Riprendiamo oggi le pubblicazioni del quarto fascicolo di Democrazia futura. Giampiero Gramaglia conclude questa prima sezione della prima parte con una rapida carrellata sul quadro politico e diplomatico internazionale e sui grandi appuntamenti previsti: “Accadde Domani: un 2022 fra ansie e tensioni, elezioni e conflitti”. “C’erano una cinquantina di conflitti regionali o locali, sulla carta del Mondo, alla fine del 2021, senza contare i conflitti globali, la pandemia, le carestie, la povertà, le migrazioni, e quelli di cui neppure ci rendiamo conto, endemici come sono, gli egoismi nazionali e/o individuali, il desiderio del potere, il culto del profitto […] Con la crisi ucraina, la situazione in Kazakistan è divenuta uno dei temi di confronto tra Usa e Russia, anche se Mosca nega la disponibilità a parlarne, essendo vicenda interna a un Paese terzo”. Per Gramaglia le due minacce rappresentate dall’”invasione dell’Ucraina da parte della Russia e l’annessione di Taiwan da parte della Cina, sono solo spauracchi agitati da Mosca e Pechino e ingigantiti dall’Occidente: le tensioni internazionali sono spesso un comodo paravento dietro cui nascondere le beghe interne con cui tutti i leader, democratici o autoritari che siano, devono confrontarsi”. L’articolo si concentra poi su “Le presidenziali in Francia intrecciate al percorso dell’Unione europea”. Per Gramaglia “La congiuntura fra i primi passi del nuovo governo tedesco, dopo sedici anni a guida Angela Merkel, l’appuntamento elettorale francese e l’incertezza politica italiana – qui, i giochi per la presidenza della Repubblica possono modificare gli assetti di governo e pesare sulla durata della legislatura – gioca a sfavore dell’Unione europea, impegnata a superare definitivamente la pandemia, ‘governare’ la ripresa dell’economia, offrire una risposta comune su temi come flussi migratori e difesa e sicurezza. Difficile riuscirci senza una guida forte, sicura e stabile, che non può essere offerta in questa fase dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, politicamente indebolita dal fatto che il suo partito, la Cdu, è ormai all’opposizione in Germania”. Altrettanto incerto il quadro politico interno negli Stati Uniti dove “il voto di midterm rischia di privare il partito democratico della maggioranza sia al Senato, dove la situazione è di equilibrio, 50 democratici e 50 repubblicani, sia alla Camera, dove i democratici hanno una manciata di seggi in più dei repubblicani […] Biden rischia una seconda metà del suo mandato da ‘anatra zoppa’: una prospettiva che rivitalizzerebbe le ambizioni presidenziali 2024 (mai sopite) di Donald Trump, che continua ad esercitare un forte controllo sul partito repubblicano”. Gramaglia conclude questa rapida carrellata sugli appuntamenti elettorali nelle Filippine e in Brasile dove “Il 2022 potrebbe portarsi via due ‘trumpiani doc’: i presidenti delle Filippine Rodrigo Duterte, autoritario e violento, e del Brasile Jair Messias Bolsonaro, omofobo e negazionista” e, infine, sullo sport, osservando come “i massimi appuntamenti sportivi 2022, insieme ai Mondiali di Atletica di Eugene nell’Oregon dal 15 al 24 luglio, sono già inquinati dalla geo-politica: una parte dell’Occidente boicotta diplomaticamente i Giochi d’Inverno di Pechino dal 4 al 20 febbraio, in segno di protesta per l’indifferenza ai diritti dell’uomo da parte della Cina; e buona parte dell’umanità raziocinante è a disagio con i Mondiali nel Qatar dal 21 novembre al 18 dicembre”.
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C’erano una cinquantina di conflitti regionali o locali, sulla carta del Mondo, alla fine del 2021, senza contare i conflitti globali, la pandemia, le carestie, la povertà, le migrazioni, e quelli di cui neppure ci rendiamo conto, endemici come sono, gli egoismi nazionali e/o individuali, il desiderio del potere, il culto del profitto.
