Covid 19 – Viaggio a San Paolo, 23 febbraio 2022
Sto per atterrare in una città che vanta una serie di primati. Con i suoi quasi 15 milioni di abitanti, San Paolo (São Paulo per i brasiliani) è la città più popolosa del Brasile, dell’emisfero australe e di quello occidentale, nonché la più popolosa città lusofona e l’undicesima più popolosa al mondo. Cosa significa lusofona? Sapevo che me lo avreste chiesto. Sarebbe una entità che nelle sue espressioni culturali utilizza il portoghese (o lusitano). A volte mi stupisco che in molti non sappiano che in Brasile si parla il portoghese, e non lo spagnolo, come nel resto dell’America del Centro, del Sud e anche del Messico. Ma faccio male. Perché l’ignoranza è molto diffusa in questa nostra epoca di analfabetismo di ritorno o “funzionale”, cioè sarebbe quella per cui ci sono persone che sanno leggere ma non comprendono quello che è scritto. Perché vi dico tutto questo? La saprete più avanti. Intanto il vecchio Boeing 757-200 della Compagnia colombiana Avianca sta per toccare terra all’aeroporto di Guarulhos International, noto anche con il nome di Cumbica per i paulistanos. Dopo quasi 11 ore di volo da Punta Cana, est della Repubblica Dominicana, con scalo a Bogotá di un’ora e mezzo. Sono quasi le 6 della mattina. Mi lascio trasportare dalle indicazioni del personale dell’aerostazione, per raggiungere il controllo documenti. C’è una fila lunghissima. Siamo in tempo di carnevale e il richiamo è troppo forte per i brasiliani all’estero e per quei turisti che hanno deciso di correre dei rischi. Un viaggio difficile questo, nel Brasile del caos ma con molte attività aperte e anche alcuni collegamenti esteri. Ci vogliono tre ore per espletare le formalità.
Quest’aeroporto è il più grande dell’America Latina ed è solo uno dei tre della città. Tutti insieme accolgono 45 milioni di passeggeri l’anno. Tra 10 anni se ne prevedono 100 milioni, compreso quelli che viaggeranno per l’Aeroporto di Campinas Viracopos. A Congonhas invece si gestiscono solo i voli nazionali e regionali, poi c’è Campo de Marte per i voli privati. Tanto per darvi una idea di cosa sia questa città. San Paolo Metropolitana è composta da 39 comuni e qui vivono ormai 30 milioni di abitanti, il 67% di tutto lo Stato di San Paolo che ne conta quasi 46 milioni e rappresenta un terzo del Pil dell’intero paese. In poche parole, dopo le megalopoli asiatiche di Cina e Giappone, questa è ancora la quinta area metropolitana al mondo! L’autista del taxi mi ragguaglia subito sui fondamentali: paulista significa che sei dello stato di San Paolo, mentre l’abitante della città è un paulistano. Questa è la città del futebol, Palmeiras, Corinthians, San Paolo (la più titolata) e Santos, dove giocava Pelé, “O Rey”. Il motto popolare sarebbe “No ducor, duco”, in latino significa “Non mi faccio condurre, conduco”, che nel caso di un tassista ha un significato indiscutibile.
In 25’ siamo in città, anche grazie allo scarso traffico. Scendo all’Hotel Fasano, in Rua Vittorio Fasano 88, uno dei migliori. Nel quartiere, a soli 250 metri dalla lussuosa Rua Oscar Freire. Ha l’aspetto di un palazzo anni Trenta – Quaranta. Così volle il proprietario Rogério Fasano, affidandone la realizzazione agli architetti Isay Weinfeld e Marcio Kogan. Ne fecero un palazzo opulento, forse un poco oscuro, con quei mattoni lucidi esterni, ma certamente lussuoso, con caminetti e pavimenti in travertino, poltrone in pelle scura, tappeti originali, molti sofà, angoli per riunioni, luci soffuse. È noto per i suoi due ristoranti italiani, “Nonno Ruggero” è stato considerato a lungo il migliore del paese. Mi dicono che nel “Baretto” si sono esibiti artisti jazz e bossa nova come Caetano Veloso e Bebel Gilberto. I clienti sono generalmente imprenditori internazionali. Adesso è quasi vuoto. Sono venuto qui perché si trova in centro. A poco più di un km dall’Avenida Paulista, il cuore della città, e a due dal Parque do Ibirapuera. Chiudo la porta della camera e dopo una doccia riabilitativa, dormo qualche ora. Ho la sveglia alle 10.30 del mattino.
