#dcx è una rubrica quotidiana dedicata alla Digital Experience a cura di Dario Melpignano, Ceo di Neosperience.
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“Non sono sicuro di quale sia la domanda, ma la risposta è sì.”
Con una libera interpretazione della celebre frase di Seth Godin, apriamo questo articolo ispirato – almeno in parte – all’evento #Inbound15 che si è tenuto il mese scorso a Boston. Da quando la metodologia di inbound marketing ha iniziato a raccogliere consensi anche al di fuori degli Stati Uniti, il fermento è crescente e l’interesse palpabile. Cambiano le regole del marketing e, in parallelo, cambiano le regole della customer experience.
L’approccio inbound è basato sulla consapevolezza che, in un’epoca plasmata dagli strumenti digitali e dai dispositivi mobile, il customer journey è profondamente mutato. Se cambia il viaggio cambiano anche le abitudini dei viaggiatori: i clienti, sempre più informati e consapevoli, rifiutano gli approcci aggressivi nel nome di una connessione con i brand. Si pensi alla pubblicità tradizionale, che interrompe l’esperienza e quasi mai offre contenuti utili.
L’inbound marketing nasce proprio dal rifiuto dell’interruzione, cercando piuttosto di unire gli obiettivi dell’azienda con le necessità dei clienti. Lo strumento principe per ottenere questo risultato è il contenuto. Dalla conferenza è emerso con forza il legame indissolubile tra inbound e content marketing: i contenuti utili e interessanti rappresentano la chiave di volta per attrarre – e convertire – utenti qualificati. Con un evidente vantaggio in termini di efficacia strategica.
Ben poche aziende, al giorno d’oggi, non considerano il contenuto importante, fosse anche in una semplice ottica SEO. Eppure appare evidente come il content marketing sia ancora sfruttato poco e male. Il problema è a monte: i brand devono imparare che il contenuto crea engagement solo quando pone il cliente (non il prodotto) al centro dell’attenzione. Il content marketing non ha come scopo primario quello di promuovere l’azienda, bensì quello di rispondere a una esigenza mostrata dall’utente (attraverso le ricerche online, ma non solo).
Nell’economia della digital disruption – come è stata definita da R ‘Ray’ Wang – l’unica storia vincente è quella che parte dall’identità del brand e si sviluppa per accogliere al suo interno l’esperienza del cliente, rispettando le sue peculiarità. La tecnologia porta a una evoluzione della customer experience che, a sua volta, costringe il marketing a liberarsi dai legami di una metodologia fuori tempo massimo.
“Nell’economia delle connessioni, avere successo non significa vincere una corsa. Il vero successo è creare connessioni significative, perché solo attraverso di esse le aziende possono davvero creare valore”. E ancora il guru Seth Godin ci aiuta a chiudere il cerchio.
Per approfondire:
http://blog.neosperience.com/5-content-marketing-facts-you-need-to-know-yes-they-are-true
http://blog.neosperience.com/5-reasons-why-you-need-to-improve-customer-experience-in-2015
http://blog.neosperience.com/5-steps-to-engage-millennial-customers-using-mobile-social-media