La settimana che si chiude oggi venerdì 11 novembre si è aperta – nell’ambito delle politiche culturali – con un’intervista a piena pagina di Gennaro Sangiuliano al quotidiano “il Giornale”, nella quale il neo Ministro della Cultura ha sostenuto a chiare lettere che si deve cambiare rotta, in materia di sostegni pubblici alle arti.
L’intervista, firmata da Francesco Maria Del Vigo, merita essere analizzata, perché chiarisce il Sangiuliano-pensiero, che contesta l’egemonia che “la sinistra” avrebbe avuto nel settore culturale e chiede una sorta di ri-equilibrio, pur subito precisando che lungi da lui voler sostituire una “egemonia” con un’altra “egemonia”.
La tesi è interessante, ed in sé valida, ma ci domandiamo se le commissioni ministeriali (i famosi 15 “saggi”, ovvero gli esperti designati dal Ministro pro tempore) siano state, nel corso del tempo, poi così faziose: non ci risulta, non ci sembra.
Peraltro, gran parte dei processi di sostegno al cinema ed all’audiovisivo attivati dalla cosiddetta “legge Franceschini” del 2016 sono ormai basati di fatto su meccanismi in qualche modo “automatici”: il “tax credit” ha consentito un boom produttivo artificiale, sulle cui conseguenze nessuno ha finora riflettuto adeguatamente.
Lo “stato dell’arte” delle conoscenze sul sistema culturale e mediale italiano continua ad essere lacunoso, e riteniamo che – in assenza di adeguate conoscenze – sia quasi impossibile un “buon governo”, sia esso orientato a destra o a sinistra (o finanche al centro).
Continua infatti ad essere deficitaria la “cassetta degli attrezzi” e prevale un governo inevitabilmente nasometrico delle politiche culturali: auguriamoci che il neo Ministro se ne renda presto conto, e voglia superare metodiche approssimative e superficiali.
Ed è peraltro proprio di ieri la notizia che la ex Sottosegretaria Anna Laura Orrico ha annunciato in Parlamento l’esigenza di una “indagine conoscitiva” su cinema e audiovisivo.
Estrapoliamo dall’intervista del Ministro: a parer suo, sarebbe necessaria “una scossa al polveroso mondo dell’intellighenzia nostrana, nel nome del pluralismo”… l’erogazione dei fondi è stata “assolutamente unilaterale”… si sarebbero fatti film “coerenti con una certa narrazione culturale della società italiana, della nazione e del mondo”.
Ha sostenuto Sangiuliano “se qualcuno vuole fare un film su D’Annunzio o Pirandello, deve farlo liberamente”.
Francamente, non ci risulta vi siano state dinamiche censorie o ostative, nell’ambito della Direzione Generale Cinema e Audiovisivo del Ministero, nel corso del tempo…
E, come commenta ironicamente il sempre puntuto Andrea Dusio sulle colonne del settimanale “Odeon / HiTech” (diretto da Angelo Frigerio) nell’edizione odierna: “la replica allo svarione è scontata. La Rai ha prodotto ‘L’Oriana’, una fiction dedicata alla Fallaci (è andata in onda nel 2015 su Rai1, con protagonista Vittoria Puccini e 16 % di share n.d.r.). E in queste settimane sta andando molto bene al botteghino ‘La Stranezza’, il film di Roberto Andò che di fatto parla di Pirandello, pur se in forma di commedia”.
Secondo Dusio, “il ministro si è fatto forse prendere la mano, ma il problema non è che abbia evocato produzioni in realtà già esistenti” (una piccola gaffe), bensì che il Ministro abbia esplicitamente chiesto a Rai si facciano determinate produzioni.
Rai e Mic: stimolare uno spettro culturale-produttivo più ampio, una narrazione più plurale, un immaginario più diversificato
Un Ministro può forse invitare i dirigenti di Viale Mazzini a stimolare uno spettro culturale-produttivo più ampio, una narrazione più plurale, un immaginario più diversificato, ma francamente non può andare molto oltre (proponendo “orientamenti”), perché si andrebbe a ledere il principio fondamentale della autonomia editoriale del servizio pubblico radiotelevisivo.
