Il Garante per la protezione dei dati personali ha inviato una segnalazione al Parlamento e al Governo con la quale chiede di valutare l’opportunità di una riforma della disciplina della conservazione dei dati di traffico telefonico e telematico a fini di giustizia.
La modifica più volte sollecitata dall’Autorità si è resa ora ulteriormente necessaria a seguito della sentenza della CGUE del 2 marzo scorso (causa C-746/18).
Tale pronuncia, infatti, sviluppa e precisa un indirizzo già consolidato, a partire dalla sentenza Digital Rights Ireland dell’8 aprile 2014 con cui la Corte di Giustizia ha dichiarato l’illegittimità della direttiva 2006/24/Ce in materia di data retention per violazione del principio di proporzionalità nel bilanciamento tra protezione dati ed esigenze di pubblica sicurezza.
Una carenza di proporzionalità che nel caso italiano è stata ulteriormente accentuata dalla legge 167/2017 che ha esteso a sei anni il termine massimo di conservazione dei tabulati prima stabilito in due anni per i tabulati telefonici, in un anno per i telematici e in un mese per le chiamate senza risposta. Ed anche se i dati raccolti possono essere acquisiti solo per reati particolarmente gravi, come quelli di competenza delle Procure distrettuali (criminalità organizzata, mafia, terrorismo), ciò comporta comunque la conservazione generalizzata dei tabulati di tutti gli utenti per sei anni.
Il Garante invita quindi il Parlamento a riflettere sull’opportunità di una riforma della disciplina della data retention, tale da differenziare condizioni, limiti e termini di conservazione dei dati di traffico telefonico e telematico in base alla particolare gravità del reato per cui si procede, e comunque entro periodi massimi compatibili con il principio di proporzionalità, come interpretato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea.
Secondo il Garante, occorrerebbe inoltre valutare l’opportunità di subordinare l’acquisizione dei dati di traffico telefonico e telematico all’autorizzazione del gip, ferma restando, nei casi d’urgenza, la possibilità per il pubblico ministero di provvedervi con proprio decreto, da convalidare in una fase successiva.
A fronte poi, della diversità di posizioni già espresse in alcune sentenze successive a quella della CGUE e dell’esigenza di rendere il quadro normativo interno pienamente conforme alla disciplina europea, come interpretata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, è dunque auspicabile – ad avviso del Garante – un intervento chiarificatore del legislatore, che assicuri quel bilanciamento, tra esigenze investigative e protezione dei dati personali, più volte invocato dalla giurisprudenza europea.