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Decreto quote Tv – OTT, domani Bonisoli spiega ‘l’urgenza’ di allentare gli obblighi

Nel silenzio dei più, venerdì 28 giugno è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale quel che – nell’ambiente cinematografico ed audiovisivo – viene chiamato il “decreto quote”, ovvero il decreto legge approvato dal Consiglio dei Ministri mercoledì 26 giugno 2019, che reca il n. 59/2019 ovvero l’Atto Senato (disegno di legge) n. 1374, “Misure urgenti nei settori di competenza del Mibac”. In effetti, il decreto-legge interviene anche su altre questioni, come il personale delle fondazioni lirico-sinfoniche, che non affrontiamo in questa sede.

Per domani martedì 9 luglio, alle ore 12, è prevista l’audizione in argomento, da parte del Ministro (grillino) Alberto Bonisoli, di fronte alle Commissioni congiunte Cultura di Camera e Senato. Sarà interessante ascoltare il titolare del dicastero, per comprendere meglio le ragioni che hanno determinato questa “urgenza”, e, soprattutto, la decisione di allentare gli obblighi di emittenti televisive e fornitori di servizi non lineari (leggi, tra gli altri, Netflix).

Rispetto al testo entrato in Consiglio dei Ministri mercoledì sera, anticipato – in esclusiva – su queste colonne (vedi “Cinema, il Governo modifica la Legge Franceschini e allenta quote obbligatorie per la Tv”, su “Key4biz” del 27 giugno 2019), si registra una modifica: la parte del decreto-legge riguardante il cinema e l’audiovisivo non ha modificato la ripartizione tra “aiuti automatici” ed “aiuti selettivi”, quota percentuale che è da sempre una controversa questione sulla quale si scontrano – come dire?! – i “liberisti” e gli “statalisti”… I primi a favore degli “automatismi” di mercato, i secondi favorevoli ad intervento mirato, e quindi selettivo, della “mano pubblica” nella cultura.

Sono infatti saltate dal testo del decreto legge alcune previsioni dell’articolo 4: la relazione tecnica che accompagna (accompagnava) il decreto così recitava: “Il comma 4 contiene alcune modificazioni alla legge n. 220 del 2016 (si tratta della “legge Franceschini” n.d.r.), recante “Disciplina del cinema e dell’audiovisivo”, volte a semplificare il funzionamento e l’operatività della normativa e dei relativi processi attuativi che disciplinano il sostegno pubblico al settore cinematografico e audiovisivo”.

Fin qui, dichiarazione di principio, ma più precisamente si trattava di una “modifica dell’articolo 13, comma 5 della legge n. 220 del 2016, con la quale vengono rimodulate le risorse obbligatorie da destinare ai contributi selettivi di cui agli articoli 26 e 27, comma 1”.

L’articolo 26 della legge Franceschini è intitolato “Contributi selettivi” e l’articolo 27 “Contributi alle attività e alle iniziative di promozione cinematografica e audiovisiva”.

In altre parole: “Nello specifico, si riduce la percentuale minima ivi prevista dal 15 % al 10 % e quella massima dal 18 % al 15 %. Tale modifica si rende opportuna sulla base dell’esperienza dei primi due anni di applicazione della legge, in cui le risorse destinate si sono dimostrate sovradimensionate rispetto all’effettivo utilizzo. La modifica permette quindi di svincolare parte di tali risorse, che potrebbero essere finalizzate diversamente, senza peraltro compromettere l’efficacia della misura. Si precisa inoltre che, con la modifica apportata, in tali percentuali non rientreranno più le risorse di cui all’articolo 27, comma 3, destinate al sostegno degli enti di settore indicati, andando così a rendere coerente l’originaria previsione normativa di cui all’articolo 13, comma 5, che, nel testo previgente e in contraddizione con il tenore letterale della norma, nel richiamare l’intero articolo 27, non distingueva, erroneamente, fra contributi effettivamente selettivi (art. 27, commi 1 e 2), rispetto ai quali operare il calcolo delle percentuali richiamate, e i contributi di cui al comma 3 del medesimo articolo 27, che chiaramente non costituiscono contributi di tipo selettivo, e che quindi non devono rientrare nelle percentuali previste al comma 5 dell’articolo 13”. Tra le righe, si legge la… “corrigenda” che si propone d’apportare alla vigente normativa, per superare una sorta di “contraddizione interna” della legge.

