Questa mattina a Roma, a breve distanza tra le rispettive “location”, sono state organizzate due iniziative che, pur sganciate tra loro, consentono all’osservatore attento di identificare un “fil rouge”: nel rinnovato Cinema Barberini (nella omonima piazza) e nello storico Centro Congressi Frentani (vicino alla sede centrale dell’Università di Roma), Confindustria e Cgil hanno promosso due incontri, uno autocelebrativo dei primi 10 anni di Confindustria Radio Televisioni e l’altro di contestazione, da parte della Cgil ma anche di altri soggetti come i 100autori ed Unita, dell’intervento governativo in materia di precarietà dei lavoratori dello spettacolo…
Senza entrare nel merito della assurdità della contemporaneità di simili iniziative (di grazia, ma è tanto complicato cercare di impostare meglio le agende di organizzazioni di questo livello?!), qual è il trait d’union: da prospettive completamente differenti – le imprese ed i lavoratori – queste diverse anime del sistema culturale e creativo nazionale sono in affanno, e chiedono aiuto allo Stato.
Nella celebrazione dei primi dieci anni di Confindustria Radio Tv, è stata messa in scena – una volta ancora – l’importanza del settore, la sua funzione di traino per lo sviluppo economico del Paese, sempre ponendo l’accento sulla dimensione economica, fatturati e forza-lavoro occupata. Nulla di nuovo, rispetto alle tesi tipiche di lobby imprenditoriali.
La vera sostanza e novità dell’iniziativa è stata la esplicita richiesta di accesso al “tax credit” da parte delle imprese radiotelevisive, istanza manifestata soprattutto da Umberto Cairo, dominus del Gruppo La 7 / Corriere della Sera (Rcs Media Group), il quale ha anzitutto rimarcato come la sua emittente svolga anche “servizio pubblico” e come una parte dei programmi che vengono prodotti e trasmessi abbiano la stessa dignità delle opere cinematografiche e audiovisive che beneficiano dei sostegni dello Stato: “siamo gli unici che non hanno avuto misure di sostegno, come è accaduto per altri settori contigui al nostro con i tax credit, misure che sarebbero certamente molto giuste anche per i programmi che facciamo”.
In verità, lo stesso Pier Silvio Berlusconi (intervenuto questa mattina con un videomessaggio preregistrato), dominus del Gruppo Mediaset aveva lamentato ieri, in occasione di un incontro con la stampa sull’andamento del Biscione in termini di audience e di risultati di business (incontro al quale hanno partecipato anche Marco Paolini, Direttore Generale Palinsesto e Distribuzione e Stefano Sala, Ad di Publitalia): “Mediaset non ha accesso a nessun tipo di investimento (n.d.r. si intende “investimento” come “intervento pubblico”): si è parlato di tax credit, per cui si riceve finanziamento per il prodotto nazionale, ed è uno strumento giusto. Ad oggi il tax credit non arriva, ma arriva a finanziare prodotti di multinazionali non italiane. I finanziamenti nazionali vanno a finanziare società non italiane e spesso vanno a piattaforme che pagano in tasse il 3 % dei ricavi”. Più esattamente: “noi siamo svantaggiati rispetto ai grandi player internazionali, gli Over The Top. A partire dal sistema di tassazione, con la minimum tax che è al 15 %, mentre le piattaforme del web pagano il 3 %. Oggi noi non possiamo accedere al tax credit, tranne che per un 25 % nel cinema, rispetto al quale preferiamo comunque il 40 % di cui beneficiano i produttori indipendenti. E questo è sbagliato”. La tesi di Berlusconi jr è condivisibile, perché non si comprende per quale perversa interpretazione della legge possano accedere pienamente al “tax credit” imprese come Fremantle, considerata in Italia produttore indipendente nonostante appartenga al gruppo multimediale (tedesco) Rtl Bertelsman, e non le società di produzione controllate da Mediaset (vedi “Key4biz” del 23 giugno 2023, “Tax credit cinema e audiovisivo sotto indagine? Il Ministero avvia una ‘discussione’ sullo strumento”): ci si augura che il Ministro Gennaro Sangiuliano (Fratelli d’Italia) e la Sottosegretaria delegata Lucia Borgonzoni (Lega Salvini) provvedano a correggere questa distorsione discriminante, nell’economia della riforma della Legge Franceschini ed in particolare del “tax credit”.