Le proteste pro-democrazia di domenica 2 gennaio 2022 in Sudan hanno subito allungato la lista. E, poi, una settimana dopo, è esploso il Kazakistan, la più grande delle repubbliche post-sovietiche – Russia a parte -, nove volte l’Italia e con meno di 19 milioni di abitanti: proteste, violenze, l’ordine di tirare sugli insorti, l’intervento di contingenti militari dai Paesi alleati, Russia, Armenia e gli altri ‘stan’ dell’Asia centrale. Il bilancio ufficiale al 9 gennaio era di 164 vittime, 103 solo ad Almaty, la città più popolosa; e il Ministero dell’Interno comunicava che 5.135 persone erano state arrestate.
Non è chiaro che cosa stia veramente succedendo in Kazakistan: manifestazioni inizialmente pacifiche contro il forte aumento dei prezzi dei prodotti energetici si sono improvvisamente trasformate in attacchi apparentemente ben organizzati contro i palazzi del potere ad Almaty. Non si esclude che, alle proteste di giovani e lavoratori stanchi di un sistema autocratico e corrotto, si siano intrecciate o sovrapposte frange mosse da motivazioni ben diverse, come l’estremismo islamico, o anche pezzi dello Stato intenzionati ad eliminare quel che resta del potere di Nursultan Nazarbayev. Il leader rimasto al potere per quasi trent’anni, dall’indipendenza fino al 2019, s’era scelto come successore l’attuale presidente Kassym-Jomart Tokayev, che forse intende ora liberarsi della tutela: ha destituito Nazarbayev dagli incarichi restantigli, ha fatto arrestare Karim Masimov, ex premier, capo dell’intelligence. E c’è pure l’oligarca dissidente Mukhtar Ablyazov che, dall’esilio di Parigi, si proclama leader dell’insurrezione: Ablyazov è quello la cui moglie Vera Shalabayeva fu espulsa dall’Italia nel 2013 con la figlia Alua – sei anni, allora – e fatta partire per il Kazakistan, in spregio alla legalità e in ossequio al gas kazako.
Con la crisi ucraina, la situazione in Kazakistan è così divenuta uno dei temi di confronto tra Usa e Russia, anche se Mosca nega la disponibilità a parlarne, essendo vicenda interna a un Paese terzo. L’Unione europea e Papa Francesco chiedono dialogo, Mosca e Pechino appoggiano la repressione e il ritorno all’ordine.
2021: un anno non di parola
Il 2021 non è stato di parola: non s’è portato via nessuna delle grane che affliggono il Mondo, neppure la pandemia, che ci speravamo tutti. Tranquilli! ci pensa il 2022, che, come tutti gli anni, parte con i propositi migliori.
Lato pandemia, magari smetteremo di contare le ondate e impareremo a convivere con il virus. Lato pace, capiremo che alcune delle tensioni che la minacciano, come l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e l’annessione di Taiwan da parte della Cina, sono solo spauracchi agitati da Mosca e Pechino e ingigantiti dall’Occidente: le tensioni internazionali sono spesso un comodo paravento dietro cui nascondere le beghe interne con cui tutti i leader, democratici o autoritari che siano, devono confrontarsi.
Due sono gli appuntamenti elettorali contornati in rosso sul calendario politico internazionale 2022: le presidenziali francesi il 10 e il 24 aprile e il voto di midterm negli Stati Uniti l’8 novembre.
Ma l’agenda elettorale del Nuovo Anno è molto fitta di scadenze. Nell’Unione europea, si voterà in Portogallo – parlamentari anticipate al 30 gennaio -; Austria – presidenziali in autunno, ma la situazione politica è instabile dopo l’uscita di scena inattesa di Sebastian Kurz -; Slovenia – parlamentari ad aprile, presidenziali a ottobre -: Ungheria – parlamentari in primavera -; Svezia – parlamentari a settembre, se il monocolore socialdemocratico di ultra-minoranza tiene fino ad allora -; e non si può escludere che si voti pure in Italia.