In sostanza (traducendo in italiano), si riduce il campo di oscillazione degli aiuti “selettivi”, che passa da un minimo del 15 ad un massimo del 18 del complessivo Fondo Cinema e Audiovisivo, ad una oscillazione più contenuta, tra un minimo del 10 ed un massimo del 15 per cento, ma vengono escluse da questa parte dell’intervento dello Stato le sovvenzioni assegnate a Istituto Luce Cinecittà (incluso il nascente Museo Italiano dell’Audiovisivo e del Cinema – Miac), Centro Sperimentale di Cinematografia (e Cineteca Nazionale), Biennale di Venezia (per le attività cinematografiche), Museo nazionale del Cinema (Fondazione Maria Adriana Prolo-Archivi di Fotografia, Cinema ed Immagine) e della Cineteca di Bologna.

In sostanza, a conti fatti, gli “aiuti selettivi” avrebbero visto incrementata la propria dotazione: e già c’era chi esultava… In un comunicato stampa diramato il 2 luglio (forse dopo la lettura dell’articolo su “Key4biz” dello stesso giorno, “Decreto Legge ‘Quote’, allentati gli obblighi di trasmissione e di produzione per le Tv”), Gianluca Curti, Presidente di Cna Cinema e Audiovisivo (Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della piccola e media impresa), dichiarava: “Il Decreto legge Cultura contiene inoltre una importante disposizione che Cna Cinema e Audiovisivo ha sollecitato sin dal 2016 quando la legge cinema è entrata in vigore. Si tratta nello specifico dell’eliminazione del finanziamento di enti e fondazioni dagli stanziamenti per i contributi selettivi che riporta trasparenza nel sistema e potenzialmente libera nuove risorse a sostegno del prodotto italiano”. Curti precisava che, “a tale riguardo, la relazione tecnica allegata al provvedimento evidenzia un giudizio di sovradimensionamento delle risorse destinate ai contributi selettivi negli ultimi due anni. Cna Cinema e Audiovisivo non condivide tale giudizio, sottolineando come il problema sia stato piuttosto legato all’errato riparto delle risorse tra le diverse linee di intervento. La parte relativa alla produzione e allo sviluppo ha registrato al contrario una enorme domanda non finanziata dalle risorse disponibili, sulla quale chiediamo un impegno futuro per garantire una sempre maggiore copertura”. Dichiarazione di plauso, quindi, seppur critico, ma… evanescente, perché la norma in questione non è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale. Chissà perché.

Il “nodo” delle quote obbligatorie

Tornando alla questione “quote” (che pure abbiamo già affrontato in precedenti articoli), è opportuno approfondire, data la delicatezza della modifica normativa.

Rimarchiamo che la “relazione illustrativa” evidenziava a chiare lettere che “gli obblighi di investimento e programmazione previsti dal d. lgs. 177/2005 appaiono, in alcuni casi, limitativi della libertà imprenditoriale degli operatori. Inoltre, si ricorda che non sono stati emanati alcuni provvedimenti attuativi previsti dalla normativa previgente, tra cui quello relativo alle opere di espressione originale italiana, la cui mancanza avrebbe determinato, dal 1° luglio, un quadro giuridico incerto”.

Con “decreto legislativo” n. 177/2005 (e successive modificazioni), si intende il “Testo Unico della Radiotelevisione”: un groviglio di norme che non brilla per organicità e per chiarezza, modificato più volte con modalità estemporanee.

Con queste premesse, il Governo interviene… d’urgenza, ed allenta vincoli e obblighi e quote, sia sul fronte della programmazione sia sul fronte degli investimenti.

Analizziamo con un minimo di attenzione tecnica.

Obblighi di programmazione delle opere europee per i broadcaster

In particolare, novellando il comma 1, si elimina la previsione di innalzamento progressivo, a decorrere dal 1° luglio 2019, degli obblighi di programmazione che, dunque, continuano ad essere pari, a regime, alla “maggior parte del tempo di diffusione” (così intendendosi escluso il tempo destinato a notiziari, manifestazioni sportive, giochi televisivi, pubblicità, servizi di teletext e televendite).

L’articolo 44-bis, comma 1, del d.lgs. 177/2005 prevedeva, infatti, che, fino al 30 giugno 2019, i fornitori dei servizi di media audiovisivi lineari riservavano alle opere europee la maggior parte del proprio tempo di diffusione, escluso il tempo destinato ai servizi sopra indicati. Tale quota era stata innalzata al 53 % dal 1° luglio al 31 dicembre 2019, al 56 % per il 2020 ed al 60 % a decorrere dal 1° gennaio 2021.

