LignoSat2 pronto al lancio, il legno sarà testato dall’Iss
Piccolo (10 cm), leggero e costruito con legno di magnolia (hoonoki in giapponese), questo è LignoSat2, il primo satellite realizzato in materiale naturale dai ricercatori giapponesi dell’Università di Kyoto.
Legno, perché il problema dei detriti spaziali è reale, pericoloso per noi qui sulla Terra, per l’ambiente e le stesse telecomunicazioni.
Quando un satellite di metallo rientra nella nostra atmosfera perde pezzi, più o meno grandi, fino alle microparticelle. Per evitare il peggio (ormai il pianeta è letteralmente avvolto da una nube di detriti tecnologici), la ricerca di materiali più naturali ha portato al legno, che nel momento di rientro sulla Terra brucerebbe, senza impattare sulla nostra salute e l’ambiente.
“I satelliti realizzati con materiali alternativi ai metalli dovrebbero diventare la regola”, ha dichiarato in conferenza stampa Takao Doi, astronauta e professore speciale all’Università di Kyoto.
La prossima settimana LignoSat sarà consegnato all’agenzia spaziale giapponese Jaxa ed è stato annunciato il suo lancio ufficiale dal Kennedy Space Center a settembre 2024 a bordo di un razzo SpaceX che lo lancerà verso la Stazione spaziale internazionale (Iss).
Sulla Iss si effettueranno dei test relativi alla resistenza del legno alle variazioni estreme di temperatura e ad altri fattori di stress strutturale (ad esempio raggi cosmici e particelle solari) che vincolano il successo o meno della sperimentazione (che è già stata effettuata in via preliminare nel 2022, con ottimi risultati in termini di resistenza e stabilità della magnolia nello spazio).
Nuovi materiali per evitare di alimentare la nube di detriti spaziali che avvolge la Terra
Cercare nuovi materiali per i satelliti è certamente una strada necessaria da battere, perché il problema dei rifiuti spaziali esiste, come detto, è preoccupa le stesse agenzie spaziali internazionali, perché basta un detrito di pochi cm di diametro per danneggiare irreparabilmente un satellite, la Iss e le future stazioni spaziali.
Parliamo di scaglie di vernice, frammenti di circuiti elettronici, frammenti di acciaio, di alluminio, di titanio, che si dividono in detriti di piccole dimensioni e di grandi dimensioni.
Dal lancio dello Sputnik, nel 1957, ad oggi, sono stati effettuati oltre 4.000 lanci nello spazio, che hanno prodotto, fra l’altro, i detriti di cui stiamo parlando. Dei quasi 9.000 oggetti catalogati, circa il 22% sono satelliti ormai non più funzionanti, la maggior parte dei quali per uso militare.
Da qui in poi ogni anno sono attesi progressivamente più di 2.000 lanci in tutto il mondo. Il problema quindi si potrebbe aggravare seriamente.
Un ulteriore 17% è costituito da stadi propulsivi di razzi, che vengono rilasciati nella fase finale di un lancio. Circa il 13% è costituito da elementi che si usano normalmente sui satelliti artificiali: bulloni, coperture termiche, ma anche semplicemente scaglie di vernice che si sono staccati dalla superficie esterna del satellite.
Secondo un report dell’Agenzia spaziale europea, i detriti di lunghezza superiore a 10 cm attualmente in orbita sono oltre 29.000, quelli di lunghezza superiore a 1 cm sono 670.000 ed i rifiuti spaziali di lunghezza superiore a 1mm sono oltre 170 milioni.
Satelliti e inquinamento atmosferico
I metalli utilizzati per costruire i satelliti sono pericolosi perché al rientro, per via dell’attrito con l’atmosfera terrestre, prendendo fuoco, rilascerebbero emissioni di gas serra e detriti sotto forma di microparticelle che si diffonderebbero prima in atmosfera bassa e poi in troposfera, quindi su di noi e l’ambiente in cui viviamo.
Una recente ricerca condotta da scienziati dell’Università della British Columbia, in Canada, ha rivelato che l’alluminio proveniente dal rientro dei satelliti potrebbe causare un grave impoverimento dello strato di ozono che protegge la Terra dalle radiazioni ultraviolette del sole e potrebbe anche influenzare la quantità di luce solare che viaggia attraversa l’atmosfera e raggiunge il suolo.