Altrove, ci saranno le presidenziali in Brasile – 2 ottobre – e in Colombia – 29 maggio –, in India – la consueta maratona – e nelle Filippine – 9 maggio -. Appuntamenti con le urne pure in Australia – politiche in primavera -, Corea del Sud – presidenziali 9 marzo -, Libano, Tunisia, Kenya e ancora altrove. Senza dimenticare le fantomatiche elezioni in Libia, che paiono sempre imminenti, ma che vengono sempre rinviate in extremis – com’è successo prima di Natale -.
Altre date sul calendario politico internazionale 2022 sono il Vertice del G7 dal 26 al 28 giugno nelle Alpi bavaresi, allo Schloss Elmau – il cancelliere tedesco Olaf Scholz farà dunque l’esordio fra i Grandi da presidente – e il Vertice del G20 in autunno a Bali sotto la presidenza di turno indonesiana.
Rituali i Vertici europei, che si succederanno a Bruxelles con ritmo più o meno trimestrale – i primi il 24 e 25 marzo e il 23 e 24 giugno – e gli appuntamenti di primavera e d’autunno di Fondo monetario internazionale e Banca mondiale.
Le presidenziali in Francia intrecciate al percorso dell’Unione europea
Le presidenziali in Francia e il voto di midterm negli Stati Uniti hanno valenze speciali. In Francia, Emmanuel Macron, presidente in esercizio e candidato alla riconferma – sulla carta, è il favorito – dovrà bilanciare campagna elettorale e impegno europeo, perché la Francia, dal primo gennaio e fino al 30 giugno 2022, esercita la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione europea: un semestre in cui cade anche la fine della Conferenza sul futuro dell’Europa, se i termini non saranno prorogati, vista l’esiguità di quanto finora prodotto.
La congiuntura fra i primi passi del nuovo governo tedesco, dopo sedici anni a guida Angela Merkel, l’appuntamento elettorale francese e l’incertezza politica italiana – qui, i giochi per la presidenza della Repubblica possono modificare gli assetti di governo e pesare sulla durata della legislatura – gioca a sfavore dell’Unione europea, impegnata a superare definitivamente la pandemia, ‘governare’ la ripresa dell’economia, offrire una risposta comune su temi come flussi migratori e difesa e sicurezza. Difficile riuscirci senza una guida forte, sicura e stabile, che non può essere offerta in questa fase dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, politicamente indebolita dal fatto che il suo partito, la Cdu, è ormai all’opposizione in Germania.
Il midterm negli Usa e la debolezza di Joe Biden
Negli Stati Uniti, dove la popolarità del presidente Joe Biden è molto bassa, non causa pandemia o rotta afghana a fine agosto, ma soprattutto per l’inflazione, che torna a erodere i redditi, nonostante la crescita sostenuta, il voto di midterm rischia di privare il partito democratico della maggioranza sia al Senato, dove la situazione è di equilibrio, 50 democratici e 50 repubblicani, sia alla Camera, dove i democratici hanno una manciata di seggi in più dei repubblicani.
‘Uncle Joe’, 79 anni compiuti, era parso sulle prime galvanizzato dal potere presidenziale e s’era persino meritato l’appellativo di ‘Tiger Joe’, per la fermezza, quasi durezza, verso Cina e Russia. Ma poi l’estate, l’indole e magari l’età ci hanno restituito lo ‘Sleepy Joe’ dei dileggi trumpiani: Biden non sa dare un’immagine di forza e di autorevolezza; appare più stanco che saggio e più indeciso che pragmatico; e subisce la rissosità del partito democratico invece di gestirla.
A dieci mesi dal voto di midterm dell’8 novembre, c’è tempo per correre ai ripari, ma non bisogna più sbagliare mosse. Indebolito dai suoi errori e dalla litigiosità interna alla sua base – la sinistra è insoddisfatta delle misure sociali fin qui adottate -, Biden rischia una seconda metà del suo mandato da ‘anatra zoppa’: una prospettiva che rivitalizzerebbe le ambizioni presidenziali 2024 (mai sopite) di Donald Trump, che continua ad esercitare un forte controllo sul partito repubblicano.