Inoltre, novellando il comma 2, si proroga, dal 1° luglio 2019 al 1° gennaio 2020, la decorrenza dell’obbligo di riservare alle opere di espressione originale italiana – ora non più solo audiovisive ma, evidentemente, anche cinematografiche –, ovunque prodotte, una “sotto-quota” minima (della quota prevista per la programmazione delle opere europee), pari, per la concessionaria del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale, ad almeno la metà e, per gli altri fornitori di servizi di media audiovisivi lineari, ad almeno un terzo. Per il 2020, si stabilisce, tuttavia, che la sotto quota-prevista per i fornitori di servizi di media audiovisivi lineari diversi dalla concessionaria, è pari ad almeno un quinto.

Ancora, novellando il comma 3, si limita alla concessionaria del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale alias Rai Radiotelevisione Italiana spa – lasciando liberi, dunque, gli altri fornitori di servizi di media audiovisivi lineari – l’obbligo di riservare, nella fascia oraria dalle 18 alle 23, almeno il 12 % del tempo di diffusione ad opere cinematografiche o audiovisive di finzione, di animazione, o documentari originali di espressione originale italiana, ovunque prodotti (espungendo, dunque, ora, altre opere di alto contenuto culturale o scientifico, incluse le edizioni televisive di opere teatrali).

L’articolo 44-bis, comma 3, del d.lgs. 177/2005, prevedeva il medesimo obbligo anche per gli altri fornitori di servizi di media audiovisivi lineari nella misura minima del 6 %.

Al contempo, si riduce, da almeno la metà ad almeno un quarto la sotto-quota minima che la concessionaria deve riservare alle opere cinematografiche.

Infine, novellando il comma 4, si dispone che tutte le percentuali di cui allo stesso art. 44-bis devono essere rispettate su base annua, anche quelle relative agli obblighi di programmazione delle opere di espressione originale italiana, per le quali il previgente comma 4 ne prevedeva il rispetto su base settimanale

Obblighi di investimento in opere europee da parte dei broadcaster

Per i fornitori di servizi di media audiovisivi lineari diversi dalla concessionaria del servizio pubblico, novellando il comma 1, si proroga dal 1° luglio 2019 al 1° gennaio 2020 il termine dal quale si prevede l’avvio dell’innalzamento della quota dei propri introiti netti annui da destinare all’investimento in opere europee, al contempo abbassando la misura dell’incremento. Dunque, fino al 31 dicembre 2019, la quota continua ad essere non inferiore al 10 %, mentre è fissata all’11,5 % per il 2020 ed al 12,5 % a decorrere dal 2021, ed è interamente destinata all’investimento in opere europee prodotte da produttori indipendenti.

L’art. 44-ter, comma 1, del d.lgs. 177/2005 disponeva invece che, fino al 30 giugno 2019, i fornitori di servizi di media audiovisivi lineari diversi dalla concessionaria del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale riservassero al preacquisto o all’acquisto o alla produzione di opere europee una quota dei propri introiti netti annui “non inferiore al 10 %”, da destinare interamente a opere prodotte da produttori indipendenti: tale percentuale era stata innalzata al 12,5 %, da destinare per almeno cinque sesti ad opere prodotte da produttori indipendenti, per il periodo dal 1° luglio 2019 al 31 dicembre 2019, e al 15 %, da destinare per almeno cinque sesti a opere prodotte da produttori indipendenti, a decorrere dal 2020.

Inoltre, introducendo il comma 1-bis, si stabilisce anche che il “decreto o i decreti di cui all’articolo 44-sexies” del d.lgs. 177/2005 – anch’esso modificato dall’articolo in commento – prevedono che una “sotto-quota” pari almeno al 50 % della quota da destinare all’investimento in opere europee sia riservata a opere di espressione originale italiana, ovunque prodotte da produttori indipendenti negli ultimi 5 anni.