Dalla lettura di Wikipedia e della guida turistica “Lonely Planet” posso scoprire che San Paolo è la città più multiculturale del Brasile e del Mondo. I bianchi sono il 70%, i meticci e mulatti il 24%. Il restante 6% va diviso tra afro americani, asiatici e indios. Il commercio degli schiavi iniziò nel 1500, fino all’indipendenza del 1822. In Brasile si trovavano soprattutto colonizzatori portoghesi, ma non più di 6-700.000. L’immigrazione europea iniziò dal 1870. Circa 2,3 milioni di persone arrivarono da ogni angolo del pianeta sotto la spinta dell’espansione economica, dovuta alle piantagioni di caffè nello Stato di San Paolo. Si sostiene che qui viva la più grande comunità di Italiani fuori dall’Italia. Tra la fine del XIX secolo e prima della prima guerra mondiale erano il 44,7% degli immigrati. Gli spagnoli il 19,2% e i portoghesi il 15,4%. Oggi, la sola metropoli di San Paolo conta oltre 6 milioni di italiani o discendenti, tra i suoi residenti, molto più di qualsiasi altra metropoli italiana. La lingua di Dante Alighieri è ancora la più parlata in molte zone della città, non tanto come lingua, quanto come dialetti: piemontese, lombardo, veneto, campano, calabrese. Qui si concentra il maggior consumo mondiale di pizza! Il carattere italiano di San Paolo è sempre stato evidente nella sua gastronomia, dalle insegne dei ristoranti, dai piatti elencati nei menù, dagli annunci e gli avvisi negli uffici postali in italiano e portoghese, dagli stili delle case.
Sono circa le 12 quando scendo per l’appuntamento con Sophia Sampaio Abrahão. Sophia è una conduttrice televisiva molto famosa. L’ho conosciuta anni fa a Roma durante una sua visita in Rai. È di San Paolo, ha 29 anni ed è anche cantante e attrice. S’è fatta un nome con le telenovela e con il suo primo album nel 2014, vendendo 15.000 copie. Con il CD Náufrago, un brano pop molto romantico, ha scalato la vetta delle classifiche di Itunes Brasile. È stato anche uno dei più linkati dai suoi fans, che lei chiama affettuosamente tirulipos (un sinonimo inventato di “tiruliro”, ovvero un senso di affetto per qualcuno di speciale). Volevo una persona che sapesse farmi il quadro della situazione del paese ma non da “esperto”, qualcuno che sapesse intercettare l’umore della gente. Ci incontriamo al ristorante “Nonno Ruggero” per un buffet de almoço (pranzo). Nessuno dei due indossa guanti e mascherina. I guanti abbiamo capito che sono più pericolosi che utili, meglio lavarsi spesso le mani. La mascherina ci vorrebbe ma se dobbiamo mangiare forse è sufficiente osservare la distanza. Dopo i convenevoli e qualche reminiscenza del passato, comincia a raccontare. Il paese è stressato e impaurito. La gente non sa bene cosa fare e nel dubbio molti si sono chiusi in casa ma il tempo passa e la situazione non migliora. La necessità di lavorare li ha costretti a riprendere l’attività, correndo il rischio. E pensare che si veniva da un decennio in cui la qualità della vita era aumentata. Si pensava di essere sulla strada giusta per diminuire la povertà. C’era attenzione da parte di molti ai problemi sociali e all’impegno civile ma il livello d’istruzione non progrediva. Il Brasile ha sempre sofferto problemi di sicurezza e di reddito pro capite basso. Anche chi stava bene, si rendeva conto che la miseria cronica di molta parte della popolazione e la non buona qualità ambientale, erano contraddizioni irrisolte per un grande paese, con un immenso potenziale umano e di risorse.
