Con i suoi 50 luoghi riconosciuti di valore universale, definiti dall’Unesco “Patrimonio dell’Umanità”, l’Italia detiene il record nella lista del World Heritage, che conta 1.001 siti a livello mondiale. E questa è solo la punta di diamante. Sappiamo tutti che in realtà il nostro patrimonio culturale è enormemente più vasto e che, spessissimo, non è adeguatamente valorizzato anche per mancanza di fondi.
Il crowdfunding può essere una soluzione?
Crowd4Fund è una rubrica in collaborazione con Crowdfunding Buzz e a cura di Fabio Allegreni. Novità e approfondimenti sul Crowdfunding nelle sue diverse forme. Il focus principale è sull’Italia, senza dimenticare i trend internazionali più significativi. Clicca qui per leggere tutti i contributi.Siamo convinti che certamente sia una soluzione anche se non può essere “la” soluzione. In Italia, per ora, le forme di crowdfunding utilizzabili allo scopo non possono che essere quelle del donation o del reward crowdfunding. E dunque con una portata molto limitata, qualche migliaio di euro, ma ci sono alcune eccezioni rilevanti come il restauro del Portico di San Luca a Bologna che ha raccolto oltre 300 mila euro, il parco scientifico di Pozzuoli che ne ha raccolti 1,5 milioni per arrivare alla cappella dei Pazzi nella chiesa di Santa Croce a Firenze che ne ha raccolti più di 100.000.
Il crowdfunding per i beni culturali si può vedere come una forma alternativa di “sponsorizzazione”. La sponsorizzazione è la formula per cui una o poche aziende, donano dei fondi per un’iniziativa a fronte di visibilità del proprio marchio. Quindi, tipicamente, una sola donazione ma di grande entità.
Nel crowfunding (donation o reward), al contrario, le donazioni sono molte e di più piccola entità. Ma le due cose in realtà si possono anche fondere. In una campagna di reward crowdfunding per esempio per il restauro di un edificio storico, chi promuove l’iniziativa, potrebbe definire, in cambio di donazioni di importo più elevato (es. qualche migliaio di euro o decine di migliaia di euro), una scala di “reward” che preveda l’esposizione del proprio nome, marchio o brand. In tal modo, avremmo una sorta di sponsorizzazione diffusa, e, oltretutto, co-finanziata con importi più piccoli dal crowd. E’ più facile trovare 10 “sponsor” da 10 mila euro o uno da 100.000?
C’è inoltre un’ulteriore spinta. Il Ministro Dario Franceschini ha di recente introdotto l’art bonus, che prevede un credito d’imposta per le erogazioni liberali in denaro a sostegno della cultura e dello spettacolo. L’art bonus è decisamente un incentivo forte per i cittadini a sostenere il nostro patrimonio culturale e, anche, a sollecitare nuove iniziative. Poiché è applicabile a chiunque doni fondi a favore di iniziative culturali, si applica benissimo a chi lo fa attraverso il donation o il reward crowdfunding. Bisogna comunque tener presente che queste forme di crowdfunding hanno una fortissima componente emotiva e, dunque, le campagne, possono avere più o meno successo in funzione della capacità che hanno di sollecitare l’interesse coinvolgere le comunità di riferimento, per esempio gli abitanti di un territorio o i cultori e gli appassionati di determinati temi.
Ma si potrebbe fare di più.
Uno dei problemi del donation e del reward crowdfunding, è che per loro natura, hanno dei limiti in termini di entità degli importi che si possono raccogliere: migliaia o decine di migliaia. Con qualche eccezione naturalmente. Questo perché chi dona, conferisce tipicamente piccole somme, decine o centinaia di euro al massimo.
Le campagne di Equity Crowdfunding, invece, per loro natura, raccolgono centinaia di migliaia se non milioni di euro. Questo perché si tratta di investimenti, dai quali chi finanzia si attende un ritorno e, quindi, dei dividendi o la possibilità in futuro di rivendere le proprie azioni ad un prezzo più alto.
Per quanto riguarda i beni culturali, l’Equity Crowdfunding potrebbe essere una risorsa incredibile.
Immaginiamo che fosse consentito alla gente, al crowd, di diventare azionista di società private, pubbliche o miste che hanno bisogno di fondi per ristrutturare un immobile storico, per lanciare un teatro, o per valorizzare un albergo al fine di attrarre più turisti stranieri. Il privato, l’ente pubblico, o quello misto, potrebbe proporre una campagna di equity crowdfunding, con un business plan chiaro, per raccogliere i fondi necessari a pagare la ristrutturazione dell’immobile o l’esecuzione di un piano di marketing internazionale, dando in cambio azioni di una società che ha in carico un immobile e che, dunque, è una garanzia forte nei confronti dell’investitore. Una volta eseguito il piano grazie ai fondi raccolti, la società aumenta la propria redditività (l’edificio storico diventa un museo a pagamento, il teatro produce molti spettacoli, l’hotel ha molti più clienti internazionali), può distribuire dividendi crescenti agli azionisti e l’immobile acquista così anche più valore. Tutti ci guadagnerebbero e la distribuzione di questa redditività sarebbe altamente “democratica”, senza oltretutto la necessità di passare dalle banche.
Il Ministro Franceschini, dunque, potrebbe far propria questa opportunità e aiutare il Governo e il Ministero dello Sviluppo Economico ad allargare l’accesso all’equity crowdfunding a chi voglia finanziare un’impresa culturale o turistica, indipendentemente dal fatto che sia o meno “innovativa”.