Condividiamo quel che teorizza Dusio: “la politica deve pensare a creare le condizioni affinché tutti siano messi nelle condizioni di fare le proprie proposte, e il soggetto pubblico decida con la minor discrezionalità possibile, in base a parametri oggettivi di fattibilità, quali progetti finanziare e perché”.
Che, poi – più in Rai che al Mic – esistano “colli di bottiglia” decisionali e ci siano alcune figure manageriali che esercitano eccessivo potere, è questione altra, che pure va seriamente affrontata: da molti anni, tutti gli operatori del settore (tutti a parte coloro che fanno parte di una eletta schiera di produttori privilegiati) lamentano l’eccesso di discrezionalità che può esercitare chi guida la Direzione Fiction Rai (dal dicembre 2021, Maria Pia Ammirati; la sua predecessora Eleonora Andreatta è andata, da metà 2020, a guidare le scelte produttive di Netflix in Italia…).
In sostanza, il “metodo Franceschini” può certamente essere suscettibile di critiche e quindi miglioramenti, ma ha superato le precedenti logiche tendenzialmente (quelle sì) ideologiche (nella soggettività dei valutatori), che erano basate su un opinabile concetto qualitativo di “interesse culturale”.
E, senza dubbio, negli ultimi anni la cinematografia italiana ha prodotto anche opere eccellenti, sebbene riteniamo si sia venuta a determinare una sovrapproduzione sganciata dalle logiche di mercato.
Si assiste infatti da tempo ad una inflazione produttiva di centinaia di titoli all’anno: film che in buona parte non escono nel circuito “theatrical”, non vengono trasmessi in televisione, non vengono offerti dalle piattaforme… Una parte di questi film circola soltanto tra “gli addetti ai lavori”, ovvero la compagnia di giro dei cinefili che frequentano i tantissimi festival, ma per il resto si tratta di una “cinematografia” invisibile. Anche se si volesse considerare questo “piccolo mondo” un utile laboratorio, si tratta di un laboratorio di cui quasi nessuno conosce i frutti: la maggioranza dei film “theatrical” italiani non conoscono la luce (il buio) di una sala cinematografica e sono noti soltanto ad autori e produttori, parenti ed amici.
Si tratta di una sorta di “sottomondo” paradossalmente clandestino, seppur finanziato generosamente dallo Stato: si ricordi che ormai il Mic interviene con ben 750 milioni di euro l’anno a “sostenere” la cinematografia e la televisione nazionale…
Questo è forse il primo problema che riteniamo debba essere affrontato dal neo Ministro, il quale potrà certamente recepire l’eredità di conoscenza ed esperienza che ha maturato nel corso dei due mandati sottosegretariali la sua collaboratrice leghista Lucia Borgonzoni, alla quale immaginiamo andrà ad assegnare la delega per il cinema e l’audiovisivo (Franceschini l’aveva tenuta per sé, assegnando invece alla leghista l’area delle “industrie culturali e creative” ed il rapporto tra “cinema” e “scuola”).
Un grande incontro dialettico con il mondo del cinema italiano e dell’audiovisivo, promuovendo una giornata nazionale aperta di studio e confronto
Crediamo che il Ministro debba stimolare un grande incontro dialettico con il mondo del cinema italiano, e dell’audiovisivo, promuovendo una giornata nazionale aperta di studio e confronto (che non sia rituale come le iniziative promosse nel corso del tempo dalla principale associazione dei produttori, qual è l’Anica presieduta da Francesco Rutelli): vanno ascoltate, a parità di dignità, anche le anime creative ed artistiche e tecniche del settore, le voci eterodosse ed i dissidenti, i piccoli, i produttori indipendenti… Tutte le fasi della filiera debbono essere analizzate ed ascoltate, per identificare le (tante) criticità in essere.