Nel ristorante ci sono dei signori anziani che vengono a salutare il personaggio televisivo. Sophia gentilmente li ascolta e concede l’autografo. Sono alcuni pensionati con i figli e i nipoti. Mi chiedono chi fossi, questo genere di approccio è normale in Latino America. Uno di loro si presenta come Sebastian Freuler, ha 62 anni ed è un professore in microbiologia veterinaria. Vive nel nord est dello Stato di Rio e si trova a San Paolo occasionalmente, per far visita ai parenti. Sebastian è originario di Zurigo, i suoi figli sono tornati a vivere là per motivi di sicurezza. Lui stesso pensa di andarsene. “La situazione in Brasile sta peggiorando di mese in mese. Lo Stato decise di chiudere i commerci, le scuole, i teatri e i cinema già dal marzo del 2020 ma poi hanno riaperto. Vennero costruiti ospedali da campo ma il problema era che mancava il materiale sanitario è tutt’ora manca, il personale qualificato pure. I primi a morire furono gli anziani e poi i medici e gli infermieri. Da allora è andato sempre peggio. Un caos totale. Ospedali sovraffollati, nessuna forma di protezione, nessun lockdown serio, istituzioni in perenne lite tra loro.” Intervengono anche André Weiss (75 anni) e sua moglie Ana (74 anni), entrambe pensionati. Anche loro di origini svizzere, lei di Ginevra e lui di Basilea. Vivono nello Stato del Minas Gerais, dopo aver trascorso 10 anni in Argentina, a Bariloche. “Anche da noi i governatori hanno preso misure restrittive ma sono arrivate in ritardo, per via delle liti con lo Stato centrale. Succede come negli Stati Uniti. Questa situazione ha creato incertezza che, aggiunta alla situazione di inefficienza e di arretratezza del sistema sanitario brasiliano, ha determinato il disastro cui stiamo assistendo.”
Nel pomeriggio indosso la mascherina e vado a trovare una giornalista, amica di Sophia. Si chiama Sylvia Colombo, de la “Folha de Sao Paulo”, un quotidiano nazionale con un milione e mezzo di lettori. Il taxi bianco copre i 5,5 km di strade in poco più di 20’. Sylvia mi riceve nella sua redazione a Campos Elíseos, nell’ Alameda Barão de Limeira, al 425, vicino a Praça Princesa Isabel. Lungo il tragitto ammiro (si fa per dire) il Mirante Edificio Italia. Campos Elíseos è un quartiere polveroso, privo di qualsiasi appeal estetico. La sede del giornale è abbastanza anonima, ricorda (per chi ha una certa età) quella di “Paese Sera”, vicino all’Università La Sapienza, a Roma. Tante vetrate, soffitti bassi, tutti chini a scrivere sui computer, mentre allora, nel quotidiano romano, c’erano le macchine da scrivere, le Olivetti Lettera 22. Sylvia ha un punto di osservazione privilegiato. È molto preoccupata. Quasi 1.000 morti nelle ultime 24 ore, 47.700 nella sola città e 825.000 infetti. San Paolo è diventata epicentro del Corona Virus in America Latina. Oltre il 25% delle vittime brasiliane si concentra in questo stato, seguito da quello di Rio de Janeiro. I contagi non accennano a rallentare da più di un anno, nonostante nel mondo ci sia già un vaccino. Il sindaco Bruno Covas continua a lanciare appelli perché il sistema sanitario è ormai collassato e non si sa più dove portare i morti. Le fosse comuni del cimitero di Formosa sono piene. Il governatore Joao Doria ha lanciato il lockdown più volte ma il Presidente lo contrasta apertamente, in quanto scettico su queste misure di isolamento e favorevole a un proseguimento delle attività economiche. Siamo alla resa dei conti finale. In molti casi si è fatta una stima cinica dei morti. Lo scrittore Edward Luttwak ebbe già a dire che se “in America sono morte 100mila persone, cioè meno di mille al giorno, vuol dire che questa è una malattia che uccide un po’ di gente ma non è una cosa drammatica”. Bolsonaro è della stessa opinione. È un cinismo che ho riscontrato tra i membri dei paesi a prevalente cultura protestante. Che venga sposata da un latino e cattolico per giunta, significa che si vuole imitare qualcun altro, con la scusa dell’economia da salvare, imponendo un comportamento avulso dalla cultura del paese.
