Eurozona, il sud sta recuperando
07 set 11:06 – (Agenzia Nova) – L’economia spagnola e’ cresciuta dello 0,9 per cento nel secondo trimestre di quest’anno, piu’ dello 0,6 per cento della Germania e dello 0,5 per cento della Francia. Anche in Italia l’economia sembra esibire un guizzo di dinamismo: “Per la prima volta in dieci anni l’economia cresce in tutti e quattro i principali Stati dell’euro in modo notevole”, sottolinea Joerg Zeuner, capo economista di KfW. In Spagna la crescita ha anche a che fare con le politiche di credito secondo Juergen Michels, capo economista della Bayern-LB. In generale, la politica di stimolo monetario intrapresa dalla Banca centrale europea (Bce) di Mario Draghi sembra aver dato frutti. “Dopo che il portafoglio dei crediti societari delle banche in Italia e Spagna sono state in calo per un lungo periodo, oggi e’ il contrario. In Italia, sono tornati a livello pre-crisi’, spiega Zeuner. Eppure, le condizioni di accesso al credito in Europa restano assai disomogenee. I prestiti nei paesi periferici, tra cui l’Italia, la Spagna, il Portogallo, l’Irlanda e la Grecia, tendono ancora ad essere significativamente piu’ costosi di quelli dei paesi centrali come la Germania, la Francia, l’Austria e i Paesi Bassi. In media il costo maggiore e’ di 85 punti base. Sul fronte del pil, invece, anche le economie piu’ ritardatarie esibiscono segnali di vera ripresa. In Italia, per esempio, il governo pronostica di conseguire entro la fine dell’anno una crescita del pil superiore all’1 per cento. La fiducia nel mercato bancario italiano e’ aumentata di nuovo, nonostante la crisi dei crediti deteriorati e il dissesto di banche come Monte dei Paschi, che il governo ha impiegato mesi per superare. “Le banche hanno compiuto notevoli progressi nella riduzione dei loro crediti in sofferenza”, afferma Andreas Wagner, responsabile del Centro Internazionale Unicredit della Hypo-Vereinsbank. Se talvolta le societa’ italiane presentano ancora squilibri finanziari, questo ha anche ragioni strutturali. La classe media italiana ha anche molte piccole aziende con cinque o dieci dipendenti che hanno un accesso minore ai prestiti rispetto alle grandi imprese. Su questo fronte lo Stato cerca di intervenire con i finanziamenti pubblici e le garanzie concesse dalla Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), un istituto paragonabile a quello tedesco KfW. Complessivamente, i prestiti bancari hanno anche un ruolo ancora maggiore di quello in Germania, dove le imprese si stanno gradualmente orientando verso forme di finanziamento attigue al mercato dei capitali. Ma anche l’interesse per l’Italia sta crescendo. Ad esempio, UniCredit sta creando soluzioni di credito per i clienti corporate sul modello tedesco, che possono contare su una domanda in costante crescita. Cio’ e’ dovuto anche al fatto che i fornitori hanno un rischio maggiore rispetto alle aziende tedesche a causa degli obiettivi di pagamento relativamente lunghi. Ultimo, ma non meno importante, e’ il fatto che le banche in Italia sono sempre piu’ richieste per regolare le successioni. nel frattempo, il mercato italiano e le sue aziende sono oggetto di un interesse sempre maggiore da parte della Germania. “Stanno arrivando molte aziende di medie dimensioni provenienti dalla Germania, che entrano nel mercato italiano attraverso l’acquisizione di societa’”, sostiene Wagner. Se le Pmi tedesche pianificano nuove filiali in questi paesi, scrive la “Sueddeutsche Zeitung”, e’ naturale che la questione del migliore accesso ai finanziamenti si ponga con ancora maggiore forza. Un’altra alternativa sarebbe quella per la casa madre di prendere un prestito a basso interesse nel paese d’origine, e quindi utilizzare questi fondi per finanziare le proprie operazioni nei paesi della periferia dell’eurozona. Questa strategia, pero’, presenta profili di rischio non indifferenti, legati tra le altre cose agli scenari di parziale disgregazione dell’area euro.
