L'appello

Crowd4Fund. ‘Equity crowdfunding? Diventi una risorsa per il made in Italy’. Appello di Fabio Allegreni

di Fabio Allegreni |

Bisogna consentire agli investitori dell’equity crowdfunding di accedere non solo a imprese e progetti tecnologici ma anche a quelli più tradizionali come il food, il design, la moda, il turismo, i beni culturali.

Crowd4Fund è una rubrica in collaborazione con Crowdfunding Buzz e a cura di Fabio Allegreni. Novità e approfondimenti sul Crowdfunding nelle sue diverse forme. Il focus principale è sull’Italia, senza dimenticare i trend internazionali più significativi. Clicca qui per leggere tutti i contributi.

Il settore agroalimentare è una delle locomotive che più trainano l’economia italiana” (16 giugno 2016 – Food Industry Monitor, l’osservatorio sulle aziende italiane del Food&Beverage realizzato dall’Università di Scienze Gastronomiche).

Il settore italiano dell’arredo-design detiene la leadership mondiale, con il 30% di un mercato che nel 2014 ha raggiunto (nell’alto di gamma) i 29 miliardi” (2 Aprile 2015 – Il Sole 24 Ore).

“Se il barometro dell’export italiano fosse tarato sull’andamento delle cosiddette “4A” (Alimentari-vini; Abbigliamento-moda; Arredo-casa; Automazione-meccanica-gomma-plastica), la lancetta sarebbe indiscutibilmente sul bello stabile” (15 Luglio 2015 Andrea Biondi – Il Sole 24 Ore).

Come trasformare l’invidia del resto del mondo per la cultura e il made in Italy in un motore per sviluppare il nostro turismo? Si deve dare la possibilità ai privati di costruire una rete di operatori che condividono il progetto e abbiano voglia di investire e rischiare” (Andrea Illy al convegno Milano Destinazione 2015 organizzato dal Centro Studi Tci e dalla Camera di Commercio di Milano).

Abbiamo tutti sempre sentito parlare di cose come queste e, ne siamo tutti arci-convinti, visceralmente o con cognizione di causa. Alla base, c’è la cultura italiana (italian heritage) che ci spinge ad eccellere in certi settori a livello mondiale e, quindi, non tanto l’innovazione tecnologica quanto il “saper fare” (che gli anglo-sassoni chiamano know-how).

Peccato che gli imprenditori che hanno progetti in questi settori, debbano continuare a tentare di finanziarsi con la finanza tradizionale, banche e bandi pubblici. Essi sono invece esclusi dalla finanza alternativa, in particolare dall’equity crowdfunding.

Perché?

 

Perché il nostro ordinamento ha voluto che l’equity crowdfunding, cioè la possibilità aperta a tutti di investire in società non quotate, sia riservato solo alle imprese che in qualche modo fanno innovazione tecnologica.

Fino ad ora l’equity crowdfunding è stata una forma di finanziamento/investimento conosciuta da pochi, quasi esoterica. In realtà l’inizio del 2016 segna un progresso notevole. Nei primi 5 mesi del 2016, infatti, sono state finanziate 8 società rispetto alle 7 di tutto il 2015 e alle 4 del 2014. Il tutto per un totale di poco più di 5,5 milioni di euro raccolti dalle piattaforme da inizio 2014, di cui 2,49 milioni soltanto quest’anno, che corrispondono a un +40% rispetto ai 1,76 di tutto il 2015.

Ancora molto poco, certo, ma la crescita comincia ad essere impetuosa e viaggia di pari passo con la diffusione della conoscenza dello strumento.

Uno dei limiti è proprio che chi investe è costretto a farlo in modelli di business che spesso non conosce, relativi il più delle volte a soluzioni software o legate a internet (più raramente alla cosiddetta green economy).

Ma perché, invece, non consentire agli investitori di accedere a progetti o imprese che hanno alte potenzialità e che operano nei settori più tradizionali, il food, il design, la moda, il turismo, la valorizzazione dei beni culturali?

Permettere a imprese che operano a vario titolo in questi settori, consentirebbe:

  • da un lato di valorizzarli ulteriormente premiando l’imprenditorialità e l’esperienza
  • dall’altro, di proporre a chi investe di valutare modelli di business molto chiari ed evidenti e, probabilmente, a minor rischio. E si tratta di settori in cui siamo riconosciuti nel mondo, quindi verrebbero attratti investitori… da tutto il mondo.

Chi si ne deve far carico?

In ultima analisi, chi ha la competenza e la sensibilità per proporre modifiche alla legge primaria è il Ministero dello Sviluppo Economico, ma, direi, per alcuni aspetti, anche quello dei Beni Culturali.

Tuttavia, crediamo che tutte le organizzazioni e le associazioni che rappresentano le imprese italiane, da Confindustria a Assolombarda, dalle Camere di Commercio a Confesercenti, abbiano interesse a spingere perché ciò accada.  A fare in modo cioè che parte di quei 50 miliardi di euro, che i risparmiatori italiani potrebbero dedicare ad investimenti a rischio (5% del patrimonio finanziario disponibile), venga incanalato verso il made in italy, grazie all’equity crowdfunding.

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