I primi di maggio 2020 il Brasile contava 45.757 casi di infezione da COVID-19 e 2.906 morti per malattia. Alla fine dello stesso mese il Brasile superava la Russia è diventava il terzo al mondo per contagi: 310.000 e sesto per morti: 20.000. Questo incremento era il risultato delle decisioni di Jair Bolsonaro, chiamato anche il “Trump dei Tropici” dai suoi connazionali. I due presidenti avevano entrambi sottovalutato la pericolosità del virus e avevano preferito non chiudere le attività commerciali e produttive per non frenare l’economia. Imitando il “mito Trump”, il Presidente Bolsonaro aveva promosso l’uso di “idrossiclorochina”, un farmaco contro la malaria che non si sa se possa funzionare contro il virus ma di cui certo si conoscono gli effetti collaterali: vomito, mal di testa, alterazioni della vista e debolezza muscolare. Altri effetti collaterali gravi possono includere reazioni allergiche. Ne sono stati distribuiti tre milioni di pillole negli ospedali, dopo che Trump disse di assumerla regolarmente. Proprio per questo si dimise Nelson Teich, il primo Ministro della Sanità. Il senatore Humberto Costa, anche lui ministro della sanità durante la presidenza di Luiz Inácio Lula da Silva, in quell’occasione disse: “Il governo non sta esercitando il ruolo di leader politico che unisce il Brasile in questa lotta. Sta sabotando la politica di distanziamento sociale e sta persino vendendo l’idea di una medicina miracolosa per risolvere questo problema, tutto ciò non corrisponde alla realtà”.
Il vaccino, messo a punto all’Università di Oxford, in Gran Bretagna, non viene distribuito adeguatamente alla popolazione. Non solo, siamo arrivati a 1.750.000 contagiati e a 137.000 vittime per Corona Virus in tutto il paese. Gli ospedali, come dicevo, sono da tempo nella confusione totale, in balia degli eventi. Il Brasile detiene il poco invidiabile record di infetti tra gli infermieri: il 40%. Nelle favelas non si sa fino a che punto l’infezione sia penetrata. Contando su una popolazione giovane, in molti sono i positivi senza sintomi, in grado forse di reggere alla malattia e maturare gli anticorpi. Non si conosce l’esatto numero delle vittime, perché tanti ne falcia la fame, la presenza di altre malattie ataviche della regione, come la malaria, la dengue, la zika, la chikungunya e soprattutto la febbre gialla. Una epidemia sviluppatasi tra il 2017 e il 2018 lungo tutta la costa e non del tutto sparita. In sostanza il Brasile è un paese diviso, dilaniato dalle lotte interne tra poteri e tra i vari rappresentanti dello stato, dei ministeri, delle regioni e dei comuni. Sembra che ognuno si muova per suo conto, in contrasto con le direttive degli altri. Il caos è iniziato con le dichiarazioni di sufficienza di Jair Bolsonaro, che hanno ignorato il pericolo fin dai primi momenti dell’epidemia, alla fine di febbraio 2020. Secondo uno studio che alcuni ricercatori brasiliani hanno realizzato per la São Paulo Research Foundation, in collaborazione con Inglesi, Americani e Canadesi, la pandemia in Brasile iniziò subito con 300 casi, molti dei quali venivano dall’Italia. Secondo Ester Sabino, una degli autori dello studio, questo dette un impulso rapido ed esteso alla pandemia, perché le persone infette viaggiarono verso diverse città del paese. La Sabino è docente presso la Facoltà di Medicina alla Università di San Paolo e dirige l’Istituto di Medicina Tropicale.