Pier Silvio Berlusconi ha anche riproposto la tesi secondo la quale “l’Italia è il Paese in cui vengono dedicate meno risorse pro capite per singolo abitante al settore radiotelevisivo, e questo è un errore”.
Nell’economia della kermesse al Cinema Barberini, intitolata “Valore e valori del settore radiotelevisivo, perno di innovazione e crescita”, il Presidente di Confindustria Radio Televisioni Franco Siddi (già nel Consiglio di Amministrazione della Rai dal 2015 al 2018, cooptato “in quota” Partito Democratico), ha enfatizzato il ruolo del settore: “l’industria radiotelevisiva è impresa a tutto tondo, elemento primario per la formazione della coscienza democratica del Paese che trova la propria radice nella Carta dei diritti dell’Unione Europea e nella Carta costituzionale italiana, di cui celebriamo i 75 anni. Patrimonio di valori civili, sociali, culturali che le nostre associate hanno nel loro dna”. Siddi ha difeso anche la funzione del servizio pubblico radio-televisivo (si ricordi che, da qualche anno Rai è associata, curiosamente, a Confindustria), ed ha rimarcato l’importanza di un canone stabile: “nella realtà attuale e ancor di più in quella futura il ruolo dei servizi pubblici in Europa è fondamentale… Per svolgere con incisività la propria funzione specifica di tutela del pluralismo, dell’inclusione e della coesione sociale, il servizio pubblico radiotelevisivo deve essere mantenuto, supportato e non svilito. Il canone, come finanziamento pubblico, è elemento di trasparenza, deve essere adeguato alla missione affidata alla Rai, per un arco di tempo pari almeno al contratto di servizio”.
Si ricordi che aderiscono a Confindustria Radio Televisioni (Crtv) quasi tutti i “player” del sistema televisivo (e radiofonico) nazionale (ed anche operatori di rete come Ei Towers, Persidera, Prima Tv, Rai Way), ma non un broadcaster “pay” come Sky Italia, la quale è fuoriuscita dall’associazione nel 2016, denunciando una “visione del settore ancorata al ‘900”. Secondo quel che dichiarò allora l’operatore televisivo (controllato dal 2018 da Comcast) a distanza di pochi anni dalla fondazione, Confindustria Radio Tv sarebbe stata allora ancora permeata da una “mentalità duopolistica Rai-Mediaset”.
In occasione dell’iniziativa, è stata distribuita l’edizione n° 28 dello “Studio Economico Settore Radiotelevisivo Privato Italiano” (pubblicato nel gennaio 2023) e l’edizione 2023 dell’“Osservatorio Radio in Italia”, strumenti di conoscenza senza dubbio utili, ma ben lontani da poter fornire una radiografia critica dei rispettivi universi di riferimento: ancora una volta, strumenti parziali (ed anche un po’ partigiani, nella ovvia autoreferenzialità rispetto ai propri associati), inadeguati per comprendere il vero funzionamento strutturale di questi settori dell’industria culturale.
Come in occasione delle pubblicazioni dei rapporti annuali di Symbola e Federculture, ri-denunciamo la perdurante ed incredibile assenza in Italia, nel 2023, di un “testo di riferimento” per comprendere il vero funzionamento – “struttura” e “sovrastruttura” (marxianamente), tra l’economico ed il semiotico – del sistema culturale nazionale.
La Cgil chiama a raccolta tutti coloro che contestano il provvedimento deciso dal Governo in materia di “indennità di discontinuità”, che il Sottosegretario Mazzi rivendica con orgoglio
Tutt’altra atmosfera ai Frentani: una sala in verità affollata per metà (circa un centinaio i partecipanti), ma toni vivaci e pugnaci.
Il titolo dell’iniziativa, “Spettacolo. La giusta riforma, adesso!”, prende spunto da una decisione assunta dal Governo, e questa mattina stessa rivendicata dal Sottosegretario delegato allo Spettacolo dal Vivo, Gianmarco Mazzi (esponente di Fratelli d’Italia)…
Il Sottosegretario ha dichiarato che “le lavoratrici e i lavoratori dello spettacolo potranno finalmente beneficiare dell’indennità di discontinuità, uno strumento di supporto economico su cui contare stabilmente ogni anno. Un provvedimento strutturale e continuativo mai realizzato prima, che, in riferimento al 2023, prevede uno stanziamento di 100 milioni di euro e punte massime di contributi pari a 4 mila euro per lavoratore. Stiamo attendendo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, occorrerà poi affrettarsi a presentare le domande entro il prossimo 15 dicembre 2023”.
