La recente approvazione dell’Investment Compact, con l’istituzione delle PMI Innovative, ha aperto un nuovo orizzonte alle PMI italiane. I vantaggi sono infatti molto interessanti e ne riassumiamo brevemente i principali:
- Le PMI innovative, anche le Srl, possono negoziare quote come fossero azioni ed “emetterne” anche con diritti differenziati, per esempio senza diritto di voto (come per le azioni risparmio delle Spa)
- Possono raccogliere fondi attraverso piattaforme di equity crowdfunding
- Chi investe in una PMI innovativa ha un vantaggio fiscale pari al 19% sull’importo investito, se è una persona fisica, e del 20% se è una società
- Possibilità di remunerare il lavoro di dipendenti e collaboratori esterni con quote della società. Tale remunerazione non è imponibile ai fini Irpef e Inps
- Accesso semplificato, gratuito e diretto al Fondo Centrale di garanzia
I primi 3 punti hanno dunque un’attinenza diretta con la possibilità di accedere all’equity crowdfunding in Italia.
Ma quando e perché per le PMI è utile l’equity crowdfunding? Solo in Italia o anche all’estero? E’ utile solo l’equity crowdfunding o anche altre forme?
Equity Crowdfunding
Anzitutto, raccogliere fondi con questa modalità equivale a trovare un socio finanziatore cui conferire quote del proprio capitale. Solo che qui sono molti, anche diverse decine, invece di uno o due.
In secondo luogo, il fabbisogno che si vuole finanziare in questo modo, deve essere relativo ad un progetto di cospicua espansione dell’impresa, non di sopravvivenza. Chi investe vuole che il valore delle proprie quote cresca radicalmente in pochi anni e/o vuole ricevere dividendi consistenti.
In terzo luogo, l’imprenditore deve dimostrare prima a se stesso e poi agli investitori che i fondi di cui ha bisogno non sono né più né meno di quelli che effettivamente gli servono per far fare un grosso salto in avanti alla propria impresa.
Bisogna a questo punto essere pronti a dare un valore corretto alla propria impresa (fondi richiesti rispetto alle quote societarie conferite). Troppo elevato, i potenziali investitori scappano. Troppo basso, l’imprenditore rinuncia a troppi profitti.
Quando in Italia?
Per quanto abbiamo detto sopra, il progetto da finanziare deve essere fortemente espansivo. Può essere la progettazione o l’industrializzazione di un nuovo prodotto o servizio, oppure l’evoluzione tecnologica di uno esistente. Oppure ancora l’espansione in nuovi mercati nazionali o internazionali. Si può anche trattare di innovazioni di processo che consentono radicali miglioramenti di efficienza.
L’Equity Crowdfunding in Italia è ancora ai primi vagiti, non è ancora una forma di investimento così conosciuta. Ma ci sono comunque già diversi casi di successo che hanno riguardato campagne da 80 a 500 mila Euro. Dunque è questo il range di valore dell’iniziativa cui attenersi.
Stanno peraltro per affacciarsi sul mercato nuove piattaforme che certamente contribuiranno ad accelerare la consapevolezza degli investitori e ad aumentare così le probabilità di successo di una campagna.
Dunque vale la pena lanciare una campagna in Italia? Assolutamente sì, ma a patto di avere un buon network di potenziali “micro-investitori” (anche i clienti possono esserlo!) e se il proprio mercato è principalmente o esclusivamente l’Italia.
Quando all’estero?
Negli altri paesi europei (soprattutto UK, Germania e Francia, ma anche Spagna e paesi scandinavi), per non parlare degli USA, l’equity crowdfunding è una realtà molto più consolidata, sebbene da pochi anni (per chi vuole ecco come è andato in 2014 in Europa)
Fatto salvo quanto abbiamo detto prima a proposito delle caratteristiche del’iniziativa, che, a maggior ragione giocando “fuori casa”, devono essere ancora più chiare e accentuate, una campagna su una piattaforma estera può essere una grande opportunità.
Può valerne la pena, per esempio, come strumento per sostenere lo “sbarco” della propria impresa in quel paese. Oppure se, essendovi già in parte presenti, ci si voglia consolidare con il lancio di un prodotto o di un servizio. Non stiamo parlando solo di industria o di terziario. Stiamo parlando anche di retail, che sia franchising, reti dirette, o anche flagship store.
In questo caso il crowdfunding ha certamente una valenza finanziaria, ma ne ha anche una prepotentemente di marketing.
Mi si lasci aggiungere anche un’ultima prospettiva. Soprattutto in UK, ci sono ormai diversi casi di raccolte attorno o superiori al milione di euro. Il successo di una campagna di queste dimensioni può anche essere visto come un’affermazione al cospetto della comunità finanziaria del paese e, dunque, un preludio a round più consistenti o, addirittura ad una quotazione.
E il reward crowdfunding?
Il reward crowdfunding implica una donazione a fronte di un premio (reward appunto) e non un investimento a fronte di azioni. La dimensione delle campagna è dunque necessariamente più bassa rispetto all’equity, diciamo nell’ordine di qualche decina di migliaia di euro al massimo (ci sono stati anche casi da centinaia di migliaia o milioni di dollari, ma sono eccezioni, non regola).
Ma e allora che ci azzecca con le PMI? In questo caso il crowdfunding può essere utilizzato come puro strumento commerciale e di marketing.
In tal modo viene infatti utilizzato ormai da molte piccole e grandi aziende per testare o lanciare nuovi prodotti. Il “reward” consiste proprio nel prodotto stesso. Di fatto, si tratta di dire: “Ecco il nostro nuovo prodotto. Se raggiungiamo l’obiettivo di raccolta lo produciamo, se no niente”.
Ciascuno donerà quindi una cifra prestabilita a fronte della possibilità di ricevere il prodotto se verrà realizzato. Se non si raggiunge l’obiettivo i soldi vengono restituiti.
Si tratta quindi di un mezzo che può essere molto potente per organizzare una sorta di pre-vendita del proprio prodotto, testarne l’appetibilità sul mercato, farlo conoscere ai consumatori di un nuovo paese. Il tutto a costo quasi zero.
Il limiti principali sono:
- il valore unitario, che non può essere di molto superiore ai 2-300 euro
- l’oggetto dell’iniziativa che difficilmente può essere intangibile, ma deve essere un vero e proprio prodotto che possa essere spedito e toccato con mano (può però essere un software ancorchè sia di uso personale per esempio un gioco o un’app)