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Democrazia Futura. Bce, Mes, immigrazione, i mulini a vento di Meloni

Giampiero Gramaglia

Commentando il recente discorso in Parlamento di Giorgia Meloni. Giampiero Gramaglia osserva come “L’Italia di Giorgia Meloni[1], in Europa, e non solo, è bravissima a scoprirsi dei mulini a vento, contro cui partire a lancia in resta, con poco da ottenere e talora nulla da perdere. Ma a fare ammoina – è l’idea di fondo – ci si guadagna sempre qualcosa. A volte, si tratta di lisciare il pelo dell’opinione pubblica, specie di chi vota i partiti della maggioranza di turno – è il caso del dossier dell’immigrazione ricorrente sotto forma di crisi, quando al più è un fenomeno, da almeno 12 anni -; a volte, si tratta di fare baratti – è il caso della ratifica della riforma del Mes, che qualcuno nei palazzi del potere romani vorrebbe giocarsi nei negoziati sulla riforma e l’allentamento del Patto di Stabilità”. Secondo Gramaglia “a Bruxelles la premier Giorgia Meloni ha scelto un bersaglio grosso: la Banca centrale europea, la Bce, colpevole di fare quello che tutte le banche centrali fanno quando di tratta di frenare l’inflazione, che è la loro missione primaria: alzare i tassi d’interesse. La battaglia contro la Bce nasce persa, anche perché la Banca è indipendente dal potere politico. Meloni potrà pure trovare qualche sponda al Vertice, perché l’aumento dei tassi è medicina amara per tutti. Ma le sortite fuori misura di esponenti della coalizione al potere in Italia non paiono buon viatico ai negoziati europei che dovrebbero essere prioritari per l’Italia, la revisione del Pnrr e lo sblocco della tranche in sospeso; e, ovviamente, la riforma del Patto di Stabilità.  Al Parlamento, Meloni ha detto di volere affrontare il negoziato sulla governance economica, che entrerà nel vivo non prima del mese di settembre di questo 2023, “con un approccio a pacchetto” […]  Secondo il giornalista di Saluzzo “c’è il rischio che la trattativa sfoci “in un pacco per l’Italia”, perché il no al Mes non è né condiviso né compreso da nessuna delle capitali dell’euro”.

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L’Italia di Giorgia Meloni, in Europa, e non solo, è bravissima a scoprirsi dei mulini a vento, contro cui partire a lancia in resta, con poco da ottenere e talora nulla da perdere. Ma a fare ammoina – è l’idea di fondo – ci si guadagna sempre qualcosa. A volte, si tratta di lisciare il pelo dell’opinione pubblica, specie di chi vota i partiti della maggioranza di turno – è il caso del dossier dell’immigrazione[2], ricorrente sotto forma di crisi, quando al più è un fenomeno, da almeno 12 anni -; a volte, si tratta di fare baratti – è il caso della ratifica della riforma del Mes[3], che qualcuno nei palazzi del potere romani vorrebbe giocarsi nei negoziati sulla riforma e l’allentamento del Patto di Stabilità. Così succede che tutti discutono di cose che a stento l’1% dell’opinione pubblica sa che cosa siano: il Mes, appunto, Meccanismo europeo di Stabilità, e il surrettiziamente correlato Patto di Stabilità.

Facendo rapporto al Parlamento alla vigilia del Vertice europeo del 29 e 30 giugno a Bruxelles la premier Giorgia Meloni ha scelto un bersaglio grosso: la Banca centrale europea, la Bce, colpevole di fare quello che tutte le banche centrali fanno quando di tratta di frenare l’inflazione, che è la loro missione primaria: alzare i tassi d’interesse.

La battaglia contro la Bce nasce persa, anche perché la Banca è indipendente dal potere politico. Meloni potrà pure trovare qualche sponda al Vertice, perché l’aumento dei tassi è medicina amara per tutti. Ma le sortite fuori misura di esponenti della coalizione al potere in Italia non paiono buon viatico ai negoziati europei che dovrebbero essere prioritari per l’Italia, la revisione del Pnrr e lo sblocco della tranche in sospeso; e, ovviamente, la riforma del Patto di Stabilità[4].

Al Parlamento, Meloni ha detto di volere affrontare il negoziato sulla governance economica, che entrerà nel vivo non prima del mese di settembre di questo 2023, “con un approccio a pacchetto”. Benedetto Della Vedova, deputato di +Europa ed ex sottosegretario agli Affari europei, l’ha messa in guardia: c’è il rischio che la trattativa sfoci “in un pacco per l’Italia”, perché il no al Mes non è né condiviso né compreso da nessuna delle capitali dell’euro”. Quanto agli attacchi alla Bce, venuti pure dai vice-premier Matteo Salvini e Antonio Tajani, essi “portano negatività all’Italia nelle trattative con l’Unione”.

Critiche o consensi a Meloni del Parlamento italiano, però, organizzati lungo linee partitiche, non contano granché in Europa, dove il negoziato si fa tra Stati e non per assonanza politica.