Secondo la Cgil, si tratta di un provvedimento inadeguato, pasticciato ed insufficiente ad affrontare seriamente il problema della “precarietà” di parte significativa dei lavoratori dello spettacolo.
Eppure Mazzi rimarca: “è la prima volta che un Governo vara un provvedimento così attento e consistente a beneficio dei lavoratori e degli artisti. Il Consiglio dei Ministri ha, infatti, approvato definitivamente il decreto legislativo che trova copertura finanziaria per 194 milioni nei prossimi tre anni e 40 milioni a regime dal 2026 con possibilità di rifinanziamento. A 20.600 lavoratori, con un reddito inferiore a 25 mila euro, arriverà un contributo medio di 1.500 euro con punte fino a 2.200 euro. In fase di prima applicazione l’importo arriverà a 4mila euro, per dare un deciso impulso all’istituto. A questi benefici si aggiungeranno i vantaggi pensionistici e previdenziali con una contribuzione figurativa da parte dell’Inps a favore degli stessi lavoratori. L’inserimento, poi, nei percorsi di formazione e aggiornamento sono tesi a restituire dignità e a costruire nuovi orizzonti professionali”.
Conscio delle lamentazioni di molti esponenti di associazioni del settore, Mazzi commenta: “qualcuno si lamenta? È curioso. Dopo vent’anni di chiacchiere e inerzia totale da parte di tanti esecutivi, si attacca il primo e unico governo che, in un contesto generale di grande rigore per la tenuta dei conti pubblici, investe da subito ben 100 milioni di euro per il settore. Noi, orgogliosi di questa manovra, siamo dalla parte di quei ventimila lavoratori che ne trarranno beneficio immediato”.
Torneremo su questo tema, ma è un dato di fatto oggettivo che si tratti di un primo intervento del Governo su un tema complesso e rimosso dalle agende della “politica culturale” dei precedenti esecutivi (al di là della loro cromia politica).
In verità, c’è chi contesta questa interpretazione, in primis il deputato “dem” Matteo Orfini, che ha dichiarato oggi all’agenzia stampa specializzata AgCult: “il sottosegretario Mazzi, chiaramente inconsapevole delle cose di cui si dovrebbe occupare, emana una nota ridicolmente trionfalistica in cui dimostra solo la sua totale malafede… Intanto occorre ricordare che, se c’è una norma sulla discontinuità, non è certo grazie a questo governo. E, se ci sono 100 milioni da spendere per la discontinuità, è grazie a un emendamento a mia prima firma nella passata legge di bilancio, quando Mazzi e il suo ministro si erano completamente disinteressati – a proposito di inerzia – di mettere delle risorse per i lavoratori del settore. Se oggi il governo è costretto a correre, è perché rischia di perdere quelle risorse, non avendo fatto assolutamente nulla per 11 mesi. Oggi propone una misura spot, che tradisce lo spirito della norma sulla indennità di discontinuità e che è esattamente l’opposto di quello che chiedono lavoratori e lavoratrici. Si offre un bonus, non la attesa riforma. Che Mazzi e Sangiuliano disprezzino i diritti di lavoratrici e lavoratori dello spettacolo, ormai è evidente – conclude il deputato Pd –. Potrebbero almeno risparmiarci l’arroganza sciocca e offensiva di queste dichiarazioni”.
Toni piuttosto aggressivi…
Non entriamo per ora nel merito delle rispettive rivendicazioni.
La misura varata dal Governo è giudicata assolutamente “sbagliata” dalla Slc, e lontana dalle esigenze dei lavoratori del settore.
All’incontro a Frentani hanno partecipato delegate e delegati della categoria, attori, doppiatori, sceneggiatori, registi, danzatori, musicisti, rappresentanti delle troupes, insieme ad esponenti di varie associazioni, tra le quali sigle famose come i 100autori ed Unita, e novelle Rac (Registe e registi Teatrali a Confronto).
Notoriamente, gli operatori dello spettacolo lavorano per lo più in modo “discontinuo” e per operare come professionisti hanno necessità di sostegno economico. La legge n. 106, quella che nel luglio 2022 ha delegato il governo a riordinare il settore e istituire una “indennità di discontinuità”, avrebbe dovuto preludere all’avvento di una misura di sostegno strutturale. Invece nel decreto legislativo approvato il 15 novembre, il sostegno non sarebbe né adeguato come importo né permanente: secondo la Cgil – ed in particolare il Sindacato dei Lavoratori della Comunicazione – Slc (di cui Sabina Di Marco è Segretaria nazionale e Fabrizio Solari Segretario Generale) si tratta di un provvedimento che si pone come “ennesimo bonus” annuale che non assicura stabilità.