Il lavoro da fare è tanto, ma non ci sembra che, nell’insieme, la produzione cinematografica e audiovisiva italiana possa essere considerata tout-court di approccio culturalmente “sinistrorso”: se c’è difetto, è forse nella tendenza ad un qualche appiattimento di tipo “politically correct”, con una diffusione di stereotipi positivi per rivalutare identità minoritarie (gli immigrati, le diversità di genere…). D’altronde, ormai anche una multinazionale come la Disney “impone” alcuni valori ideologici, che verosimilmente non sono granché apprezzati dal neo Ministro…
Lunedì scorso il Ministro Sangiuliano, in un’intervista al quotidiano “Libero” ha dichiarato che l’elezione di Giorgia Meloni è “una rivoluzione politica che nasce da una rivoluzione culturale. Gli italiani si sono ribellati democraticamente, con il voto, a decenni di cappa politica della sinistra”. Crediamo che, senza dubbio, una qualche logica del “politically correct” dominante vada scardinata nelle “macchine culturali” italiane (dalla Rai al Mic a Cinecittà…), ma si ricordi che il rischio di commettere errori ideologici speculari è sempre latente.
In sintesi: ha certamente ragione il Ministro rispetto all’esigenza di estendere lo spettro del pluralismo espressivo, ma forse più nella direzione di una maggiore sensibilità del dicastero verso la sperimentazione e la ricerca, sia artistica sia tecnologica, verso linguaggi innovativi e tecniche d’avanguardia.
Un esempio?! Perché non dedicare maggiore attenzione (e quindi pubblico sostegno) ai pochi ma stimolanti esperimenti di opere in “virtual reality”, che finora sono stati monopolio di piccoli investimenti soltanto da parte di RaiCinema?!
E, se la Rai continua a destinare poche risorse economiche al genere “documentario” (che pure ha potenzialità enormi, nel nostro Paese, sottovalutate e sottodimensionate), perché il Ministero non decide di assegnare budget adeguati per rilanciare queste produzioni?!
E se in altre televisioni pubbliche d’Europa si registra una discreta frequenza di messa in onda “cortometraggi”, perché non stimolare anche la Rai in questa direzione, facendo crescere la palestra ideativa e produttiva, allocando adeguate risorse?!
L’elenco dei deficit e delle potenzialità potrebbe continuare, e certamente torneremo presto su queste tematiche. Non ultimo il sostanziale fallimento del progetto – molto ambizioso ma mal impostato – della piattaforma ItsArt, tanto cara al predecessore Dario Franceschini, ma sganciata da una indispensabile sinergia possibile con la Rai… In argomento (ItsArt), Gennaro Sangiuliano ha dichiarato “brucia denaro, inevitabile cambiare”.
Comunque, tutte le nuove strategie dovrebbero essere basate su processi decisionali di tipo “evidence-based”: e, ad oggi, le evidenze oggettive per “correggere la rotta” sono ancora poche, lacunose, frammentarie.
Anna Laura Orrico (M5S): una commissione di indagine parlamentare sul cinema e l’audiovisivo
Come rilanciato dalla sempre puntuale agenza stampa specializzata AgCult (diretta da Ottorino De Sossi), la ex Sottosegretaria del Movimento Cinque Stella Anna Laura Orrico (già al Mic – allora ancora Mibac – come Sottosegretaria dal settembre 2019 al febbraio 2021 con un Governo Giuseppe Conte) ha ieri proposto, al termine dell’ufficio di presidenza delle neo costituita Commissione Cultura della Camera (guidata da Federico Mollicone di Fratelli d’Italia), di “avviare un’indagine conoscitiva sullo stato dell’industria cinematografica e audiovisiva perché ritengo che vada fatto il punto sull’attuazione della Legge Cinema del 2016 e anche per approfondire alcuni aspetti che solitamente non vengono approfonditi, perché ci si concentra molto sul tax credit ma c’è tutto un tema che riguarda la formazione non solo delle professioni tecniche ma anche di quelle creative”.
