Il 29 giugno, il Politecnico di Milano ha presentato il primo Report Italiano sul Crowd-Investing realizzato dall’Osservatorio sul Crowd-Investing, coordinato dal Prof. Giancarlo Giudici, associate professor del Politecnico di Milano.
Si tratta di uno studio molto importante per l’Italia, in quanto, per la prima volta viene fornito un quadro accurato e molto approfondito degli strumenti di finanza alternativa nel nostro Paese. Ne consigliamo caldamente la lettura in quanto si tratta di uno studio estremamente accurato e rigoroso, ma, nel contempo, scritto in maniera chiara e divulgativa.
Abbiamo chiesto al Prof. Giudici di illustrarci le principali evidenze dello studio e le indicazioni che se ne possono trarre a beneficio sia di chi investe che di chi cerca capitali.
Fabio Allegreni. Che cosa si intende per “Crowd Investing” e perché concentrarvi il focus della vostra ricerca?
Giancarlo Giudici. Il crowdfunding è la raccolta di denaro attraverso Internet finalizzata alla realizzazione di progetti no-profit o for-profit, ed è un tema che raccoglie grande attenzione e curiosità. Abbiamo deciso, tuttavia, di non occuparci di tutto il mondo del crowdfunding, che riguarda anche progetti non di natura imprenditoriale, ma di focalizzarci, invece, sul cosiddetto crowdinvesting, ovvero sull’opportunità di raccolta di capitale che ha come controparte una remunerazione del capitale stesso, a titolo di investimento. Il nostro Report, quindi, ha l’obiettivo di descrivere un’industria che cresce e che a livello mondiale sta catalizzando ingenti risorse, facendo della ‘finanza alternativa’, per la sua componente costituita dagli Internet marketplace, un elemento ormai non più trascurabile.
Abbiamo così voluto scattare una prima ‘fotografia’ sul settore, che consenta sia di valutare i primi risultati ottenuti in Italia nella fase di avviamento di questa nuova industria, sia di individuarne limiti e potenzialità, in ottica comparativa rispetto agli altri Paesi.
Fabio Allegreni. Entriamo un po’ più nel dettaglio. Quali sono i tipi di “internet marketplace”, cioè di piattaforme, che sono stati presi in considerazione?
Giancarlo Giudici. Anzitutto l’equity crowdfunding che consiste nella raccolta di capitale attraverso la sottoscrizione diretta sul web di titoli partecipativi del capitale di una società. Si tratta di un’industria che nel 2015 a livello mondiale ha determinato la raccolta di $ 2,56 miliardi frequentemente destinati a imprese in fase di startup. In Italia sono stati raccolti ad oggi circa €5,6 milioni che hanno contribuito a finanziare 19 imprese.
Fabio Allegreni. E poi?
Giancarlo Giudici. In secondo luogo il lending crowdfunding, in cui gli investitori possono prestare denaro attraverso Internet a persone fisiche (consumer) o imprese (business) a fronte di un interesse e del rimborso del capitale. Generalmente la piattaforma di lending seleziona il prestito attribuendo un rating e lo suddivide fra una molteplicità di investitori, per frazionarne il rischio. A livello mondiale nel 2015 i portali di lending hanno raccolto oltre $ 25 miliardi. In Italia le risorse finora raccolte attraverso i portali (4, di cui 3 consumer e 1 business) ammontano a €28,3 milioni, di cui €1,9 milioni erogati a imprese.
Fabio Allegreni. E ancora?
Giancarlo Giudici. Infine l’invoice trading che consiste nella cessione di una fattura commerciale attraverso un portale Internet che seleziona le opportunità, e sostituisce il tradizionale ‘sconto’ della fattura attuato dalle banche per supportare il capitale circolante. La cessione viene attuata o tramite un’asta competitiva o tramite il tranching in tante porzioni, ridistribuite fra diversi investitori. Gli investitori quindi anticipano l’importo della fattura, al netto della remunerazione richiesta. In Italia al momento esiste un unico operatore, Workinvoice.it, che ha erogato €11 milioni, ma sono annunciati nuovi player.
Fabio Allegreni. Al di là dei numeri, che lasciamo alla lettura del report, quali sono le principali conclusioni che si possono trarre?
Giancarlo Giudici. Per quanto riguarda l’equity crowdfunding, i numeri rispetto al resto d’Europa sono ancora piuttosto impietosi. Ciò è dovuto in parte alla ancora relativamente scarsa conoscenza del mezzo, e, molto, a diffidenze e difficoltà relative al regolamento Consob, che peraltro sono state sbloccate dall’ultima revisione, ma i cui effetti vedremo probabilmente nella seconda parte dell’anno.
Fabio Allegreni. C’è dell’altro?
Giancarlo Giudici. Sì, a nostro avviso, emergono anche altre possibili ragioni. Esiste un primo tema legato alla valutazione delle quote offerte in sottoscrizione. Siamo convinti che una valutazione più prudenziale delle emittenti potrebbe convincere nuovi investitori a partecipare.
Un secondo tema riguarda la possibile estensione dell’equity crowdfunding ad altre categorie di imprese che non si qualificano come startup o PMI innovative. A nostro avviso, il mercato è ormai pronto per fare un salto di qualità. Del resto non si capisce perché, a regime, debba essere negato a PMI meno rischiose delle startup innovative di accedere a questo canale di finanziamento.
Infine, esiste anche grande spazio per i business angels, che potranno organizzare dei veri e propri ‘syndicates’ come già accade in altri paesi europei, coinvolgendo nuovi piccoli soci meno esperti nell’equity crowdfunding facendosi portavoce delle loro istanze e dell’attività di monitoring.
Fabio Allegreni. Questo per quanto attiene all’equity. E per il lending?
Giancarlo Giudici. Come testimoniano i dati raccolti dall’Osservatorio sono ancora pochi gli italiani che hanno investito attraverso il lending crowdfunding. In questo non aiuta il meccanismo di tassazione dei proventi, al momento penalizzante: gli interessi riscossi attraverso il lending crowdfunding devono essere infatti riportati nella dichiarazione dei redditi e vengono tassati con l’aliquota marginale del prestatore. E’ dunque auspicabile una rapida correzione che, quantomeno, omologhi questi proventi a tutti gli altri investimenti di natura finanziaria, oggi tassati con un’aliquota alla fonte pari al 26%.
Inoltre, decisivo sarà il contributo degli investitori professionali, il cui intervento potrebbe offrire un cambio di passo in termini di disponibilità finanziaria. Tutte le piattaforme si stanno attrezzando in questa direzione, attraverso accordi con SGR e investitori istituzionali, anche finalizzati a costituire dei fondi chiusi dedicati.
Fabio Allegreni. E per chiudere l’invoice trading.
Giancarlo Giudici. Per quanto riguarda l’invoice trading ci sono interessanti prospettive per il futuro in Italia. Come nel caso del lending crowdfunding, si tratta di un mercato che le banche non riescono a presidiare interamente. Ad oggi, il vincolo maggiore sembra essere quello della disponibilità di investitori, sia retail sia istituzionali. I dati ci dicono che l’importo medio di investimento è notevolmente più elevato rispetto a quello delle altre tipologie di crowdinvesting. Una possibile soluzione potrebbe essere la parcellizzazione delle fatture, che potrebbero diventare il sottostante per operazioni di cartolarizzazione, il che consentirebbe di distribuire il rischio e di permettere l’accesso ad investitori con disponibilità limitate.