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Usa, Trump si schiera coi Democratici sul debito e getta i Repubblicani nello scompiglio
07 set 11:06 – (Agenzia Nova) – Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha aggirato il suo partito e stretto direttamente un accordo con i Democratici al Congresso federale per innalzare il tetto legale del debito e finanziare le attivita’ governative sino a meta’ dicembre. La mossa di Trump ha spiazzato i Repubblicani, da settimane su questo ed altri temi cruciali portano avanti un inconcludente negoziato con l’opposizione. La “Washington Post” descrive la mossa del presidente come “l’ultima svolta nel progressivo allontanamento tra Trump e il suo partito”, che non ne ha mai digerito la leadership e da quasi un anno a questa parte ostacola in tutti i modi l’agenda della Casa Bianca al Congresso. il presidente, scrive ancora il quotidiano, vuole deviare proprio sulla litigiosa maggioranza repubblicana “la responsabilita’ per un anno di stalli legislativi e opportunita’ mancate”, nonostante la vittoria totale dei Conservatori alle presidenziali e alle elezioni per il parziale rinnovo delle Camere, lo scorso novembre. Il dialogo coi Democratici sui temi fiscali, che ieri Trump ha suggellato anche con una visita in North Dakota al fianco della senatrice democratica di quello Stato, segue un’estate di crescenti tensioni tra il presidente e i leader repubblicani di Camera e Senato, Paul Ryan e Mitch McConnel, che Trump accusa di disonesta’ e debolezza nell’attuazione dell’agenda esecutiva. L’accordo coi Democratici dovrebbe bastare a scongiurare il rischio di un arresto delle attivita’ governative (il cosiddetto “shutdown”) senza passare per i furibondi litigi e la partigianeria che caratterizza il ricorrente dibattito parlamentare sull’aumento del tetto del debito. L’intesa coi Democratici include l’approvazione di una serie di misure di spesa emergenziali per far fronte ai danni nell’uragano Harvey nel Texas; d’altra parte, sottolinea il “New York Times”, l’accordo non affronta nessuna delle problematiche strutturali di fondo legate all’aumento del debito, e dunque apre le porte ad uno scontro ancora piu’ acceso alla fine dell’anno. Per il Partito repubblicano, comunque, l’iniziativa unilaterale di Trump e’ un fulmine a ciel sereno che suona quasi alla stregua di una dichiarazione di guerra: l’inquilino della Casa Bianca ha infatti appoggiato una proposta dei Democratici che Ryan aveva pubblicamente bocciato il giorno stesso. Trump non soltanto ha avvallato le misure di spesa e debito promosse dai leader della minoranza democratica al Senato e alla Camera, Chuck Shumer e Nancy Pelosi, ma si e’ addirittura allineato a questi ultimi sul fronte dell’immigrazione, nonostante la pioggia di critiche piovuta sul suo capo per la decisione di porre fine al Deferred Action for Childhood Arrivals (Daca), il programma incostituzionalmente varato dal suo predecessore Barack Obama per tutelare gli immigrati irregolari giunti negli Usa quando ancora minorenni. Trump ieri ha stupito tutti annunciando di voler lavorare coi Democratici per riapprovare il programma sotto forma di legge del Congresso, come richiesto appunto dai dettami costituzionali. La leadership repubblicana ha tentato di far buon viso a cattivo gioco, attribuendo l’apertura di Trump alla situazione di emergenza causata dall’uragano Harvey e da un secondo uragano, Irma, che sta per abbattersi sulla Florida. Secondo il “New York Times”, pero’, il Partito repubblicano si trova di fronte “alla materializzazione di un incubo”: Trump, che si e’ sempre autoincensato per le sue presunte doti di mediatore, ma che i Conservatori credevano di avere in pugno, ha davvero fatto un salto oltre il confine tra i due schieramenti politici di Washington. Non sorprende che alcuni esponenti di seconda fila del fronte Conservatore abbiano reagito con toni quasi isterici: il quotidiano cita ad esempio David Bozell, presidente dell’associazione “For America”, secondo cui la sponda ai Democratici “rischia di far deragliare la presidenza Trump”. L’apertura del presidente, pero’, ha suscitato perplessita’ anche tra gli ambienti a lui piu’ favorevoli: il sito d’informazione della destra alternativa Breitbart, ad esempio, ieri ha titolato “Incontro con la palude, riferendosi a quello Stato profondo che durante la campagna elettorale Trump aveva promesso di combattere.
