La sperimentazione, peraltro non isolata, da parte del gruppo Gedi di richiedere l’accettazione dei cookie di profilazione in alternativa a una delle diverse formule di abbonamento al sito è solo una delle tante strade che in queste settimane si stanno percorrendo per affrontare un futuro, dell’editoria e della pubblicità digitali, i cui contorni saranno sempre più segnati dalle normative sulla privacy e dalle relative decisioni da parte dei browser.
Se Google ha dovuto rimandare il blocco, su Chrome, dei cookie di terze parti per le difficoltà incontrate nella sperimentazione dell’alternativa proposta – il cosiddetto progetto FLoC – il suo recente annuncio dell’introduzione di PAIR, una tecnologia che permette ad inserzionisti ed editori di riconoscere e quindi ingaggiare gli utenti sulla base delle informazioni indicate in sede di registrazione (User-ID), è un ulteriore passo alla ricerca di soluzioni volte a coniugare il rispetto della privacy e la personalizzazione, e quindi l’efficacia, della pubblicità online.
I cosiddetti “dati di prima parte”, sulla cui comunanza fra advertiser e publisher PAIR si fonda, rappresentano infatti un asset via via più prezioso perché non solo permettono di offrire una navigazione più personalizzata, ma consentono, nel rispetto delle normative, raccomandazioni di contenuti, prodotti e servizi utili per accrescere il valore espresso dall’utente. Le piattaforme digitali over-the-top se ne possono avvalere grazie ad una login pressoché necessaria: tutti gli altri operatori, direttamente o per il tramite di soluzioni tecnologiche terze, stanno investendo per accrescere il ruolo delle aree riservate e delle app volte a garantirsene la raccolta.
Il combinato disposto del blocco dei cookie di terze parti e della decisione, da parte di Google ed Apple, di rendere necessaria l’accettazione al tracciamento da parte delle app presenti sugli smartphone ha innescato dunque un processo di ripensamento tecnologico ed editoriale dei contenuti e dei servizi disponibili online.
Benché i cookie di terze parti potessero essere cancellati dall’utente in ogni momento, essi rappresentavano uno standard trasversale e il loro tramonto ha aperto la corsa a individuare soluzioni alternative che però o sono connotate da un approccio probabilistico o si limitano a circuiti specifici e sulla base di dati di prima parte raccolti anche in modalità innovative. Il mobile advertising ID, ad esempio, può costituire il perno attorno al quale Apple può estendere il suo impegno nei confronti della pubblicità online.
Se nuove tecnologie e nuovi attori si profilano all’orizzonte, la richiesta di consenso al tracciamento delle app ha nel frattempo impoverito la puntualità con la quale poteva essere tracciato il customer journey e quindi valutato il rendimento delle campagne pubblicitarie online: ecco perché, ad esempio, al pixel di Facebook che operava attraverso i cookie di terze parti si sono nel tempo affiancate tecnologie come le API di conversione basate sulla comunicazione server-side fra gli inserzionisti e Meta.
Lo scrittore Eduardo Galeano sosteneva che inseguire l’orizzonte non consentisse di raggiungerlo, ma permettesse in ogni caso di continuare a camminare. C’è da augurarsi che il futuro della pubblicità online, dopo questi sforzi di innovazione, non si risolva in una utopia.