Le due recenti ordinanze della Prima Sezione del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, competente a decidere – sulla scorta dell’art. 119 lett. b) del D. Lgsl. N. 104 del 2 luglio 2010 – in merito alle domande proposte da numerosi ricorrenti, i quali instavano per l’annullamento del Regolamento dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni n. 680/13/CONS in materia di diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica (Scheda), deliberato in data 12 dicembre 2013, presentano numerosi spunti di interesse per l’approfondimento dei principi di diritto con cui i Giudici si sono espressi in una materia articolata e complessa, quale quella oggetto d’esame, non senza esimersi dal manifestare giudizi sulle rispettive posizioni delle parti.
Tali provvedimenti recano rispettivamente i numeri 10016/2014 e 10020/14 del R.P.C. e sono stati depositati il 26 settembre 2014, a pochi mesi dall’udienza pubblica tenutasi il 25 giugno 2014.
Le questioni poste sul tappeto ed oggetto dei giudizi de quo, spiegate in ben venti distinte domande dei ricorrenti, possono così sintetizzarsi:
- Insussistenza della legittimazione passiva di alcune delle parti del giudizio, nonché del loro interesse ad essere parte del procedimento dinanzi al TAR Lazio;
- Asserita carenza di poteri di AGCOM in una materia, quella delle violazioni poste in essere on-line, che sarebbe riservata al giudice ordinario;
- Illegittimità della disposizione che, in base al suddetto Regolamento, prevede che AGCOM possa accogliere istanze proposte unilateralmente da privati proprietari di diritti di proprietà intellettuale, costringendo gli ISP ad avviare onerose attività di monitoraggio e di intervento assai più gravose di quelle che essi pongono attualmente in essere per altre violazioni di legge, quali la pedopornografia e il gioco d’azzardo online;
- Difformità delle definizioni usate nel Regolamento, rispetto a quelle che sono inserite nella legge Autore, fra cui spicca il termine “opera digitale”;
- Asserita assenza in capo ad AGCOM del potere di emettere provvedimenti in materia di promozione di codici di condotta e di promozione del mercato legale, presenti nel Regolamento;
- Pretesa violazione del principio del “contraddittorio”, per non essere prevista azione da parte dell’Autorità nei confronti dei soggetti non rintracciabili, oltre che per la brevità dei termini posti a carico delle parti del procedimento amministrativo di rimozione dei contenuti abusivi;
- Presunta genericità dei poteri attribuiti all’AGCOM in base al Regolamento che si risolverebbe in una violazione dei principi di gradualità, proporzionalità ed adeguatezza dell’intervento della medesima, secondo le prescrizioni di legge;
- Supposta illiceità della c.d. “procedura abbreviata” stabilita dall’art. 9 del Regolamento, per disparità con le norme del processo civile per inibitoria, anche avuto riguardo alla limitazione dei soggetti che dispongono della legittimazione ad agire in tale contesto;
- Affermata inosservanza da parte di AGCOM delle prescrizioni imposte dalla Commissione UE nei documenti fatti pervenire ad AGCOM, anche in costanza della Delibera 452/13/CONS del 25 luglio 2013.
Le questioni ed eccezioni sollevate dai ricorrenti, seppure brevemente, tratteggiate nei punti che precedono, sono state tutte disattese dal Tribunale Amministrativo del Lazio, che ha esplicitato le proprie ragioni con la seguente motivazione riportata al paragrafo 15 del provvedimento 10020/14: “le pregresse considerazioni conducono il Collegio a ritenere la non fondatezza delle censure di merito dedotte con il ricorso in esame”.
Fatta questa decisiva precisazione, il Tribunale – prima della reiezione del ricorso – ha inteso interrogarsi, quale interprete delle norme di legge applicabili alla fattispecie, se dette disposizioni siano o meno compatibili con la Costituzione della Repubblica.
E su questo diverso e specifico fronte, i Giudici hanno svolto un’analisi comparativa delle norme primarie regolatrici della disabilitazione dell’accesso alla rete telematica e della rimozione dei contenuti illeciti, avuto riguardo sia alle disposizioni di implementazione della Direttiva 2000/31/CE sul Commercio Elettronico (Artt. 12 – 15) e delle inerenti norme di implementazione in Italia (Artt. 15 – 17 D. Lgsl. 70/2003), che delle previsioni del comma 3 dell’art. 32-bis del Testo Unico dei Servizi Media Audiovisivi, alla luce delle previsioni costituzionali contenute negli Art. 2, 21 (primo comma), 24 e 41 della nostra Carta Costituzionale.
