Nella lotta ai reati gravi è consentita soltanto la conservazione mirata e circoscritta dei dati a scopi di indagine, sempre sotto la supervisione di un giudice. Ci sono insomma dei chiari paletti fissati dalla Corte di Lussemburgo a tutela della riservatezza dei dati personali anche di fronte ad una indagine per reati gravi. E’ quanto emerge dalla sentenza pubblicata oggi relativa al caso di una condanna all’ergasto nel marzo del 2015, per l’omicidio di una donna in Irlanda.
Traffico dati ammissibile?
Nell’appello presentato contro la sua condanna dinanzi alla Corte d’appello d’Irlanda, l’interessato “ha contestato, in particolare, al giudice di primo grado di avere erroneamente ammesso come elementi di prova i dati relativi al traffico e i dati relativi all’ubicazione afferenti a chiamate telefoniche”.
E la Corte Ue precisa che: « Nella sua sentenza, la Corte, riunita in grande sezione, conferma, in primo luogo, la propria costante giurisprudenza secondo la quale il diritto dell’Unione osta a misure legislative che prevedano, a titolo preventivo, la conservazione generalizzata e indifferenziata dei dati relativi al traffico e dei dati relativi all’ubicazione afferenti alle comunicazioni elettroniche, per finalità di lotta ai reati gravi”.
Divieto di memorizzazione
Infatti, la direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche non si limita a disciplinare l’accesso a simili dati mediante garanzie dirette a prevenire gli abusi, ma sancisce, in particolare, “il principio del divieto della memorizzazione dei dati relativi al traffico e all’ubicazione. La conservazione di tali dati costituisce quindi, da un lato, una deroga a tale divieto di memorizzazione e, d’all’altro, un’ingerenza nei diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali, sanciti dagli articoli 7 e 8 della Carta”.
Criminalità grave non assimilabile a minaccia a sicurezza nazionale
“Le predette considerazioni portano la Corte a respingere segnatamente l’argomento secondo cui la criminalità particolarmente grave potrebbe essere assimilata a una minaccia per la sicurezza nazionale che si riveli reale e attuale o prevedibile e che sia in grado di giustificare, per un periodo limitato, una misura di conservazione generalizzata e indifferenziata dei dati relativi al traffico e dei dati relativi all’ubicazione. Infatti, una minaccia del genere si distingue per natura, gravità e specificità delle circostanze che la costituiscono, dal rischio generale e permanente rappresentato dal verificarsi di tensioni o di perturbazioni, anche gravi, della pubblica sicurezza o da quello di reati gravi”.
Paletti
Per contro, la Corte stabilisce, in secondo luogo e confermando la propria giurisprudenza anteriore, che il diritto dell’Unione non osta a misure legislative che prevedano, alle condizioni elencate nella sentenza, ai fini della lotta alle forme gravi di criminalità e della prevenzione delle minacce gravi alla sicurezza pubblica:
- la conservazione mirata dei dati relativi al traffico e dei dati relativi all’ubicazione in funzione delle categorie di persone interessate o mediante un criterio geografico;
- la conservazione generalizzata e indifferenziata degli indirizzi IP attribuiti all’origine di una connessione;
- la conservazione generalizzata e indifferenziata dei dati relativi all’identità civile degli utenti di mezzi di comunicazione elettronica, e
- la conservazione rapida (quick freeze) dei dati relativi al traffico e dei dati relativi all’ubicazione di cui tali fornitori di servizi dispongono.
Controllo di un giudice
La Corte conferma infatti, al riguardo, la sua giurisprudenza secondo la quale, al fine di garantire, nella pratica, il pieno rispetto delle rigide condizioni di accesso a dati personali quali i dati relativi al traffico e i dati relativi all’ubicazione, l’accesso da parte delle autorità nazionali competenti ai dati conservati deve essere subordinato ad un controllo preventivo effettuato o da un giudice o da un organo amministrativo indipendente, e la decisione di tale giudice o di tale organo deve intervenire a seguito di una richiesta motivata di tali autorità presentata, in particolare, nell’ambito di procedure di prevenzione, di accertamento o di azione penale.
Ciò posto, la Corte ricorda che l’ammissibilità degli elementi di prova ottenuti mediante una siffatta conservazione rientra, conformemente al principio di autonomia procedurale degli Stati membri, nell’ambito del diritto nazionale, sempreché nel rispetto, in particolare, dei principi di equivalenza e di effettività.