Sostiene Orrico: “visto lo stato di crisi dell’esercizio cinematografico, credo sia importante fare il punto della situazione per eventualmente apportare delle modifiche e delle integrazioni alla Legge Cinema, anche per tutelare e non perdere un patrimonio come quello dell’esercizio cinematografico”.
Evidentemente la deputata del M5S non ritiene che sia sufficiente la “valutazione di impatto” che pure la Dg Cinema e Audiovisivo retta da Nicola Borrelli ha affidato per tre anni di seguito alla Università Cattolica ed a Ptsclas spa, e rispetto alla quale più volte abbiamo espresso varie perplessità (vedi il nostro intervento su “Key4biz” del 10 marzo 2022, “Salto di qualità della Direzione Cinema e Audiovisivo del Mic: online il nuovo sito web”).
E la Rai? Sbadita, confusa e sbandante
Abbiamo scritto tante volte – in saggi ed articoli (e da trent’anni ormai…) – che riteniamo che il profilo identitario della Rai non sia adeguato ad una sua più forte ed autentica funzione di “servizio pubblico”: la sua offerta è spesso sovrapposta (e comunque sovrapponibile) a quella delle emittenti televisive commerciali, anche a causa di un improprio co-finanziamento determinato dalla pubblicità.
Restiamo convinti in un modello di servizio pubblico televisivo e mediale “duro e puro”: il faro non può che essere rappresentato dalla Bbc.
Il dibattito sui futuri possibili della Rai è oggi inesistente: non se ne sono interessati i partiti (né di destra né di sinistra né di centro) nemmeno durante la campagna elettorale, e sullo scenario emerge soltanto la abituale “vis polemica” di Matteo Salvini, che invoca continuamente l’abolizione del canone ed una non ben definita riforma del servizio pubblico in prospettiva “federalista”.
Se Rai definisse meglio il proprio “identikit”, riteniamo che lo stesso Matteo Salvini non potrebbe cavalcare l’onda della disaffezione del pubblico, e quindi la reazione negativa nei confronti del canone (la “tassa più odiata” dagli italiani?!)
Come ricostruito puntualmente dal più accurato blog “politico” sulla Rai “BloggoRai” (“politico” inteso nel senso di “politica dei media”), il dibattito sulla televisione pubblica italiana continua a restare asfittico: nessuna idea innovativa, nessuna proposta di riforma…
Inerzia e conservazione.
E suscita clamore la notizia secondo la quale la Rai, per la prima volta, vede Mediaset superarla negli ascolti nel “giorno medio” del mese di ottobre 2022: 3,149 milioni gli ascoltatori di media per Mediaset (37,97 % di share) e 3,084 per la Rai (37,19 %). In prima serata, Rai si mantiene invece ancora davanti a Mediaset (7,617 milioni pari al 37,86 % di share per Viale Mazzini contro 7,595 milioni pari al 37,75 % di share di Mediaset).
Questi dati (elaborati dallo Studio Frasi di Francesco Siliato) sono stati ben evidenziati martedì 8 dal sempre attento Andrea Biondi sulle colonne del confindustriale “Il Sole 24 Ore” ed a distanza di un paio di giorni (curiosa e tardiva reazione) l’Ufficio Stampa di Viale Mazzini controbatte con un roboante comunicato intitolato “Rai: campione di ascolti tv nei primi dieci mesi dell’anno in corso”.
Commenta sarcastico il Redattore Anonimo di “BloggoRai”: “Acciperbacco!!! A parte la tempestività (due giorni dopo, fenomenali!!!) colpiscono i toni carichi di entusiasmo avvincente ed emozionante: “Nei primi dieci mesi dell’anno la Rai si conferma campione di ascolti rispetto agli altri gruppi televisivi sia in prima serata che nell’arco dell’intera giornata” e via trotterellando con enfasi degna di miglior causa: “…rimane il predominio dei canali Rai …”.
Non ci siamo.
Non è su questo terreno che Rai deve competere.
La discussione sulla sua offerta editoriale resta chiusa all’interno del Consiglio di Amministrazione, ed unica ed isolata appare la voce dissidente del membro eletto dai dipendenti Rai, quel Riccardo Laganà che si rinnova critico e pugnace, ma resta completamente inascoltato.
