Recentemente, sono stati rilasciati due rapporti, uno europeo e uno mondiale, che hanno fotografato il grande balzo in avanti del crowdfunding nelle economie di tutto il mondo. L’Italia, purtroppo, rispetto ai paesi di dimensioni simili, è ancora molto indietro.
I due rapporti sono lo European Alternative Finance Benchmarking Report, della University of Cambridge con Ernst&Young, focalizzata sul crowdfunding in Europa, e lo studio annuale 2015CF – Crowdfunding Industry Report di Massolution, società di ricerca specializzata nei settori del crowdsourcing e del crowdfunding, riferito a tutti e cinque i continenti.
Crowd4Fund è una rubrica in collaborazione con Crowdfunding Buzz e a cura di Fabio Allegreni. Novità e approfondimenti sul Crowdfunding nelle sue diverse forme. Il focus principale è sull’Italia, senza dimenticare i trend internazionali più significativi. Clicca qui per leggere tutti i contributi.L’incrocio tra i due report, assolutamente compatibili, offre un quadro di grande e vorticoso sviluppo, dal quale estrapoliamo alcuni punti principali:
- L’esigenza per le società di individuare forme di finanziamento alternative alle banche è un fenomeno mondiale: la raccolta mondiale è quasi triplicata rispetto al 2013, passando da $6,1 miliardi a $16,2
- Gli USA ($9,5 miliardi) sono il traino mondiale, sia per quanto riguarda l’introduzione di nuovi modelli di crowdfunding, che per la dimensione raggiunta e il conseguente impatto sull’economia reale
- I notevoli risultati raggiunti dall’Europa ($3,3 miliardi) sono in gran parte dovuti a UK, la cui raccolta costituisce circa il 75% di quella dell’intero continente. Ma iniziano a spiccare il volo anche Francia ($173 milioni) e Germania ($153 milioni)
- Il vero boom però è quello dell’Asia, che con una crescita di più di 4 volte rispetto al 2013, ha di poco superato l’Europa raccogliendo $3,4 miliardi
- Si prevede che nel 2015 la raccolta mondiale raddoppierà raggiungendo quasi $35 miliardi
A livello di modelli di crowdfunding, è il Lending Crowdfunding che domina il settore: nel 2014, ha raccolto $11,08 miliardi, pari quindi a circa il 70% della raccolta totale. Infatti, il boom asiatico è quasi interamente dovuto a questa modalità, in USA il colosso Lending Club è stato quotato al Nyse con una valutazione di $9 miliardi e in UK la somma di lending crowdfunding per il business e per i privati pesa il 75% dell’intera raccolta, cioè circa $2 miliardi.
Il restante 25% è più o meno equamente ripartito tra gli altri modelli, sebbene ciascuno con dinamiche assai diverse:
- L’Equity Crowdfunding ($1,1 miliardi) è quello cresciuto maggiormente, quasi tre volte rispetto al 2013, ed è fondamentalmente appannaggio di USA ($787 milioni) ed Europa ($177 milioni). In Europa, il grosso è stato raccolto in UK, ben $125 milioni nel 2014, e il resto soprattutto in Germania e in Francia.
- Il Reward Crowdfunding, che è la forma più tradizionale e quella di cui più si parla sui media ha raccolto $1,3 miliardi (+84%), ma praticamente tutti negli USA (il 92%!), dove risiedono le maggiori piattaforme come Kickstarter, Indiegogo e GoFundMe.
- Infine, il Donation Crowdfunding ha raccolto quasi $2 miliardi, ma è cresciuto relativamente poco rispetto alle altre forme: “solo” il 45%. Qui USA ed Europa si spartiscono quasi equamente il mercato, i primi con una raccolta di $959 milioni e la seconda di $707 milioni.
E l’Italia?
Nel complesso nel 2014 sono stati raccolti quasi $9 milioni tra tutte le diverse modalità e quindi una frazione irrisoria anche se consideriamo solo l’Europa: pesiamo lo 0,3%. Perfino se escludiamo UK, il peso del crowdfunding in Italia è irrisorio: 1,3%.
Perché questo ritardo?
Ci sono alcune ragioni oggettive. In particolare:
- il Lending Crowdfunding (o Social Lending o Lending Peer to Peer), che, abbiamo visto, nel resto del mondo è il modello vincente, per i prestiti tra privati (peer to consumer) è “sopportato” dalle istituzioni che ne limitano fortemente la possibilità di comunicazione e quindi di impatto (esistono solo due piattaforme, che peraltro stanno lavorando bene, ma sono sconosciute ai più). Per i prestiti alle aziende (peer to business) è invece praticamente impossibile lanciare il servizio, per i lacci e i lacciuoli posti dalle attuali norme.
- L’Equity Crowdfunding è stato sì regolamentato, ma i limiti che pongono tali norme, come abbiamo già rimarcato in questa rubrica, rendono assai complicata la vita all’investitore. E ne hanno così limitato fino ad oggi l’affermazione come strumento alternativo di investimento.
Ci sono poi ragioni di tipo culturale, per esempio, la scarsa propensione degli italiani ad utilizzare la carta di credito, soprattutto online, o la ancora scarsissima conoscenza dello “strumento crowdfunding”, oppure, ancora, nella ritrosia ad investire nell’economia reale di chi pure se lo potrebbe permettere, come ha ben descritto Marco Bicocchi Pichi in una recente intervista pubblicata su Crowd4Fund.
Peraltro, le ragioni del ritardo, sono, a nostro parere, temporanee e risolvibili con la collaborazione tra istituzioni e addetti ai lavori. Cosa che tra l’altro, un primo risultato l’ha già dato se consideriamo l’allargamento alle PMI della possibilità di accedere all’equity crowdfunding, sancita dal recente decreto “Investment Compact”.
E’ dunque solo una questione di tempo.