Quel che è certo è che il sistema della cultura – in particolare le attività dello spettacolo – si caratterizza, dal punto di vista dei lavoratori, per intersettorialità, multidatorialità, intermittenza e quindi precarietà… e l’attuale sistema normativo non tutela quella parte prevalente di lavoratori che sono costretti a operare in regime di “partita Iva”.
Si tratta di decine di migliaia di lavoratori che sono oggettivamente vulnerabili, e quindi ricattabili da datori di lavoro privi di scrupoli.
Maurizio Landini (Cgil): “il problema vero va oltre lo specifico del settore della cultura: si deve combattere la precarizzazione strisciante e crescente di tutto il mondo del lavoro”
Appassionato (seppur assai lungo) l’intervento del Segretario Generale della Confederazione Italiana Generale del Lavoro, Maurizio Landini, che ha condiviso le tesi manifestate dai contestatori del provvedimento governativo, ma ha cercato di rilanciare e volare alto, sostenendo che il problema della “precarietà” va ben oltre lo specifico settore dei lavoratori dello spettacolo e più in generale della cultura: da decenni, si assiste ad una strisciante e crescente “precarizzazione” del lavoro, con indebolimento degli strumenti di garanzia dei lavoratori, dai contratti collettivi nazionali per arrivare fino allo sciopero.
La precarietà è funzionale alla visione capitalista del lavoro come “merce”: “si sta sostituendo la solidarietà con la competitività, finanche dai banchi di scuola”. Il problema non nasce con il governo guidato da Giorgia Meloni, ma inizia negli Anni Novanta, con la deriva mercatista della società italiana.
Dopo la bella stagione degli anni Settanta (feconda per dinamiche di grande importanza sociale, come i contratti nazionali ed il sistema sanitario ed i diritti civili…), si è assistito ad una sorta di sganciamento del mondo della cultura dal mondo del lavoro: “si è indebolito il rapporto di massa tra la cultura ed i lavoratori”, ha sostenuto Landini. Si è venuta affermando la “sub-alternità del lavoro all’impresa”. Serve un altro “modello sociale”. Ed il Segretario Nazionale della Cgil ha ricordato come l’Italia sia ancora oggi, peraltro, uno dei Paesi europei che spende meno in cultura. E curiosamente giunge l’eco di Pier Silvio Berlusconi che dal canto suo lamenta come la “spesa pro-capite” in audiovisivo sia in Italia assai bassa rispetto ad altri Paesi europei…
Il Segretario ha sostenuto che i lavoratori della cultura e della comunicazione dovrebbero adoprarsi in modo più intenso ed attivo per far comprendere ai lavoratori tutti, ai cittadini tutti, la pericolosità delle trasformazioni in atto nel mercato del lavoro: “c’è un grosso problema di comunicazione”, ovvero di rappresentazione delle dinamiche in atto, che finiscono per essere considerate dai più come normali, quasi fatalisticamente, allorquando sono patologiche assai.
Landini ha invitato i lavoratori del settore culturale ad unirsi in una battaglia contro la “precarizzazione” (che verrà accelerata anche dalle conseguenze dell’Intelligenza Artificiale), stimolando, attraverso la propria attività di intellettuali ed artisti, una visione del mondo, una prospettiva di società che non sia basata sullo sfruttamento, ovvero una dinamica che tende a trasformare tutti in servi del consumismo e del capitale. Già immaginiamo che, in una qual certa destra (semplicista e radicale), il commento alle sortite di Landini sarà à la Berlusconi (senior): “i soliti comunisti”…
Tornando alle specifiche tematiche del settore culturale, va segnalato che la situazione appare effervescente, si prospettano azioni di protesta e la preparazione di uno sciopero nazionale dei lavoratori…
Torneremo presto su queste tematiche, certamente complesse ma indubbiamente fondamentali per comprendere lo scenario socio-economico nazionale in questa fase di radicale trasformazione di molti paradigmi storici del Novecento…
[ Nota: questo articolo è stato redatto senza avvalersi di strumenti di “intelligenza artificiale. ]
(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz”.