La lettera d’invito trasmessa dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel ai suoi colleghi elenca i temi in agenda: non fa menzione di Mes e Patto di Stabilità e sottintende il problema dell’inflazione quando propone “uno scambio di vedute” sulla situazione economica.

Quanto all’immigrazione, Michel scrive:

“Il recente tragico naufragio nel Mediterraneo e le numerose vite perse ci ricordano con forza la necessità di continuare a lavorare incessantemente sulla sfida che l’immigrazione ci pone”.

I leader ascolteranno rapporti della Commissione europea e del Consiglio dei Ministri dell’Unione europea e faranno il punto sull’attuazione delle conclusioni del febbraio 2023: non v’è traccia di nuove decisioni, di piani per l’Africa e neppure – più modestamente – per la Tunisia. Rilievo più o meno analogo hanno le relazioni con la Cina, coi Balcani occidentali e la preparazione del prossimo vertice Fra Unione europea, America latina e Caraibi.

Il Mes viene però evocato in una lettera a Michel del presidente dell’Eurogruppo Paschal Donohoe (l’Eurogruppo riunisce i ministri delle Finanze dei venti Paesi dell’euro).

“La ratifica del Trattato – scrive Donohoe – è centrale per i nostri sforzi e continueremo a lavorare con l’Italia su questo tema” (l’Italia è l’unico Paese a non avere ancora ratificato la riforma dello strumento). Di per sé, la lettera è una forma di pressione sull’Italia.

Nell’invito ai leader dei 27, il presidente del Consiglio europeo dedica più spazio e più attenzione all’Ucraina, dove la guerra “continua senza sosta”:

“La nostra incrollabile unità –scrive – contrasta con la disunione in Russia mostrata dagli eventi del fine settimana. Ribadiremo una volta di più l’impegno a sostenere l’Ucraina per tutto il tempo necessario, anche attraverso forme d’assistenza finanziaria e militare sostenibili”.

Charles Michel evoca il sabotaggio della diga di Kakhovka a inizio giugno, “uno dei più grandi disastri causati dall’uomo nel nostro tempo”:

“Oltre alle drammatiche conseguenze cui abbiamo già assistito – avverte il presidente del Consiglio europeo -, minaccia anche la più grande centrale nucleare d’Europa”.

A Bruxelles, “dovremmo pure discutere come intensificare ulteriormente il sostegno internazionale a una formula di pace per l’Ucraina”: il dibattito tra i leader dell’Unione europea si concentrerà sui progressi da fare su “sicurezza e difesa europea”, nel quadro degli impegni assunti a Versailles lo scorso anno.

Più a lunga scadenza, Michel intende sottoporre ai 27 una bozza di strategia globale 2024-29, che sostituisca quella approvata nel 2019. Qui, però, più che in una logica negoziale, il presidente si muove in un contesto elettorale: la bozza, che non è stata ancora discussa e che non sarà certamente approvata in questa fase, è una sorta di candidatura alla riconferma.

Il mandato di Michel, come quello della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, scade nel 2024 e andrà rinnovato dopo le elezioni europee dal 6 al 9 giugno, tenendo anche conto dell’esito del voto, che potrebbe alterare i rapporti di forza fra i partiti – Ursula von der Leyen, è una popolare, Charles Michel un liberale -.


[1] Scritto per The Watcher Post, 28 giugno 2023

[2] Cf. Giampiero Gramaglia, “Piano Mattei e geopolitica ei viaggi di Giorgia Meloni”, The Post International, 21 aprile 2023. Cf. https://www.giampierogramaglia.eu/2023/04/21/piano-mattei-geopolitica-viaggi-giorgia-meloni/.

[3] Il Meccanismo europeo di stabilità (MES), detto anche Fondo salva-Stati, è un’organizzazione internazionale a carattere regionale nata come fondo finanziario europeo per la stabilità finanziaria della zona euro (art. 3), istituita per trattato dagli Stati membri della zona euro per fondare un’organizzazione internazionale con sede in Lussemburgo, che avrebbe dovuto funzionare come fonte permanente di assistenza finanziaria per gli Stati membri in difficoltà, con una capacità di prestito massima di 500 miliardi di euro. L’assistenza conferita è però sottoposta a strette condizioni, trattandosi di uno strumento a disposizione dell’Unione economica e monetaria affinché gli Stati si facciano garanti, cioè adottino le misure necessarie per la stabilità economica, avendo come punto fermo il principio della responsabilità delle finanze pubbliche.

[4] Il patto di stabilità e crescita (PSC) è un accordo internazionale, stipulato e sottoscritto nel 1997 dagli Stati membri dell’Unione europea, inerente al controllo delle rispettive politiche di bilancio pubbliche, al fine di mantenere fermi i requisiti di adesione all’Unione economica e monetaria dell’Unione europea (Eurozona) ovvero rafforzare il percorso d’integrazione monetaria intrapreso nel 1992 con la sottoscrizione del trattato di Maastricht.[1] Le regole di applicazione del PSC sono state modificate nel 2011 con l’adozione del c.d. Six Pack e l’introduzione del semestre europeo.

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