Tali norme primarie, infatti, si porrebbero alla base del Regolamento, attribuendo all’AGCOM i poteri che tale ente sta esercitando, come rilevato dal Tribunale, nel rispetto dei principi di proporzionalità ed adeguatezza degli interventi.
Il TAR del Lazio, al fine di sostanziare le proprie richieste di rinvio pregiudiziale alla Corte Costituzionale delle sopra citate norme interne rispetto ai valori costituzionali da essa stessa individuati, ha inteso sottolineare, anzitutto, il tema del bilanciamento dei valori contemplati dall’art. 42 della Carta (diritto alla proprietà privata) con quello di cui all’art. 21 (libertà di manifestazione del pensiero), anche in riferimento alla norma di cui all’art. 24 della Carta sulla tutela giudiziale dei diritti.
Il Tribunale ha offerto, a proposito dei suddetti valori informatori del nostro ordinamento giuridico, una visione a grandi linee delle limitazioni che la libertà di espressione e il diritto di proprietà incontrano nel nostro sistema giuridico ed entro quali ambiti di applicazione esse si pongano, anche in seno al mondo della comunicazione rappresentato da Internet.
Tale strumento interattivo – secondo il suggerimento della Corte – includerebbe, alla luce dell’attuale convergenza fra i media, anche quelle forme di espressione che non sono sussumibili nella sfera della “stampa”, così come regolata dalla Legge 62/2001.
Pur apprezzando il ragionamento del Tribunale, volto a ricondurre le violazioni on-line nel solo ambito della libertà di espressione tutelata dall’art. 21 della nostra Costituzione, ci preme osservare che esso avrebbe potuto estendere la propria analisi, propedeutica alla decisione che compete alla Corte Costituzionale, in base alle ordinanze di rinvio, anche all’art. 15 della Carta, la quale offre un quadro connotato da una tutela differenziata fra la comunicazione fra privati e quella attuata verso il pubblico indeterminato, tramite i media di comunicazione, in un dettato che si pone in linea con quello dell’art. 10 della Carta Europea dei Diritti dell’Uomo.
Anche ad un primo esame del testo dell’art. 21 della Carta, infatti, risulta agevole osservare come esso miri a disciplinare con la norma citata il diritto di “espressione” dell’uomo e del cittadino, in qualunque maniera tale suo pensiero si manifesti, ma che tale diritto si configuri diversamente ove si espliciti attraverso i media, siti web inclusi, rispetto a quanto accada ove esso si diriga verso un numero delimitato di utenti.
Se procediamo, quindi, ad una valutazione di quelli che sono il significato e la reale portata della norma costituzionale dell’art. 21 della Carta, ci rendiamo conto che questa disposizione si riferisce, come sopra rimarcato, non al diritto di comunicare fra privati, disciplinato dall’art. 15, bensì alla divulgazione pubblica del pensiero e dell’espressione, in particolare attraverso la stampa e strumenti analoghi.
Questo principio è stato fortemente ribadito con la sentenza del 15 giugno 1972, n. 105, a mezzo della quale la Corte Costituzionale ha stabilito che “esiste un interesse generale alla informazione – indirettamente protetto dall’articolo 21 della Costituzione – e questo interesse implica, in un regime di libera democrazia, pluralità di fonti di informazione, libero accesso alle medesime, assenza di ingiustificati ostacoli legali, anche temporanei, alla circolazione delle notizie e delle idee”.
Libera circolazione delle idee che, fatto salvo quanto osserva il Giudice rimettente, circa la necessità di un reciproco e bilanciato contemperamento di taluni valori fondamentali, ampiamente presi in esame nella sentenza della Corte di Giustizia della UE nel caso C-275/06 (Promusicae) – ricordata dal Tribunale ad uno con le decisioni nei casi C-70/10 (SABAM) e C-314/12 (UPC Telekabel) – non può giustificare la permanenza on-line di siti web, quali quelli oggetto dell’attività demandata ad AGCOM, il cui scopo precipuo sia quello di diffondere e porre abusivamente a disposizione di soggetti ben delimitati e che abbiano accesso a pagamento o criptato ai contenuti protetti.
Ci pare quindi che il lucido esame del Tribunale Amministrativo del Lazio nelle vertenze in epigrafe, ci induca ad escludere che nel nostro Paese o nell’Unione Europea, esista alcuna legislazione o norma costituzionale, nazionale o comunitaria, che possa vietare la rimozione o la disabilitazione dell’accesso ai contenuti illeciti posti in rete, il cui mero enforcement sia affidato ad una Autorità amministrativa, l’AGCOM appunto.