La popolazione si è divisa tra chi ha creduto al Presidente e chi ad altri. Tra chi ha creduto al lockdown e chi ha continuato a fare la stessa vita di prima. Per la prima volta nella storia i tweet del presidente sono stati cancellati per aver determinato “un danno reale alle persone”. È stato oscurato il video che ritraeva Bolsonaro mentre dialogava senza mascherina con un gruppo di persone, salutandole stringendo loro la mano, dando pacche sulle spalle o addirittura abbracciandole. Più volte si è giunti lì lì per rovesciare il Presidente, con un impeachment o con un golpe. Il 31 marzo del 2020 un documento della giunta militare, guidata dal Generale Walter Souza Braga Netto, e firmato anche dal Ministro della Difesa e i tre comandanti militari al Governo, parlava esplicitamente di “garanzie per lo Stato e le libertà democratiche” che Bolsonaro non assicurava più. Lo scontro tra Bolsonaro e l’establishment è palese. In pochi mesi ha cambiato tre Ministri della Sanità. Dopo l’uscita di scena di Luiz Henrique Mandetta, che aveva chiesto invano misure più severe contro il contagio, il suo successore Nelson Teich si è dimesso in meno di un mese. A metà maggio l’interim venne stato assunto da Eduardo Pazuello, un generale dell’esercito come molti altri esponenti del governo, ex paracadutista come Bolsonaro e suo amico. Ma anche con quest’ultimo si è arrivati alla rottura, e pure con il Ministro di Giustizia e via via con altri esponenti della Giunta. Solo tre stati su 26, Rondônia, Roraima e Mato Grosso hanno seguito il Presidente. Gli altri hanno disobbedito, scegliendo una linea restrittiva per evitare il disastro umanitario, in aperto conflitto col Governo e appoggiati dai leader religiosi, mass media e amministratori locali. Tuttavia la situazione di emergenza sanitaria non ha consentito una crisi di governo che avrebbe potuto degenerare anche in rivolte sanguinose.
Intanto l’Abjd, l’Associazione dei giuristi brasiliani per la democrazia, ha denunciato Bolsonaro al Tribunale dell’Aja per “crimini di lesa umanità derivati da un atteggiamento irresponsabile rispetto alla pandemia”. Per molti mesi Bolsonaro cercava di mantenere aperte le attività commericiale e istituzionali che i governatori tenevano chiuse. L’ostilità è cresciuta mentre nel mondo la situazione della pandemia entrava nella fase 2. Quasi ovunque si tornava a una responsabile vita attiva, mentre il Brasile precipitava nel caos e il numero dei morti raddoppiava ogni due settimane, secondo un ritmo che non ha avuto eguali in altri paesi. I dati ufficiali erano certamente sottostimati, in un paese che non ha il pieno controllo dei 210 milioni di abitanti, molti stipati nei barrios e nelle favelas e in un territorio sterminato, che comprende anche la Foresta Amazzonica. Il numero dei contagi e dei morti potrebbe essere molto più alto. Secondo uno studio della Scuola medica dell’università di San Paolo, i contagiati sono 15 volte di più di quanto dichiarato dalle autorità. Diversi governatori e sindaci hanno imposto il confinamento, ma di fronte all’assenza di efficaci misure governative per sostenere chi non può lavorare, e con Bolsonaro che continua a sfidare pubblicamente le regole di distanza sociale, è difficile tenere dentro casa chi si arrangia per vivere. E così accade che vi sia un’anomala proporzione di decessi fra i più giovani: solo il 69% delle vittime del coronavirus aveva più di 60 anni, contro percentuali del 95% raggiunte in Europa, si legge su Le Figaro. Un fenomeno che viene collegato ad una popolazione che è in media molto più giovane, ma anche al fatto che fra i ceti più poveri, dove il distanziamento sociale è quasi impossibile, siano diffuse condizioni di obesità, ipertensione e diabete.