Nella riunione del Cda di mercoledì scorso, è stato affrontato l’andamento degli ascolti e sono stati presentati i palinsesti inverno 2022 / primavera 2023, illustrati da Marcello Ciannamea, Direttore del Coordinamento editoriale dei Palinsesti, e da Roberto Nepote, Direttore Marketing. Sono state affrontate le modifiche introdotte dall’Auditel, con la cosiddetta “total audience”, che sembra registrare un continuo indebolimento della tv pubblica. Dall’analisi, sarebbe comunque emerso che la Rai – nel medio periodo – resta leader degli ascolti, anche se la platea complessiva della tv lineare è in calo (si ricordi che, dal 2019 al 2022 la platea televisiva italiana ha perso ben 4 milioni di spettatori)…
Il problema di fondo non è in questo sterile “testa a testa” sugli ascolti, ma l’esigenza di una Rai diversa, differenziata e differenziante (vorremmo aggiungere anche “anticonformista”) rispetto a Mediaset, a La7, alle reti televisive delle multinazionali statunitensi (si pensi soltanto che il gruppo Discovery – ormai Discovery Warner Bros – ha chiuso l’esercizio 2021 in Italia con ricavi per 259 milioni di euro ed uno share di quasi l’8 % sulle 24 ore, ormai al terzo posto tra gli editori nazionali)…
Crediamo che, 24 ore su 24, il telespettatore, sintonizzandosi in qualsiasi momenti su una delle reti del Gruppo Rai (si ricordi che oggi Viale Mazzini offre 13 canali tredici…) dovrebbe acquisire immediata cognizione che si tratta di “servizio pubblico”: la Rai non dovrebbe competere con Mediaset & Co. in programmi simili a quelli dell’offerta commerciale.
Il continuo processo di omologazione va interrotto, si deve provocare un sano cortocircuito in una prospettiva di ben equilibrata ecologia dei media.
La Rai emargina programmi sperimentali nelle fasce sepolcrali di palinsesto: li produce soltanto per mettersi a posto la coscienza?
Va dato atto che Rai metta in onda programmi eccellenti (e finanche “di ricerca”, intesa in senso lato), ma spesso sono relegati a quelle che abbiamo definito fasce sepolcrali del palinsesto: esempi validi sono rappresentati da “piccoli” programmi come:
- “Febbre d’amore” su Rai 3: la prima puntata della terza edizione della “docuserie” sui disturbi alimentari condotto da Francesca Faldini, e prodotto da Ballandi, è andata in onda lunedì 7;
- “Generazione Z” su Rai2: condotto da Monica Sette, programma alla sua seconda edizione, che pure ci convince assai meno, anch’esso relegato in terza serata… a mezzanotte e mezza!
- “Sex”, su Rai3: anomalo “talk” condotto da Angela Rafanelli, andato in onda da inizio agosto, 6 puntate coprodotte da Fenix Entertainment di Riccardo Di Pasquale, anche questo messo in onda poco prima di mezzanotte…
Di quest’ultimo programma, una veterana della critica televisiva italiana qual è Alessandra Comazzi, scriveva a chiare lettere, sul quotidiano “La Stampa” del 16 agosto 2022: “Sex è un programma rivoluzionario sul sesso, perché Rai3 lo sbatte nelle notti d’agosto?”. Ha perfettamente ragione: messo in onda a quell’ora improbabile quasi – scrive Comazzi – “per lavarsi la coscienza”.
Operazioni interessanti: questo è indiscutibilmente “servizio pubblico”, non meno di “Report” di Sigfrido Ranucci e di “Che ci faccio qui” di Domenico Iannaccone…
Perché questi programmi “altri” non vengono messi in onda in prima serata?!
Logica di palinsesto assurda e masochismo del ruolo pubblico della Rai.
