Oltre al rischio di perdere l’intero capitale investito, l’Equity Crowdfunding, presenta anche un altro limite rispetto ad altre forme di investimento: l’illiquidità.
Così come per i VC, per gli investitori in Equity Crowdfunding (con esclusione del Real Estate crowdfunding), il ritorno sull’investimento è determinato dalla exit, tipicamente IPO o vendita. A patto, appunto, di tenere il capitale immobilizzato per almeno 3-5 anni.
Crowd4Fund è una rubrica in collaborazione con Crowdfunding Buzz e a cura di Fabio Allegreni. Novità e approfondimenti sul Crowdfunding nelle sue diverse forme. Il focus principale è sull’Italia, senza dimenticare i trend internazionali più significativi. Clicca qui per leggere tutti i contributi.In realtà, c’è anche un’altra potenziale forma di ritorno e cioè la distribuzione di dividendi. Questa è poco interessante per i VC, ma potrebbe esserlo, invece, per chi ha investito in equity crowdfunding (ECF). Soprattutto se si tratta di investitori retail, il cui profilo include una minore propensione al rischio rispetto a Angels e VC. Per costoro, dunque, al di là del capital gain, la possibilità di ottenere cash potrebbe essere motivo di soddisfazione economica.
D’altra parte, il profilo delle società che si finanziano con ECF è tipicamente quello di Startup o comunque di imprese costituite da pochi anni che ricercano capitali per finanziare la crescita. In entrambi i casi, è improbabile che questi tipi di società siano in grado di distribuire dividendi nei 2-4 anni successivi al round di finanziamento.
Esiste tuttavia un numero molto elevato di PMI che non accedono al crowdfunding proprio perché non presentano caratteristiche di innovazione e di appetibilità in termini di exit tali da renderle suscettibili di ottenere capital gain multipli nell’arco di 3-5 anni. Molte di queste PMI sono però, spesso, società ben avviate, con fondamentali ottimi, ma che, tuttavia, non riescono (o non vogliono) accedere ai capitali con i metodi tradizionali per finanziare progetti di sviluppo quali un nuovo prodotto o l’espansione su un mercato più vasto. Il loro profilo economico, peraltro, consente loro di distribuire utili ai soci.
In sintesi, quindi, con riferimento all’ECF, abbiamo un tipo di investitore (il retail) che non ama rischiare più di tanto e un tipo di società (la PMI) che non è appetibile quanto a exit potenziale, ma che produce utili e che ha bisogno di capitali per consolidarsi ulteriormente.
La difficoltà di attrarre entrambi è un limite per il futuro sviluppo e la crescita dell’equity crowdfunding nel mondo.
Se, invece, esistesse un mercato secondario per negoziare i titoli delle società finanziata con ECF, il limite dell’illiquidità sarebbe almeno parzialmente risolto. L’investitore potrebbe vendere o acquistare titoli in un mercato trasparente senza attendere l’eventuale exit, la startup avrebbe un modo per valorizzare meglio il suo asset in vista magari di un nuovo round di finanziamento, una PMI consolidata sarebbe appetibile per l’ECF in quanto è presumibile che il corso dei suoi titoli sarebbe determinato in buona parte dalla sua capacità di produrre utili.
Il numero di società finanziato con ECF in ogni singolo paese (a parte forse UK e USA) è tuttavia ancora troppo limitato per giustificare la creazione di un mercato secondario nazionale. E probabilmente lo sarà ancora per diversi anni.
L’alternativa è aprire mercati secondari per società non quotate ancorché non necessariamente finanziate attraverso ECF. E’ il caso in USA di EquityZen, SecondMarket e Equidate e, in UK, di AssetMatch. Alcune di queste piattaforme fanno leva anche sul fatto di dare la possibilità ai dipendenti delle startup di esercitare le proprie stock option.
E’ certo che, se invece di essere locale, il mercato secondario fosse internazionale, per esempio UE, le opportunità di quotazione, di flottante e di scambi sarebbero certamente superiori. I vantaggi sarebbero estesi in questo caso non solo a imprese e investitori, ma anche ai sistemi-paese i quali avrebbero così l’opportunità di mettere in evidenza le proprie imprese “gioiello” presso un pubblico vasto e competente.
Chi potrebbe essere interessato a promuovere un’iniziativa del genere? Anzitutto le piattaforme di ECF stesse che, consorziandosi, ne beneficerebbero in termini sia di nuovi investitori che di deal flow.
I fondi e le Borse potrebbero essere altri stakeholder, i primi in quanto avrebbero alternative per l’exit rispetto all’IPO, le seconde perché potrebbero vedere una piattaforma di secondary market come una fase di pre-IPO.
Infine, nel caso UE, la comunità politica stessa ne trarrebbe vantaggio essendone promotrice, in quanto aumenterebbe la circolazione del capitale all’interno della comunità europea, spingendola verso l’economia reale.