Ancora, novellando il comma 2, si proroga, dal 1° luglio 2019 al 1° gennaio 2020, il termine a decorrere dal quale, per i medesimi fornitori di servizi di media audiovisivi lineari diversi dalla Rai è innalzata al 3,5 % dei propri introiti netti annui la “sotto-quota” minima (della quota prevista per l’investimento in opere europee) da riservare alle opere cinematografiche di espressione originale italiana ovunque prodotte da produttori indipendenti, eliminando al contempo gli ulteriori incrementi previsti per gli anni successivi. Fino al 31 dicembre 2019 rimane dunque ferma la sotto-quota minima pari ad almeno il 3,2 %. Si stabilisce, altresì, che “il decreto o i decreti” di cui al già citato art. 44-sexies prevedono che una percentuale pari almeno al 75 % della “sotto-quota” da destinare all’investimento in opere cinematografiche di espressione originale italiana sia riservata a opere prodotte negli ultimi cinque anni.

L’art. 44-ter, comma 2, del d.lgs. 177 disponeva che, fino al 30 giugno 2019, i fornitori di servizi di media audiovisivi lineari diversi dalla Rai riservavano alle opere cinematografiche di espressione originale italiana ovunque prodotte da produttori indipendenti una sotto quota minima pari ad almeno il 3,2 % dei propri introiti netti annui. Tale percentuale era stata innalzata al 3,5 % per il periodo dal 1° luglio 2019 al 31 dicembre 2019, al 4 % per il 2020 e al 4,5 % dal 2021.

Anche per la Rai, novellando il comma 3, si proroga dal 1° luglio 2019 al 1° gennaio 2020 il termine a decorrere dal quale si prevede l’innalzamento della quota dei propri ricavi complessivi annui da destinare all’investimento in opere europee, al contempo abbassando l’incremento al 17 % e destinandolo interamente all’investimento in opere europee prodotte da produttori indipendenti. Al contempo, si eliminano gli ulteriori incrementi previsti per gli anni successivi. Fino al 31 dicembre 2019, dunque, rimane ferma la quota minima del 15 %.

L’art. 44-ter, comma 3, disponeva che, fino al 30 giugno 2019, la Rai riservava al preacquisto o all’acquisto o alla produzione di opere europee una quota dei propri ricavi complessivi annui non inferiore al 15 %, da destinare interamente a opere prodotte da produttori indipendenti. Tale percentuale era stata innalzata al 18,5 %, da destinare per almeno cinque sesti a opere prodotte da produttori indipendenti, per il periodo dal 1° luglio 2019 al 31 dicembre 2019, ed al 20 %, da destinare per almeno cinque sesti a opere prodotte da produttori indipendenti, a decorrere dal 2020.

Ancora, novellando il comma 4, si proroga, dal 1° luglio 2019 al 1° gennaio 2020, il termine a decorrere dal quale, per la Rai, è previsto l’innalzamento della “sotto-quota” minima (della quota prevista per l’investimento in opere europee) da riservare alle opere cinematografiche di espressione originale italiana ovunque prodotte da produttori indipendenti, al contempo abbassando l’incremento. Nello specifico, tale sotto-quota è fissata al 4 % nel 2020 e al 4,2 % a decorrere dal 2021. Fino al 31 dicembre 2019, rimane dunque ferma la sotto quota pari ad almeno il 3,6 %…

Obblighi di investimento in opere europee da parte dei “servizi non lineari”

Il testo oggi vigente (art. 44-quater, comma 1) prevede che i fornitori di “servizi di media audiovisivi a richiesta” soggetti alla giurisdizione italiana promuovano la produzione di opere europee e l’accesso alle stesse rispettando congiuntamente:

a) obblighi di programmazione di opere audiovisive europee realizzate entro gli ultimi 5 anni, in misura non inferiore al 30 % del proprio catalogo, secondo quanto previsto con il Regolamento Agcom previsto dal comma 4;

b) obblighi di investimento in opere audiovisive europee prodotte da produttori indipendenti, con particolare riferimento alle opere recenti, cioè diffuse entro 5 anni dalla produzione, in misura non inferiore al 20 % dei propri introiti netti annui in Italia, secondo quanto previsto dal Regolamento Agcom…

Si ricordi che, in attuazione della previsione di legge, è finalmente intervenuto il Regolamento dell’Agcom (adottato con Delibera n. 595/18/Cons del 12 dicembre 2018), che, in particolare, per gli obblighi di programmazione, ha chiarito che la percentuale di almeno il 30 % del catalogo è calcolata sul “monte-ore” messo a disposizione annualmente nell’ambito del medesimo “catalogo”. Per gli obblighi di investimento, il regolamento Agcom ha previsto che gli stessi sono assolti con produzione, acquisto o pre-acquisto di diritti sulle opere europee di produttori indipendenti per i propri “cataloghi”.

