Nel suo report “Sustaining momentum”, l’Università di Cambridge conferma che la finanza alternativa è un nuovo comparto imprenditoriale in costante crescita, che a livello mondiale ha movimentato 150 miliardi di dollari nel 2015, proiettati a 250 miliardi per il 2016.
In particolare, una delle forme più innovative di finanza alternativa, l’equity crowdfunding, sta decollando anche in Italia, soprattutto a partire da quest’anno in cui sono state finanziate 12 società per poco più di 3 milioni di Euro (si veda l’infografica di Crowdfunding Buzz).
Ma convincere il “crowd” a investire attraverso una piattaforma web in imprese che, spesso, sono nella loro fase iniziale di vita, richiede la pianificazione di una serie di attività la cui realizzazione può determinare il successo o l’insuccesso nel raggiugere l’obiettivo di raccolta.
E’ questo l’assunto su cui si fonda lo studio che noi di Crowd Advisors abbiamo realizzato, in collaborazione con EdiBeez (editore specializzato in strumenti di finanza alternativa) e con il patrocinio di A.I.E.C. (Associazione Italiana Equity Crowdfunding).
La nostra analisi parte dall’Italia, un mercato ancora piccolo ma in forte evoluzione. Mentre da un punto di vista statistico i risultati possono sembrare limitati, vista la dimensione del campione, un approccio analitico precoce ha il vantaggio di effettuare una mappatura del mercato sin dall’origine, la cui completezza ed attendibilità negli anni sarà di indiscutibile valore scientifico.
I dati del rapporto sono stati raccolti grazie alle risposte a un questionario inoltrato a tutte le società che avevano lanciato una campagna di equity crowdfunding sulle piattaforme italiane dal 2013 al luglio 2016, indipendentemente dal fatto che avessero avuto successo. Su 33 società contattate, 13 (il 39%) hanno risposto al questionario. Si tratta quindi di un campione piuttosto ristretto, che, pur non essendo possibile considerare scientificamente rilevante, può comunque fornire un importante termine di paragone, utile soprattutto a tutte le imprese che intendono finanziarsi con l’equity crowdfunding.
I risultati sono già piuttosto interessanti: i primi utilizzatori dell’equity crowdfunding italiano hanno in larga prevalenza proposto campagne “seed” per l’avvio di attività sostanzialmente da zero, quindi senza avere alle spalle una struttura organizzata e mezzi finanziari. La conseguenza registrata nella nostra analisi è che spesso le società offerenti si organizzano senza il supporto di advisor esterni, componendo la compagine sociale in modo da poter contare su risorse interne per le aree fondamentali. Invero, le start up tendono a coprire sin dall’inizio la funzione tecnica (CTO) e quella finanziaria (CFO) oltre alla direzione del progetto (CEO), mentre è meno frequente il coinvolgimento del legale e dell’esperto di marketing. Tuttavia, già dai primi dati, risulta evidente che le società che si attrezzano con consulenze specialistiche hanno maggiori possibilità di successo nella raccolta di capitale.
Per quanto riguarda i costi, una campagna di equity crowdfunding costa in Italia tra i 5 e i 10 mila euro, tenendo conto di tutte le spese, dalla redazione del business plan alle attività legali e societarie, dalla presentazione della campagna (video compreso) alla redazione di un piano di comunicazione, fino all’effettivo svolgimento dell’attività di comunicazione. Ma quello che colpisce è che non è importante quanto si spende per pubblicizzare una campagna di equity crowdfunding perché abbia successo in Italia, ma come si spende. Risulta infatti cruciale dotarsi di un piano di comunicazione adeguato e affidarsi a validi consulenti esterni, mentre non esiste una correlazione diretta tra la cifra spesa per la campagna e il suo effettivo successo.
L’importo complessivo di 5-10 mila euro (dichiarato dal 31% delle start up interpellate) corrisponde al 2,5-5% dei capitali incassati dalle start up tramite campagne di successo. Da notare tuttavia che un ulteriore 8% di strart up ha speso oltre 10 mila euro, mentre il 38% delle aziende interpellate ha speso meno di 3 mila euro e tra queste il 15% addirittura meno di mille. Si sta quindi parlando di cifre molto piccole, soprattutto se si considera la segmentazione della spesa sostenuta dalle società, che per le varie attività si colloca in media sui mille euro ciascuna, a parte la spesa per le consulenze legali e societarie.
Il tutto senza contare però che, quando le campagne hanno avuto successo, dall’importo raccolto va detratto in media il 6% della “success fee” pagata alle piattaforme a titolo di remunerazione del servizio.
Gli imprenditori italiani sono bravissimi a creare aziende con risorse così modeste, prodigandosi in rinunce personali e sforzi incredibili per arrivare a prototipazione, analisi di mercato, strutturazione del pro-getto.
Tuttavia, la nostra analisi conferma che la raccolta del capitale e la sollecitazione del risparmio non sono attività nelle quali ci si possa improvvisare. Quando si tratta di denaro, ogni investitore pretende una compiuta analisi e una specifica prospettazione del progetto; occorre sintonizzarsi con l’investitore nel modo giusto e raccontare in modo compiuto cosa si vuole fare e perché si ritiene di poter avere successo.
Tutte attività che vanno pianificate e per le quali, spesso, è necessario prevedere un budget di spesa.