Il problema di etichettare le cose risale a prima della scrittura, probabilmente con l’esigenza di difendere i primi allevamenti di bestiame dai furti e dalle contraffazioni. Ma il decentramento dei processi produttivi ha fatto conoscere a questo problema delle nuove dimensioni: oggi un componente può cambiare di mano anche decine di volte prima di trovare la sua utilizzazione finale.
Le aziende manifatturiere più evolute utilizzano la tecnica del digital twin: per ogni prodotto uscito dalla fabbrica (ad esempio, un aeromobile) viene conservata una sua rappresentazione digitale in grado di decidere da sola quando è necessaria una certa attività di manutenzione. Ma il modello digitale fornisce risposte corrette solo se risponde al vero, cioè se durante la vita del prodotto sono state registrate tutte le riparazioni e tutte le sostituzioni, cosa che non sempre avviene.
QR Code
Il QR Code (Quick Response code) è stato sviluppato nel 1994 in Giappone per l’industria automobilistica e permette di rappresentare un codice su un quadrato a celle bianche e nere. Può essere stampato su carta o visualizzato su un display, e lo si può leggere da qualunque smartphone. Per la sua flessibilità, si è diffuso rapidamente al di fuori delle catene di montaggio: nel migliore dei casi dura quanto la carta su cui è stampato, e purtroppo nella vita reale si presta a truffe di ogni tipo (leggendo un QR code sconosciuto, il nostro smartphone potrebbe rimanere infettato da un virus). Chiaramente, nell’era della globalizzazione serve una soluzione più affidabile per gestire le identità digitali.
Questa nuova tecnologia si basa sull’impiego di “nanodiamanti“, ovvero nano-particelle di diamante, un materiale inerte, inalterabile e di provata atossicità. Unito ad un comune adesivo, produce una “firma” univoca che viene depositata sull’oggetto da marcare ed occupa un’area di soli 5 centesimi di millimetro di lato. In pratica, si tratta di un puntino invisibile, praticamente più sottile di un capello e che può essere riconosciuto solo mediante un apposito scanner.
Il fornitore garantisce l’assoluta unicità della sigla di marcatura e la sua riconoscibilità per tutta la vita del prodotto. Infatti questa tecnologia di marcatura trova il suo complemento ideale in una soluzione blockchain: in questo modo è possibile registrare in maniera inalterabile l’intero ciclo di vita dell’oggetto attraverso le sue attività di produzione, imballaggio, spedizione, consegna, etc. Sulla stessa blockchain si possono conservare anche le copie elettroniche dei documenti che registrano il contesto di queste attività.
Marcatura e blockchain
È proprio per questo motivo che lo scorso novembre, DUST Identity ed Algorand hanno annunciato una partnership volta a commercializzare un sistema integrato per la marcatura e la tracciabilità di prodotto.
DUST Identity è un’azienda spinoff del MIT con sede a Framingham, Massachusetts. È stata fondata nel 2018 da un team di fisici con esperienze di nanotecnologie, fisica quantistica e cybertecnologie ed ha collaborato a numerosi programmi del DARPA (Agenzia del Ministero della Difesa USA per i Programmi di Ricerca Avanzata).
La tecnologia di marcatura DUST ha destato interesse soprattutto nell’industria aerospaziale, che da sempre cerca di contrastare la diffusione di prodotti di ricambio contraffatti. Non a caso parte del capitale iniziale di DUST Identity è stata fornita da un gruppo di investitori di cui fanno parte Airbus Ventures e Lockheed Martin.
La soluzione blockchain implementata da Algorand (https://www.algorand.com) è stata la prima ad essere contemporaneamente pubblica, permissionless e proof-of-stake: un traguardo fino allora ritenuto estremamente difficile da raggiungere. Con livelli di performance pari a quelli delle migliori soluzioni permissioned, Algorand contribuisce a sviluppare le nuove tecnologie necessarie ai progetti basati sulla blockchain.