In questi giorni abbiamo letto con grande stupore che fra le varie soluzioni adottabili per accelerare ulteriormente lo sviluppo della banda larga in Italia, sfruttando le risorse del Recovery Fund, vi potrebbe essere addirittura la creazione di un “Consorzio fra operatori”, magari pubblico-privato. Il che, agli occhi degli incauti promotori di questa bella proposta, risponderebbe alle richieste europee che sollecitano partnership tra pubblico e privato.
E così, dal Consorzio del Parmigiano Reggiano o del Prosciutto di Parma siamo dunque arrivati a pensarne uno per la rete in fibra nelle Aree Grigie. Ancora una volta, verrebbe voglia di chiedersi chi è quel genio che ha avuto questa idea.
Certo, in questi mesi ci siamo abituati a vedere proposte e soluzioni chiamate non col proprio nome, ma con altre denominazioni di facciata, quasi sempre scelte per far confusine, per rimescolare le carte e, sostanzialmente, per celare le reali intenzioni dei proponenti.
Un esempio del genere è il ricorso alla definizione di co-investimento, con riferimento improprio all’ex Art.76 del Codice Europeo delle Comunicazioni Elettroniche (peraltro non ancora recepito a livello nazionale), per descrivere la creazione della cosiddetta Rete Unica mediante il veicolo AccessCo. Un ricorso improprio, oltre che improbabile, sul quale si spera che nessuno voglia ancora insistere.
Consorzi fra operatori di TLC o Raggruppamenti Temporanei di Imprese?
Ora ci risiamo. E la volta dei Consorzi, anche se davvero non si comprende quale possa essere la logica dietro al paventato “Consorzio fra operatori”, che qualche genio ha immaginato.
Se con tale espressione si intende la possibilità di più imprese di presentare un’offerta congiunta in occasione delle gare che dovranno essere bandite per l’assegnazione dei fondi per le nuove reti nelle aree ancora non servite o escluse dai piani esistenti (leggasi in primo luogo le Aree Grigie), allora non c’è bisogno alcuno di scomodare impropriamente i Consorzi. Si fa riferimento all’ormai ben collaudato istituto del Raggruppamento Temporaneo di Imprese (RTI).
Ora, tale istituto nasce appunto con l’obiettivo di consentire ad imprese che non dispongono di sufficienti mezzi tecnici ed economici di associarsi ad altre imprese per poter avere i requisiti necessari per partecipare alle gare ed aumentare le proprie possibilità di divenire assegnatari.
Risulta francamente difficile pensare che i due principali operatori infrastrutturali del paese, TIM e Open Fiber, non abbiano i requisiti per potersi presentare da soli.
Per prima cosa fare la mappatura delle zone da coprire. Il nodo TIM
Tuttavia, ammettendo anche che ci possa essere un forte interesse ad unire le forze per procedere ancora più speditamente nella realizzazione delle reti, ipotesi peraltro dimostrata al massimo solo sulla carta, tale raggruppamento o “Consorzio” non potrebbe essere automaticamente avallato. La sua eventuale approvazione dovrebbe necessariamente avvenire a valle di una mappatura delle aree da coprire (e la mappatura dovrebbe tenere conto anche delle aree che saranno coperte con la tecnologia 5G/FWA), di una valutazione delle forze in gioco e degli aspetti concorrenziali, per evitare che tale strumento non serva a consolidare ulteriormente la posizione dell’operatore dotato di significativo potere di mercato (in questo caso, TIM) in danno degli operatori concorrenti.
Nel caso in cui TIM partecipasse al Consorzio, disponendo della maggior parte delle dorsali cui le nuove reti finirebbero necessariamente per appoggiarsi, oltre che delle reti esistenti, ed essendo attiva anche sul mercato retail, è evidente che la posizione dominante di TIM rappresenterebbe una questione di non poco conto e per alcuni versi sarebbe un nodo irrisolvibile.
La UE, gli aiuti di Stato e le regole europee
È per questo motivo, infatti, che gli orientamenti della Commissione Europea sugli aiuti di Stato per la banda larga attribuiscono punti supplementari al modello wholesale-only, proprio per la sua maggiore attitudine a consentire la concorrenza fra tutti gli operatori.
D’altro canto, l’Art.76 del Codice Europeo delle Comunicazioni Elettroniche sugli accordi di co-investimento prevede la completa deregolamentazione delle nuove reti interamente in fibra (attenzione anche a questo dettaglio tecnologico del tutto rilevante) realizzate congiuntamente dall’incumbent e altri operatori, a condizione che venga rispettata una lunga e complessa serie di stringenti requisiti, volti a tutelare la capacità di competere sia dei partecipanti agli accordi sia delle terze parti, che devono essere valutati dall’autorità nazionale di regolamentazione.
Proprio la rigidità di tali condizioni, che TIM sta già sperimentando nelle more della decisione di AGCOM sul progetto FiberCop, presentato impropriamente come co-investimento ex Art.76, lascia intendere che questo famigerato “Consorzio” rischi di essere niente altro che una soluzione usata per aggirare di fatto la regolamentazione di settore.
Se addirittura si volesse fare a meno dei fondi pubblici, le iniziative private che volessero procedere con le proprie forze (pur da premiare in un’ottica di maggiori risparmi pubblici) non potrebbero assolutamente prescindere dal rispetto delle condizioni suddette.
La Banda Ultralarga ha bisogno del Recovery Fund che va investito nel rispetto delle norme europee
Tuttavia, i fondi pubblici ed in particolare le risorse del Recovery Fund servono eccome ed ecco perché forse qualcuno, per tentare di ovviare ai problemi di concorrenza comunque rimanenti, ha pensato di suggerire la possibilità di estendere il paventato Consorzio ad una non meglio precisata “partecipazione pubblica”.
A quale titolo sarebbe tale partecipazione pubblica, a titolo finanziario e/o di Governance?
E, cosa su cui pesano ancora grandi equivoci, a chi sarebbe attribuita la proprietà delle nuove reti?
Interrogativi tali da rendere opportune riflessioni approfondite e non fantasiose ricostruzioni, che vengono magari pensate per fare grande movimento a centro campo, mentre le decisioni vengono prese in tribuna.
Il quadro, come si vede, è di per sé intricato ed è necessario che le decisioni che il governo è chiamato a prendere a breve sul futuro della connettività del paese siano improntate ad un saggio approfondimento anche su come posizionarsi in modo rispettoso e proattivo nei confronti delle norme europee che orienteranno assegnazione, controllo di gestione ed erogazione dei fondi del Recovery Fund.
Lasciamo i Consorzi al Parmigiano Reggiano ed al Prosciutto di Parma, che devono difendere le origini dei propri prodotti. La banda ultra larga non ha origini da difendere, ma competizione di mercato da assicurare, qualità dei servizi da garantire e difesa dei consumatori da tutelare.