Il più alto tasso di elicotteri pro capite si trova qui. Prima della pandemia San Paolo rivaleggiava con Tokyo e New York come città con il più alto numero di miliardari. Dove sono finiti? Gli elicotteri negli hangar e i miliardi all’estero, seguiti dai miliardari. Nel 2006 il Pil di San Paolo era di circa 76 miliardi di dollari, quello dell’area metropolitana di 260 miliardi di dollari. Da questo si capisce perché San Paolo sia il centro finanziario e industriale di tutta l’America Latina. Le sue ampie strade a 8 corsie sono sempre state intasate da un traffico mostruoso. Nonostante le 5 linee di metropolitana, un sistema di oltre 74 km, la gran parte nel sottosuolo, con 64 stazioni, 33 sottoterra, che trasportano 4 milioni di passeggeri al giorno. Nei prossimi anni la metro e il passante ferroviario dovrebbero essere ampliati da 330 a 500 km. Limitando l’uso di auto e bus che inquinano fortemente l’aria. Prima della pandemia, il sociologo italiano Domenico De Masi, ideatore del modello dell’ozio creativo, fautore del telelavoro e di un maggior sfruttamento del tempo libero come creatività e salute, ebbe a dire che “a San Paolo la gente vive come in un manicomio”. Preferiscono passare ore nel traffico per andare a lavoro, invece di sfruttare le tecnologie e i software del computer, che consentono di lavorare da casa. Comincio a pensare che chi va a lavorare in ufficio, in realtà lo faccia perché non sopporta stare a casa per troppe ore con moglie e figli.
Nella city si concentrano più aziende tedesche e americane di ogni altra città fuori dalla Germania e gli Stati Uniti. Nei dintorni dell’Avenida Paulista ci sono i distretti finanziari e la sede della Bovespa, la borsa. Sotto la sede della borsa incontro Fabrizio Pagni, figlio di emigrati italiani, broker. Da alcune settimane la borsa è chiusa, tranne che per gli uffici privati. Con Fabrizio ci eravamo conosciuti a una cena a Cap Cana, in Repubblica Dominicana, alcuni anni fa, quando le cose andavano per il meglio e il Brasile, pur se tra scandali e turbolenze, viaggiava col vento in poppa. Adesso ci sono aziende che stanno facendo i bagagli per andarsene, non si vede un futuro. A Bom Retiro e a Brás, sede dei distretti tessili, le fabbriche sono chiuse, gli operai a casa, senza stipendi. A Consolaçao ci sono le fabbriche di strumenti di illuminazione, queste lavorano, non a pieno ritmo, come quelle elettriche ed elettroniche a Rua Santa Ifigênia. Forse perché producono componentistiche per assemblaggi che si completano poi in altri paesi. Passiamo per Rua Oscar Freire, una delle strade più eleganti della città. Molte boutique sono chiuse e le vetrine spoglie. Stessa cosa all’Avenida Paulista, dove hanno sede gli importatori d’auto. Le aziende di tv e pubblicità lavorano ma a ritmo e a ranghi ridotti. Un quadro drammatico.