Con il decreto-legge in discussione, sostituendo il comma 1, lett. b), si riducono gli obblighi di investimento in opere audiovisive europee prodotte da produttori indipendenti, e si elimina il particolare riferimento alle opere recenti.

Più nello specifico, si fissa la quota obbligatoria, fino all’intervento di un ulteriore regolamento Agcom (previsto dal nuovo comma 1-bis), al 15 % dei propri introiti netti annui in Italia e, successivamente all’entrata in vigore del medesimo regolamento, al 12,5 % degli stessi introiti.

Si riduce la quota in generale, ma essa torna verso il livello del 20 %, in alcuni casi: la medesima quota obbligatoria di investimento può essere innalzata fino al 20%, ove ricorrano i seguenti casi: (a.) modalità di investimento che non risultino coerenti con una crescita equilibrata del sistema produttivo audiovisivo nazionale; (b.) mancato stabilimento di una sede operativa in Italia ed impiego di un numero di dipendenti inferiore a 20 unità, da verificare entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore del regolamento: in tal caso, si prevede l’aumento dell’aliquota fino al 3 %; (c.) mancato riconoscimento ai produttori indipendenti di una quota di diritti secondari proporzionale all’apporto finanziario del produttore dell’opera per la quale è effettuato l’investimento, ovvero adozione di modelli contrattuali da cui derivi un ruolo meramente esecutivo dei produttori indipendenti: in tal caso, si prevede l’aumento dell’aliquota fino al 4,5 %.

Alcune conclusioni: si allentano gli obblighi, in base a quale esigenza logica ed evidenza scientifica?

Alcune considerazioni conclusive: ad una prima lettura del provvedimento, si osserva un complessivo allentamento degli obblighi, di tutti gli obblighi, sia per le emittenti televisive sia per gli operatori “non lineari” (al di là dello spostamento temporale dei termini, di fatto da metà 2019 ad inizio 2020 se non 2021…).

Si rimanda all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni la definizione di termini regolamentatvi più precisi. Il regolamento Agcom deve essere adottato entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge.

Alcuni quesiti sorgono naturali…

Perché il Governo ha deciso questa strana linea di ammorbidimento di previsioni normative che – va rimarcato, senza girarci intorno – non erano (non sono) certamente “aggressive” o granché limitative della libertà d’impresa?! Peraltro, le quote e gli obblighi vengono “ammorbiditi” anche per Rai, con buona pace di uno dei doveri della “mission” del servizio pubblico, ovvero sostenere lo sviluppo dell’industria culturale nazionale.

Sulla base di quale analisi accurata, il Governo ritiene che la normativa vigente sia “limitativa della libertà imprenditoriale” (così recita la relazione che accompagna il decreto legge) in una materia così delicata, qual è la tutela e la promozione della cultura nazionale?!

Perché questo “gioco” di quote percentuali, di quote e “sotto-quote” (sic), è avvenuto in “tavoli di lavoro” che non hanno avuto alcuna pubblicità, ed ai quali non hanno peraltro partecipato tutte le anime del settore?!

La Sottosegretaria leghista Lucia Borgonzoni si è fatta vanto di un innovativo metodo “partecipato”, ma – a parte la contestazione che anche l’iter della legge Franceschini e la modificazione del Testo Unico sulla Radiotelevisione hanno vissuto fasi di discreta compartecipazione e discreta trasparenza – va segnalato che questo novello “metodo” non si è certamente avvalso di dati accurati, di analisi approfondite, e soprattutto validate da un soggetto “super-partes” quale è (o comunque dovrebbe essere) l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni.

Abbiamo già segnalato, lamentato, denunciato, anche su queste colonne che, a distanza di anni dall’approvazione della legge Franceschini, né il Ministero per i Beni e le Attività Culturali (Mibac) né il Ministero dello Sviluppo Economico (Mise) dispongono di dati ed analisi che possano consentire di comprendere il vero stato di salute del sistema audiovisivo italiano. Si attende ancora la prevista “valutazione di impatto” prevista dalla stessa legge Franceschini e son trascorsi due anni e più dall’approvazione della legge.