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La Catalogna approva la legge sul referendum secessionista, la stampa spagnola insorge
07 set 11:06 – (Agenzia Nova) – Il Parlamento catalano compie un passo decisivo nel processo che dovrebbe portare, il 1 ottobre, a celebrare il contestato referendum sull’indipendenza. L’emiciclo della regione autonoma, scatenando prevedibili ma comunque duri interventi su gran parte della stampa nazionale, ha approvato la legge con cui intende aprire le urne, contraddicendo la posizione del governo centrale e – con ogni probabilita’ – quello della magistratura costituzionale. Il dibattito, seguito febbrilmente dai media spagnoli, si e’ svolto tra forti proteste e si e’ chiuso con l’abbandono dell’aula da parte delle opposizioni. Contestato, in particolar modo, il veto posto dalla presidenza dell’Aula a una richiesta di esame di costituzionalita’ prevista dallo statuto dell’istituzione, avanzata dalla minoranza. Nelle ore successive, l’esecutivo catalano ha firmato il decreto di apertura del referendum con le disposizioni tecniche utili a dare il via al processo. L’editoriale del quotidiano “El Pais” mette sotto la lente d’ingrandimento l’iter procedurale dell’approvazione della legge denunciando “un procedimento semplificato, opaco, per direttissima, carente di garanzie, orfano del controllo di costituzionalita’ e di tempi congrui per gli emendamenti”. Un dibattito che illustra “l’erculeo disastro di infrangere la convivenza e la legalita’ attraverso una legge quasi clandestina, priva di qualsiasi credibilita’ parlamentare e di ogni standard democratico”. L’episodio, secondo il quotidiano di centrosinistra, e’ infatti prova del piu’ ampio errore di forzare una lettura distorta del sentimento politico in catalogna. “Il piano secessionista ha frammentato la societa’ catalana, ma il suo intento a breve va oltre: rompere la complicita’ e la solidarieta’ degli spagnoli e dello Stato plurale decentralizzato di cui si sono dotati. La scelta del governo di ripristinare la legalita’ facendo appello al Tribunale Costituzionale”, – il cui pronunciamento e’ atteso per oggi – “e’ adeguato e proporzionato”. Di “gravissimo colpo allo Stato di diritto”, parla il quotidiano “El Mundo” invocando una risposta “contundente e coordinata di tutti i poteri pubblici”. La Costituzione spagnola, ricordano i media, prevede che un referendum capace di incidere sulla forma di Stato debba essere celebrato dalla totalita’ dell’elettorato nazionale e non da quello di una singola comunita’ autonoma ed e’ per questo che “El Mundo” parla della necessita’ della “legge contro l’usurpazione della sovranita’ al popolo spagnolo”. La testata invita a “non illudersi”, segnalando che se e’ “prioritario fermare il golpe tirannico dei secessionisti”, “curare le ferite provocate dalle armi separatiste non sara’ facile”. Confidando nella possibilita’ che la diretta dei lavori parlamentari abbia mostrato i limiti dialettici della maggioranza, il quotidiano “Abc” si augura che i catalani “piu’ sensati” possano “riflettere sul tratto antipatico che il nazionalismo ha impresso sulla citta’ impadronendosi in modo fraudolento della sua natura collettiva”. Uno degli aspetti piu’ rilevanti dell’intero processo, prosegue la testata “e’ il modo in cui la fantasmagoria della secessione, infarcita di post-verita’, leggende o piu’ semplicemente bugie indigeribili e spudorate, abbiano conquistato una societa’ istruita, moderna e all’apparenza intellettualmente compatta”. Anche il quotidiano catalano “La Vanguardia” censura l’operato della Camera cui e’ mancata la dovuta “calma” e che non si e’ mostrata “all’altezza” del dibattito. Riprendendo le parole degli autonomisti, il quotidiano concorda nel dire che si e’ trattato di un “giorno storico, soprattutto perche’ e’ eccezionale che un governo non rispetti la legalita’, alludendo a una intoccabile legittimita’. Quando un esecutivo disobbedisce fa storia, ma non puo’ definirsi vittoria democratica. Votare e’ democrazia” prosegue l’editoriale non tacendo sulla richiesta dei catalani di decidere nelle urne il proprio futuro, “cosi’ come lo e’ rispettare lo Stato di diritto”.