Il Brasile ha avuto una storia molto complicata riguardo alla sua democrazia. Già nel 1964 i militari rovesciarono il governo di João Goulart utilizzando lo scudo della sicurezza nazionale. Ora sembra che stia per succedere la stessa cosa. Bolsonaro vinse le elezioni del 2019, con la complicità di settori della magistratura e della stampa, manipolando le informazioni con menzogne sul conto di Lula e Dilma Rousseff, che avevano governato dal 2003 al 2016. Per la destra Bolsonaro era un uomo affidabile, con un grande seguito nei sondaggi e una grande presa sulla popolazione meno colta e preparata, la maggioranza. Di questo vi parlavo all’inizio. Con slogan facilmente comprensibili, ancorché affatto veritieri, si riesce a conquistare un elettorato che comprende e ascolta solo quello che conferma le proprie convinzioni. Spiegare la complessità delle cose è difficile e costa fatica a chi lo fa e a chi lo dovrebbe capire. Gli slogan sono più rapidi e diretti, poco importa se sono fake news, funzionano. Lo stile violento e aggressivo verso gli avversari politici aveva dato a Bolsonario un carisma da leader e la sua elezione fu un gioco da ragazzi. Il giornalista della BBC Chris Morris, nella trasmissione “Reality Check”, specializzata nel verificare le notizie che girano nella rete, decretò nel maggio 2020, che Trump, Bolsonaro e Matteo Salvini erano i politici che più di altri avevano diffuso fake news. Oggi 2022, Trump non è stato rieletto, Salvini continua a perdere consensi e Bolsonaro ha precipitato nel caos il proprio paese. Il vuoto di potere viene colmato dai militari. Sta assumendo sempre maggior peso il suo vice Hamilton Mourão (altro militare) e il governo appare sempre più militarizzato.
La sera dopo cena, nell’hotel, incontro il signor Franz Mittaz (55 anni) e la moglie Lisa. Me li ha mandati Sylvia, che li ha intervistati per il suo giornale. Questi signori hanno aperto una pousada (una pensione in campagna) nel 2013 a Porto de Pedras nello Stato d’Alagoas. In precedenza entrambi avevano lavorato nel settore turistico in Austria. Sognavano di realizzare insieme un progetto che unisse l’utile al dilettevole. Franz non è tenero nei confronti della classe politica brasiliana: “Qui i politici sono al potere per derubare la gente, non per governare. Dopo la disfatta del Partito dei lavoratori, che non ha fatto assolutamente nulla per il paese (partito dei due precedenti presidenti Lula Da Silva e Dilma Rousseff), con Jair Bolsonaro sembrava che soffiasse un nuovo vento. La gente ora si rende conto che non c’è alcuna differenza. Il governo ha previsto di iniettare 147 miliardi di reais, 27 milioni e mezzo di dollari, per sostenere l’economia, ma come indipendente non riceverò alcun aiuto dal governo. Nella pousada impiego otto persone. Ricevono un aiuto sociale di 600 reais al mese e noi completiamo con altri 400”. Franz ha la fortuna di poter vivere con poco, come in genere chi vive in campagna. Non ha debiti, può resistere dei mesi coi suoi risparmi. Il problema è che la moltitudine di brasiliani non ha risparmi e vive alla giornata di lavoretti in nero. Alcuni vivono di piccoli furti e truffe. Con la diminuzione drastica del turismo tutta questa piccolo delinquenza e le piccole attività giornaliere sono in rosso. Adesso in molti sperano di riprendere le loro “attività” con il Carnevale.
Tutto ciò provoca rivolte e conflitti. Sono gli oltre 6 milioni di lavoratori domestici che pagano il prezzo della crisi sanitaria ed economica. Stessa cosa, se non più grave, per gli indios della Foresta Amazzonica. Secondo il sistema di allarme satellitare dell’Istituto nazionale di ricerca spaziale del Brasile (INPE), la deforestazione è aumentata del 30% nel marzo 2020 rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Il controllo sulla deforestazione è quasi del tutto scomparso. La riduzione delle pattuglie di polizia ambientale, che ufficialmente serve a proteggere gli agenti, in realtà è una manovra da parte del governo, da sempre scettico sul clima, per facilitare lo sfruttamento della foresta.