Abbiamo già denunciato, anche su queste colonne, come un esperimento narrativamente efficace, degno della prima serata di Rai1 (se il servizio pubblico non fosse così pavido), sia stata emarginata e proposta soltanto su RaiPlay: si tratta della serie “Mental”, per la regia di Michele Vannucci, sceneggiatura di Laura Grimaldi e Pietro Seghetti, produzione Stand By Me di Simona Ercolani, 8 episodi, realizzati nel 2022. Si è trattato della prima serie italiana ad affrontare il tema del disagio psichico tra gli adolescenti, un “remake” eccellente basato sul format originale finlandese “Sekasin” (coprodotto dal “psb” Yle, diventato un vero e proprio fenomeno crossmediale). Non è stata avviata una seconda stagione di “Mental”, per l’eccesso di prudenza (e conformismo) della Rai. Si veda, in argomento, l’intervento IsICult su “Key4biz” del 21 gennaio 2021, “Perché la riforma della Rai è finita nel dimenticatoio?”: scrivevamo allora: “la deriva della Rai e la marginalizzazione delle iniziative eccellenti: da Rai per il Sociale alla serie tv “Mental” sui disturbi psichici su RaiPlay”…
Torneremo presto su queste tematiche, perché è in questa produzione audiovisiva altra che va ricercata e sviluppata l’identità del servizio pubblico, piuttosto che in una indifferenziata corsa all’audience…
Come è noto, il Ministro Adolfo Urso, titolare dell’ex Mise ora “Ministero delle Imprese e del Made in Italy” (da cui l’acronimo novello “Mimit”) ha ereditato dal suo predecessore Giancarlo Giorgetti (attuale titolare del Ministero dell’Economia e Finanze) il delicato compito di mettere a punto il nuovo “contratto di servizio” 2023-2027 tra Ministero dello Sviluppo Economico e la Rai (cambia da Mise a Mimit, ma la Direzione Generale per i Servizi di Comunicazione Elettronica, di Radiodiffusione e Postali – guidata da Francesco Soro – sempre a via Veneto resta allocata): di questo delicato documento, da mesi, non si ha notizia alcuna, da quando lo stesso Giorgetti, il 17 maggio 2022 si dichiarò soddisfatto (anzi “orgoglioso”) per le “linee-guida” approvate dal Consiglio dei Ministri (vedi anche il nostro intervento su “Key4biz” del 22 ottobre scorso, “La Rai alla deriva ma si parla soltanto del ritorno di Fiorello a Viale Mazzini” e prima ancora del 19 maggio 2022, “Contratto di servizio Rai-Mise, l’atto di indirizzo del Governo (Esclusiva IsICult/Key4biz”). Attendiamo di conoscere il nome del neo Presidente della Commissione bicamerale di Vigilanza sulla Rai: auguriamoci che sia un parlamentare pro-attivo… Dopo le presidenze delle commissioni permanenti dovrebbe aprirsi presto la partita delle bicamerali, che tira in ballo anche le opposizioni: già la prossima settimana – come riferiscono fonti parlamentari – potrebbe tenersi l’elezione del presidente del Copasir. Il nome in pole resta quello dell’ex Ministro della Difesa Lorenzo Guerini. Per quanto riguarda invece la Vigilanza Rai, si ipotizza l’ultima settimana di novembre, (insieme alle Giunte), ed il toto-nomine non evidenzia candidati emergenti.
Perché il neo Ministro Adolfo Urso non promuove anche lui una giornata nazionale di ascolto e confronto, liberto aperto plurale, prima di apporre la propria firma sul prossimo “contratto di servizio” Rai-Mint?!
E perché questa iniziativa non viene promossa in modalità congiunta dai titolari del Mic e del Mimit? Questa sì sarebbe un segnale di “cambio di rotta” da parte di Gennaro Sangiuliano e Adolfo Urso, rispetto ai precedenti esecutivi, per analizzare le tante criticità e le tante potenzialità e rimescolare le carte in gioco.
È “in gioco” l’identità culturale e mediale degli italiani.
Una identità alla quale un Governo dichiaratamente sovranista e identitario dovrebbe prestare coerentemente grande attenzione.