Nella puntata precedente abbiamo osservato come l’obbligo generalizzato della fatturazione elettronica per le operazioni commerciali verso i privati abbia segnato una delle stagioni più significative della storia della digitalizzazione del Paese.
Concentriamoci in questa seconda parte sui limiti da superare per consentire un decisivo scatto in avanti del servizio.
Nessuna espulsione ma diverse ammonizioni
Il primo cartellino giallo riguarda la scarsa diffusione della fattura semplificata, che può essere emessa più rapidamente -fino alla soglia di 400 euro- acquisendo minor dati del cliente. Sono troppi gli esercenti che quando devono fatturare richiedono oltre alla partita Iva del cliente, il codice fiscale, l’indirizzo, il Cap tutte informazioni non più necessarie. In merito alla fattura semplificata, manca sicuramente un’adeguata comunicazione da parte dello Stato verso il mondo delle imprese e professionisti e una corretta formazione per i produttori di registratori telematici e software house al fine di diffonderla maggiormente.
Quindi si propone una campagna informativa-divulgativa a riguardo da parte dell’Amministrazione finanziaria, l’innalzamento del suo utilizzo fino ad importi inferiori a euro 1.000, un momento di riflessione specifico al prossimo incontro del Forum Nazionale sulla Fatturazione Elettronica al fine di sensibilizzare tutti gli stakeholders sullo scarso utilizzo ad oggi della fattura semplificata.
Il secondo riguarda il contenuto della e-Fattura immediata: spesso non è autoconsistente, nel senso che molte e-fatture sono troppo generiche e scarne nella descrizione di natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi oggetto dell’operazione. Per ulteriori dettagli si tende a rimandare alla copia senza valore fiscale della fattura o ad altri documenti con un impatto negativo sulle attività di verifica e automatizzazione della contabilizzazione del ricevente (cessionario/committente) oltre che sugli obblighi di conservazione della documentazione ai fini della detraibilità della spesa
Il Direttore Ruffini ha dichiarato che sono stati riscontrati circa 4,4 milioni di indirizzi telematici di destinazione registrati per la ricezione delle fatture elettroniche sul portale web “Fatture e Corrispettivi”. Allora perché i cedenti/prestatori (in particolar modo gli esercenti) fanno fatica a valorizzare il campo Codice Destinatario con sette zeri? La risposta più ricorrente è che il campo possa essere valorizzato con sette zeri solo nel caso in cui il destinatario dichiari la PEC come canale di ricezione. Ecco la terza ammonizione: forse è arrivato il momento di programmare un obbligo generalizzato di registrazione del proprio indirizzo di ricezione “prevalente” sul portale “Fatture e Corrispettivi”, in modo da snellire i processi di emissione e fatturazione e/o adottare campagne informative sulla possibilità di valorizzare con sette zeri.
Lo stesso Ruffini ha poi riferito di 4,2 milioni di richieste di generazione QR-Code, ma sono pochissimi, forse solo alcune decine o centinaia, gli esercenti che hanno acquistato i lettori adatti, forse in assenza di incentivi o crediti d’imposta. Il quarto giallo è sul fatto che oggi il QR-Code per la fatturazione è un’innovazione inutilizzata e quindi si spera che l’Amministrazione finanziaria possa mettere in atto azioni per renderla finalmente utile agli stakeholders.
Altro cartellino per il sistema riguarda l’incapacità di gestire l’opportunità della fattura elettronica nell’ambito del processo di rimborso spese tramite note spese e giustificativi dei dipendenti/trasfertisti. Diciamolo a chiare lettere: oggi la maggior parte delle aziende italiane indica come policy ai propri dipendenti/trasfertisti di rinunciare alla fattura elettronica a favore degli scontrini e quindi l’azienda rinuncia alla detraibilità dell’IVA: perché? Nella fattura elettronica non c’è l’informazione relativa al codice matricola e quindi l’individuazione ed il matching con i costi del dipendente/trasfertista è manuale, onerosa e non conveniente rispetto al beneficio dell’IVA.
Basterebbe, ad avviso dello scrivente, implementare le app diffuse nel settore carburanti per l’emissione di fattura differita in caso di pagamenti con modalità elettroniche del cliente anche in altri settori del retail, horeca, ecc. In fase di iscrizione gratuita all’app il soggetto IVA al pari di come oggi dichiara le varie targhe della flotta aziendale nell’ambito dei carburanti, potrebbe registrare nell’app i codici matricola dei dipendenti. Qualora il dipendente acquisti beni e servizi mediante un pagamento con modalità cashless, potrà richiedere l’emissione della e-Fattura differita/immediata contenente il codice matricola nel file XML.