Le carte false di numerologie soggettive

Si gioca quindi con le “quote” ed in generale con gli “obblighi”… con carte “false”, cioè falsate dalle numerologie soggettive di una parte e dell’altra (i produttori, le emittenti, i player dell’offerta non lineare…), lobby grandi e lobby piccole, lobby trasversali, lobby misteriose: senza che nessuno, a Santa Croce in Gerusalemme o a via Veneto, sappia realmente in che cosa consista la “partita”.

Si tira la “coperta” dell’intervento pubblico nel settore da una parte o dall’altra, con dinamiche che sono più… ludiche che logiche, più… emotive che razionali.

Diverte osservare, poi, che il decreto-legge prevede (sulla base del nuovo comma 1-ter dell’art. 44-quater del d.lgs. 177) che il Regolamento Agcom venga aggiornato, sentiti Mibac e Mise, entro 2 anni dalla data della sua entrata in vigore e, comunque, con cadenza biennale, “in relazione allo sviluppo del mercato audiovisivo italiano”, anche sulla base della “relazione annuale di cui all’art. 44-quinquies, comma 4”.

Leggiamo cosa prevedere questo comma 4 dell’articolo 44-quinquies: “L’Autorità presenta al Parlamento, entro il 31 marzo di ogni anno, una relazione sull’assolvimento degli obblighi di promozione delle opere audiovisive europee da parte dei fornitori di servizi media audiovisivi, sui provvedimenti adottati e sulle sanzioni irrogate. La relazione fornisce, altresì, i dati e gli  indicatori micro e macro-economici del settore rilevanti ai  fini della promozione delle opere europee, quali i volumi produttivi in termini di ore trasmesse, il fatturato delle imprese di produzione, i ricavi dei servizi di media audiovisivi,  la quota e l’indicazione delle opere europee e di espressione originale italiana presenti nei palinsesti e nei cataloghi, il numero di occupati nel settore della produzione dei servizi media audiovisivi, la circolazione internazionale di opere, il numero di deroghe  richieste, accolte e rigettate, con le relative motivazioni, nonché le tabelle di sintesi in cui sono indicate le percentuali di obblighi di investimento, con le relative opere europee e di espressione  originale italiana, assolti dai fornitori”.

Oh, perbacco!

Musica per le nostre orecchie, ovvero per chi crede nell’“evidence-based policymaking”, che è purtroppo ardua intrapresa nell’Italia governata dalla nasometria e – ormai – soprattutto dalla pancia…

Ma la ascolteremo mai, questa… musica annunciata?!

Auguriamoci non faccia la stessa fine della famosa “valutazione di impatto” prevista dalla stessa legge Franceschini (in argomento, vedi “Key4biz” del 15 aprile 2019, “Legge cinema e audiovisivo, bando per la valutazione d’impatto. Finalmente si farà luce?”).

Attendiamo quindi di leggere questa relazione Agcom: una istituzione che, finora, nel corso dei decenni, ha affrontato il tema “quote” con una delicatezza e discrezione… inquietanti. Chissà perché. Forse per rispettare un principio spesso… sacrosanto in Italia, ovvero quel “Quieta non movere et mota quietare”?!?

Ma, nelle more dell’annunciata “relazione” che ci illumini, cosa decideranno i parlamentari e i senatori delle Commissioni Cultura/Istruzione riunite assieme, domani, dopo aver ascoltato il Ministro?!  Di dargli fiducia sulla base di valutazioni che non sono state oggetto di alcuna validazione scientifica?! Di allentare obblighi e quote sulla base di quell’imperversante neo-liberismo che sembra caratterizzare anche la politica culturale dell’esecutivo giallo-verde?!

Comprendiamo la filosofia di fondo della Lega Salvini, dichiaratamente liberista, ma non capiamo perché il Movimento 5 Stelle l’assecondi così passivamente. Crediamo che lo Stato non debba allentare il proprio ruolo nel governo del sistema culturale, e non debba abdicare sempre più – come invece purtroppo sta avvenendo in Italia – di fronte alle ragioni del “libero” mercato (nella sua fantastica evoluzione… digitale).

Clicca qui, per leggere il decreto-legge 28 giugno 2019, n. 59, “Misure urgenti in materia di personale delle fondazioni lirico sinfoniche, di sostegno del settore del cinema e audiovisivo e finanziamento delle attività del Ministero per i beni e le attività culturali e per lo svolgimento della manifestazione Uefa Euro 2020”, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 29 giugno 2019.

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