Classificata dagli anni Settanta come “Il borgo degli artisti”, Calcata, 45 chilometri a nord di Roma nella Tuscia laziale, sulle ali del vento di anti-cultura che soffia da tempo nel nostro paese, conta ormai pochi artisti, quasi nessuna galleria, e il suo storico centro culturale chiuso da anni. Si è trasformata, come quasi tutti i paesi più suggestivi d’Italia, in uno dei tanti luoghi geometrici del ristorantino, del Bed & Breakfast e del negozietto vintage.
Tuttavia, il suo suggestivo e intatto impianto medioevale affacciato su una forra così vergine e quasi impenetrabile da ricordare il Lazio di Enea, quando non è occupato dalle comitive e dai turisti mordi e fuggi del week end, mantiene ancora il suo fascino atemporale. Soprattutto nei giorni feriali d’inverno, si possono ancora attraversare stradine, piazzette, terrazze, arcate, sotto passi deserti dove il rosso scuro del tufo si fonde con il verde intenso della natura che lo circonda e quasi lo abbraccia.
Così, nel silenzio, puoi ancora ascoltare lo scorrere giù nella valle del fiume Treja che, poco più lontano, genera le sue celebri cascatelle e uno specchio d’acqua davvero antico che è stato a lungo il quartier generale del cinema di genere italiano, rifugio segreto di perfide regine, sensuali ancelle e nerboruti eroi.
Allora, quel villaggio per secoli così isolato può liberarsi dalla contemporaneità, riscoprire i suoi fantasmi e tornare a vivere il suo tempo altro.
Qualcuno ha detto che Calcata è un’idea. E in effetti, nei rari giorni in cui l’umidità salendo dalla vallata e trasformandosi in nebbia fitta, appare come un morbido bianco cuscino su cui affondano le mura del borgo, sembra davvero che sia così.