Altro fallo riguarda la mancata cognizione da parte degli esercenti dell’utilizzo del documento commerciale con valenza fiscale tramite i registratori telematici.
Ad eccezione delle farmacie, raramente ho incontrato esercenti che sono consapevoli della possibile esistenza del documento commerciale con valenza fiscale in osservanza al D.M. 7 dicembre 2016 o che sono in grado di emettere tramite il proprio registratore telematico i documenti commerciali con anche valore fiscale, quindi inserendo su richiesta anche la partita IVA o il codice fiscale dell’acquirente. Anche qui urge una campagna informativa sul tema da parte del Ministero Economia e Finanze e un momento di riflessione specifico al prossimo incontro del Forum Nazionale sulla Fatturazione Elettronica al fine di sensibilizzare tutti gli stakeholders sulla scarsa ed incapacità di emissione di documenti commerciali con valenza fiscale.
Tra i pilastri dello stadio c’è l’estensione della fatturazione elettronica ai forfettari
Uno dei pilastri portanti dello stadio “e-Fattura” è l’estensione dell’obbligatorietà anche ai forfettari. Quando in una rivoluzione come quella della fatturazione elettronica rimangono fuori più di un milione e mezzo di partite IVA, resta un’azione zoppa, che non aiuta a raggiungere i benefici massimi. Inoltre, con questa eccezione, molte organizzazioni sono costrette ancora a gestire parte delle fatture nella modalità tradizionale o ad avere una gestione di flussi “ibrida” generando entropia e costi aggiuntivi.
La stessa Corte dei conti nel suo “Rapporto 2020 sul coordinamento della finanza pubblica” del 28 maggio 2020 afferma testualmente che un potenziamento dell’efficacia delle misure assunte con la fatturazione elettronica potrebbe derivare dal superamento della facoltatività della fatturazione elettronica per alcune categorie di contribuenti (più di 1,8 milioni di soggetti).
Ciò in considerazione del rilievo che assume, per il corretto funzionamento dell’intero sistema, la conoscenza completa degli scambi intercorsi tra tutti gli operatori economici, dato il livello di semplificazione operativa raggiunto dalle attuali tecnologie disponibili sul mercato. Il passaggio generalizzato alla fatturazione elettronica per tutti gli operatori consentirebbe, peraltro, di gestire in via completamente informatizzata i processi di registrazione, liquidazione e dichiarazione IVA e permetterebbe all’amministrazione fiscale di erogare i servizi di precompilazione delle dichiarazioni con il massimo dei benefici proprio nei confronti degli operatori in regime forfettario.
È pur vero che gli operatori forfettari e del regime di vantaggio sono quelli di più piccole dimensioni e quindi vanno aiutati nell’adozione di software e servizi informatici propedeutici alla fatturazione elettronica con un sistema incentivante.
Lo Stato faccia la sua parte, anche in merito a incentivi e crediti di imposta
Eco bonus, sisma bonus, monopattini e biciclette, bonus facciate, vari crediti d’imposta…tutto molto utile, ma sono due anni che il sistema delle imprese e dei professionisti italiani attende crediti d’imposta o incentivi specifici per la fatturazione elettronica.
Se si vuol allargare l’obbligo della e-Fattura agli operatori con regimi agevolati non si può prescindere dal creare stavolta un sistema di incentivi “vero” perché non si possono richiedere investimenti continui in virtù di nuovi adempimenti ai soggetti di piccole dimensioni, spesso schierati in prima linea sul terreno di gioco. Il cambiamento digitale va accompagnato non solo con iniziative come Impresa 4.0 (spesso procedura troppo lunga e burocraticamente onerosa per le PMI), non solo con una serie di servizi gratuiti attraverso il portale Fatture e Corrispettivi, pur sempre molto lodevole ed utile, ma con una tattica basata su un sistema più semplice diretto e rapido, come ad esempio un credito d’imposta simile a quello per i pagamenti digitali riconosciuto agli esercenti attività di impresa, arte o professioni.
La proposta è quella di prevedere un un credito d’imposta al 50% dei costi sostenuti per l’avvio di progetti di fatturazione elettronica o digitalizzazione dei processi documentali (primo anno e secondo anno), con un provvedimento direttoriale prevedendo un invio telematico a consuntivo da parte dei service provider fornitori di detti servizi al fine di permettere all’Amministrazione finanziaria la quadratura dei conti. In questo modo gli operatori economici “più piccoli” avrebbero un sostegno finanziario che li porterebbe a generare un circolo virtuoso di investimenti in innovazione che gioverebbe all’intero Paese.
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Di Fabrizio Lupone, Esperto in Digitalizzazione, Firme e Fatturazione Elettronica, Identità e Conservazione digitale, componente del D&L NET