momento in cui uno spettacolo è di successo.

I contratti di Netflix generalmente richiedono che siano i produttori a farsi carico dei diritti residui corrisposti ad attori, sceneggiatori e registi. Inoltre, Netflix generalmente tiene per sé gli introiti derivanti da qualsiasi pubblicità, che è limitata al product placement. I produttori rinunciano anche alla maggior parte dei diritti di merchandising.

Netflix garantisce bonus aggiuntivi per i produttori se uno spettacolo arriva a una seconda stagione e oltre. Ad esempio, un produttore di uno spettacolo Netflix di successo potrebbe guadagnare due milioni di dollari aggiuntivi se lo spettacolo arrivasse alla seconda stagione, ma lo stesso produttore potrebbe arrivare a guadagnare fino a 20 milioni di dollari se quello stesso spettacolo fosse stato concesso in licenza a una rete tradizionale.

Secondo quanto riferito, si prevede che in futuro ci saranno molte cause legali da parte di creatori di contenuti che ritengono di non essere stati adeguatamente remunerati per lo sfruttamento dei loro prodotti su piattaforme di streaming.

Il modello per il prodotto di archivio (library) è completamente diverso e sarà oggetto di una successiva analisi da parte di VideoAge, Water Cooler.


[1] Ovvero destinato ad una platea piccolo borghese essenzialmente provinciale

[2] Bill Milliken (con Char Meredith), Tough Love, Fleming H. Revell Company, 1968, 160 p.

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