Così a Manaus, la capitale dello Stato di Amazonas, il più esteso del Brasile, nel nord-ovest, il sindaco, in lacrime, ha lanciato un disperato appello: “Abbiamo bisogno di aiuto. Dobbiamo salvare le vite dei protettori delle foreste, salvarle dal coronavirus”. In queste zone remote, i servizi sanitari sono completamente collassati e la malattia è una grande minaccia per gli indigeni che muoiono come mosche. Alle frontiere col Brasile il contagio prolifera, nonostante la chiusura di molti transiti con la Guyana francese, la Colombia e il Perù.
È giovedì 25 febbraio. Inizia il Carnevale. Anche se quello di Rio de Janeiro è il più famoso al mondo, in ogni città brasiliana, anno dopo anno, si celebra questa festa che, assieme al calcio, identifica un popolo e lo unisce sotto un’unica bandiera di gioia e di speranza. C’è una pandemia e quindi sarebbe logico pensare che la festa popolare non trovi spazio, in una realtà già caotica di suo. Sono tre anni che il Covid 19 approfitta del Carnevale per contagiare in pochi giorni più gente possibile.
Il primo anno la pandemia si presentò giusto dopo la festa. Non c’è niente da fare. Stratta di un rito cui per nulla al mondo la popolazione paulista potrebbe rinunciare e tutto lo stato, ogni città e distretto si colora, si pone costumi e orpelli, musiche e balli invadono le strade. Più di 30 scuole di samba si incontrano nelle 32 prefetture per far sfogare la passione di 15 milioni di abitanti. Il Comune ha autorizzato 400 sfilate, 278 in meno dell’anno scorso.
È stata l’unica concessione ai problemi del paese. Questi “desfiles” ovviamente si tramutano, come è successo già lo scorso anno, in una protesta contro il Governo. Si è vero, è un classico del Carnevale in ogni parte del mondo, ma qui assume un tono particolare. L’incendio e la deforestazione della Foresta Amazzonica prima, la situazione delle classi più deboli e il disastro economico e sanitario dovuto in larga parte alle misure non prese dal Governo, sono tutti argomenti contro Bolsonaro. Trovo assurdo che si protesti contro chi dovrebbe in realtà impedirti di festeggiare per motivi di salute e di sicurezza. Gli assembramenti e i contatti sono la maniera migliore con cui il virus si diffonde, ma in queste persone vive un fatalismo disarmante.
Vivere il presente perché del futuro non c’è certezza e non ce n’é, infatti e ce ne sarà sempre meno, immagino. La festa è composta da tanti momenti. Impossibile partecipare tutti. Le scuole di samba sfilano nel sambodromo di Abhembi. In ogni Carnevale ci sono i “blocos da rua”, letteralmente sono le associazioni di strada. A San Paolo sono 300. Gruppi spontanei di cittadini si riuniscono per festeggiare nelle vie, coi loro costumi e i loro carri allegorici. È questo il momento più atteso e dove chiunque può partecipare, danzando e cantando al ritmo del samba, in mezzo a bellissime ballerine, vestite, si fa per dire, con costumi sgargianti e lucenti come pietre preziose. Inutile dire che le mascherine hanno lasciato il posto a quelle del Carnevale. Forse è più comprensibile che si voglia nascondere lo sguardo piuttosto che il sorriso. Sto assistendo al passaggio del Bloque Academico do Baixo Augusta, en la calle Augusta. Un frastuono inverosimile mi impedisce di distinguere le voci. Bambini e famiglie al seguito, armati di trombette e fischi, sfogano la loro rabbia e la loro voglia di vita. Bande di ragazzi si organizzano per svoltare la serata, colpendo chi capita a tiro. Se mai ne usciranno vivi sarà un miracolo, non tanto per il contagio ma per la crisi economica che comunque avanza. Anche se sembra che questa gente rappresenti essa stessa un miracolo vivente.
AVVERTENZA. I dati, i personaggi e le informazioni che trovate in questo articolo sono in parte veri e in parte un’opera di fantasia. Le vicende di viaggio sono ambientate in un futuro ipotetico, anche se abbastanza possibile.