Mentre i democratici non riescono a rinnovare la loro gerontocratica leadership, falcidiata nel 2021 da abbandoni e decessi – ultimo in ordine di tempo, quello del senatore del Nevada Harry Reid -. Ma al vertice del partito, della nomenklatura. delle istituzioni, e anche dell’opposizione interna, restano i Clinton, Biden, gli Obama – dei giovincelli, nel lotto -, Nancy Pelosi, Bernie Sanders ed Elizabeth Warren.
Filippine e Brasile: Duterte e Bolsonaro, ‘trumpiani’ addio
Il 2022 potrebbe portarsi via due ‘trumpiani doc’: i presidenti delle Filippine Rodrigo Duterte, autoritario e violento, e del Brasile Jair Messias Bolsonaro, omofobo e negazionista.
Duterte ha già rinunciato a sfidare la Costituzione e a correre per un secondo mandato. Ma il voto del 9 maggio, con il rinnovo contestuale di Camera e Senato, s’annuncia un trionfo di nepotismi, con nostalgie autoritarie. La figlia di Rodrigo, Sara Duterte, è candidata alla vicepresidenza, facendo ticket con Ferdinando Marcos Junior, detto Bongbong, , figlio dell’ex dittatore Ferdinando Marcos, che fu per vent’anni al potere fino al 1986. Nell’anomalo agone politico filippino, oltre a ‘figli di’, ci sono pure sportivi, come l’ex campione del mondo di pugilato Manny Pacquiao, e attori, come Francisco ‘Isko’ Moreno.
In Brasile, invece, Bolsonaro, che al momento ha il consenso solo di un quinto dell’elettorato, dovrà affrontare il leader della sinistra Inacio Luca da Silva, presidente dal 2003 al 2010, poi fatto fuori dalla scena politica con un’inchiesta politicamente motivata, per cui finì in carcere prima di uscirne riabilitato dalla Corte Suprema. Corre per la presidenza pure il giudice che lo inquisì, Sergio Moro.
Dove il 2022 non farà meglio del 2021
Solo su un fronte gli italiani sarebbero degli illusi a sperare che il 2022 possa fare meglio del 2021: lo sport. Perché di vincere tanto come l’estate scorsa, tra Europei di Calcio e Giochi di Tokyo, oltre agli Europei di pallavolo ‘bisex’ e a una miriade di altri successi, è davvero chimera. A dire il vero, nello sci alpino siamo ben partiti, in vista dei Giochi di Pechino, ma nel calcio dobbiamo penare fino alla primavera per sapere se andremo ai Mondiali in Qatar o se, per la terza volta in assoluto, e la seconda consecutiva, saremo relegati – da campioni d’Europa – sulla panchina degli spettatori.
Che poi anche i massimi appuntamenti sportivi 2022, insieme ai Mondiali di Atletica di Eugene nell’Oregon dal 15 al 24 luglio, sono già inquinati dalla geo-politica: una parte dell’Occidente boicotta diplomaticamente i Giochi d’Inverno di Pechino dal 4 al 20 febbraio, in segno di protesta per l’indifferenza ai diritti dell’uomo da parte della Cina; e buona parte dell’umanità raziocinante è a disagio con i Mondiali nel Qatar dal 21 novembre al 18 dicembre. L’emirato che gioca fare l’ago della bilancia tra sunniti e sciiti è, come tutte le monarchie del Golfo, un eccellente pagatore, ma non è certo in vetta alle classifiche per il rispetto delle donne e per la sicurezza dei lavoratori – vedasi la strage nei cantieri per l’allestimento degli stadi -. E’ strano, però, che questi nodi vengano al pettine nell’imminenza delle gare e non quando i massimi responsabili dello sport mondiale, che siano il Comitato Olimpio Internazionale (Cio) o la Federazione Internazionale di Calcio (Fifa), fanno scelte scriteriate, dettate più dall’interesse – a volte anche personale – che dal rispetto dell’etica sportiva.