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Crowd4Fund. I veri limiti del regolamento Consob sull’equity crowdfunding

Crowdfunding

Una recentissima ricerca sul crowdfunding in Europa, pubblicata settimana scorsa dall’Università di Cambridge, ha rilevato che il mercato complessivamente vale €3 miliardi.

Se escludiamo UK, che da sola fa il 75% del mercato, il resto d’Europa ha raccolto €620 milioni nel 2014, con un tasso medio di crescita del 115% negli ultimi tre anni. In questa fetta di mercato il credito al consumo peer-to-peer è il segmento maggiore, con €274.62m nel 2014; il reward based crowdfunding ha registrato €120,33m, seguito dal lending peer-to-business (€93,1 milioni) e dall’equity crowdfunding (€82,56m).

Crowd4Fund è una rubrica in collaborazione con Crowdfunding Buzz e a cura di Fabio Allegreni. Novità e approfondimenti sul Crowdfunding nelle sue diverse forme. Il focus principale è sull’Italia, senza dimenticare i trend internazionali più significativi. Clicca qui per leggere tutti i contributi.

Sempre secondo questa ricerca, l’Italia nel 2014 ha raccolto complessivamente €8,2 milioni e pesa dunque solo l’1,3% del mercato, sempre senza considerare UK. Di tale importo, solo €1,3 milioni sono stati raccolti attraverso l’equity crowdfunding.

Un risultato scoraggiante. Eppure ci siamo vantati di essere stati i primi al mondo ad avere un regolamento.

 

Il problema, secondo la maggior parte degli osservatori, sta proprio lì, nel regolamento Consob. Il quale, ha sì dato origine a ben 15 piattaforme autorizzate, ma, in quasi due anni, le società finanziate sono state solo quattro (e quelle che non hanno raggiunto l’obiettivo sono state 6).

Un problema culturale di scarsa conoscenza del mezzo? Non crediamo. Altrimenti non si spiegherebbe perché almeno due società italiane hanno raccolto con equity crowdfunding in UK raccogliendo una £800.000 e l’altra £250.000, laddove gli investitori sono stati in larga parte italiani.

Siamo convinti, invece, che il problema risieda nel fatto che nel regolamento Consob ci sono degli errori di fondo, il principale dei quali è la focalizzazione sul target sbagliato.

Il legislatore, ma soprattutto Consob, avevano in testa un profilo di investitore completamente utopico e non suffragato dalle esperienze degli altri paesi: la “signora Maria” o, più elegantemente, il “cassettista”. Profilo che in quanto considerato sprovveduto, va tutelato allo spasimo.

Questo ha dato origine ad una serie di regole che rendono complicatissimo il processo per chi vuole investire più di €500. Teniamo conto che l’esperienza UK – ma anche quella di altri paesi come Francia, Germania, Spagna, Svezia e Svizzera – dimostra che l’investimento medio è di circa €4.000. Non certo un importo da “signora Maria”! Un importo, invece, che, su una singola iniziativa, potrebbe essere investito da chi ha entrate o patrimonio di rilievo, e quindi, professionisti, dirigenti, imprenditori.

Consob, invece, impone che chi voglia investire più di €500 debba:

  1. compilare un questionario on line sulla piattaforma che dimostri di aver capito che si tratta di investimenti rischiosi e illiquidi
  2. compilare un modulo di profilazione (cosiddetto Mifid) che attesti la sua capacità/propensione ad investire in investimenti rischiosi e illiquidi
  3. stampare il modulo Mifid e firmarlo
  4. spedire o portare il modulo in una banca indicata dalla piattaforma (ovverossia a un intermediario finanziario che abbia accettato di fare da tramite per gestire gli ordini di acquisto delle quote)
  5. disporre un bonifico sul conto corrente indicato dal suddetto intermediario di finanziario

In tutti gli altri paesi europei, più o meno, l’investitore, per qualsiasi importo voglia investire, deve:

  1. compilare un questionario online sulla piattaforma che dimostri di aver capito che si tratta di investimenti rischiosi e illiquidi (ovvero dichiarare di essere un investitore accreditato, cioè sufficientemente ricco)
  2. versare l’importo – online – con carta di credito o con bonifico su un conto corrente indisponibile (escrow account) appoggiato presso primarie società che forniscono servizi di pagamento online (es. Gocardless, Stripe, Mangopay)

Allora, ci sembra evidente che il processo voluto da Consob:

Aggiungiamo infine, che, per le povere piattaforme, individuare un intermediario finanziario (banca o SIM) che accetti di “intermediare” queste transazioni è al limite dell’impossibile: nessuno, infatti, accetta di buon grado di sobbarcarsi un impegno che comporta un gran lavoro e un rischio, a fronte dei pochi spiccioli che ne guadagnerebbe in un mercato appena nato e quindi minuscolo.

Ci sono moltissimi altri punti che secondo noi andrebbero migliorati, ma abolire i limiti di investimento, e levare di mezzo gli intermediari finanziari sono i due punti che consentirebbero all’equity crowdfunding italiano quantomeno di competere con quelli degli altri paesi europei.

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