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Usa, primarie democratiche New York: il sindaco uscente de Blasio difende il lavoro della sua amministrazione
07 set 11:06 – (Agenzia Nova) – Il sindaco uscente di New York, Bill de Blasio, ha tenuto una conferenza stampa mercoledi’ sera, difendendo con entusiasmo i risultati conseguiti dalla sua amministrazione in vista delle primarie del Partito democratico in vista delle prossime elezioni municipali. De Blasio e’ reduce dal secondo dibattito pubblico con Sal F. Albanese, che gli contende la nomina di partito. Il sindaco uscente, pero’, appare di gran lunga il favorito, e il dibattito di un’ora trasmesso dall’emittente Wcbs Tv – scrive il “New York Times” – e’ parso soprattutto una occasione per i cittadini della metropoli di assistere all’arringa del sindaco a sostegno della propria ricandidatura. Albanese ha puntato l’indice contro i problemi del sistema di trasporti pubblici cittadino, contro le relazioni troppo disinvolte e a tratti opache tra de Blasio e alcuni donatori con interessi rilevanti nella citta’, e per la progressiva “gentrificazione” che a detta del contendente democratico sta sconvolgendo New York, e che questi ha definito “rivoltante”. Albanese – sottolinea il “New York Times” – non puo’ contare pero’ neanche lontanamente sulle risorse economiche mobilitate dal sindaco uscente 56 enne, che ha ricevuto contributi elettorali per un importo di cinque milioni di dollari, piu’ altri 2,6 milioni di contributi pubblici tramite il programma cittadino di finanziamento delle campagne elettorali. Albanese ha raccolto donazioni private per appena 207 mila dollari, e proprio l’esiguita’ dei contributi privati lo ha escluso dall’accesso ai fondi pubblici cittadini. Se questa settimana de Blasio spazzera’ il campo dal suo avversario alle primarie – un esito che appare piu’ che scontato – si trovera’ a fronteggiare la repubblicana Nicole Malliotakis, consigliera cittadina di Staten Island. Un terzo candidato, Bo Dietl, partecipera’ all’elezione da indipendente.
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Brasile, dall’ex ministro nuove pesanti accuse a Lula
07 set 11:06 – (Agenzia Nova) – L’ex presidente brasiliano Inacio Luis Lula da Silva ha sottoscritto un “patto di sangue” che porto’ l’impresa di costruzioni Odebrehct a versare poco meno di 100 milioni di dollari nelle casse del Partito del lavoratori (Pt), al momento del passaggio di consegne con Dilma Rousseff. Lo ha detto l’ex ministro delle Finanze Antonio Palocci in una testimonianza che sembra far fare un salto di qualita’ alle indagini istruite sul conto dell’ex capo di Stato. Secondo l’ex ministro, interrogato dal popolare giudice Sergio Moro, Emilio Odebrecht era preoccupato che l’avvicendamento alla presidenza non garantisse piu’ un rapporto fluido come quello avuto con Lula. Il “patto”, nel quale si inserisce anche l’acquisto di un terreno destinato ad ospitare la sede della fondazione Lula, avrebbe garantito all’imprenditore un adeguato peso nell’azione del nascente esecutivo. Palocci, che nelle carte sui conti oscuri rintracciate dagli inquirenti e’ conosciuto come “o italiano”, e’ stato arrestato circa un anno fa con l’imputazione di diversi reati di corruzione. La testimonianza resa ieri ha contorni piu’ pesanti rispetto ad altre, non solo per la vicinanza del’ex ministro a Lula ma anche perche’ non preceduta da un accordo con la giustizia in cambio di una sconto sulla pena. Nella stessa giornata il procuratore generale Rodrigo Janot aveva accusato Lula e Rousseff di ostacolo alla giustizia per aver premuto sulla nomina del giudice incaricato di decidere della legittimita’ del veto posto alla qualifica di Lula come capo gabinetto del governo Rousseff. Solo il giorno prima, lo stesso Janot aveva accusato gli stessi protagonisti, e altri componenti del vertice del Pt, di aver messo in piedi una “organizzazione criminale” centrata sul traffico di tangenti.
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Brexit, sul confine irlandese e il regime doganale probabile un nuovo stallo
07 set 11:06 – (Agenzia Nova) – Dopo la rivelazione del piano sull’immigrazione del governo del Regno Unito, il quotidiano britannico “The Guardian” pubblica anticipazioni su cinque documenti negoziali della Commissione europea, destinati ad alimentare le tensioni tra le parti. Una delle proposte riguarda l’Irlanda del Nord e lascia alla Gran Bretagna l’onere di trovare una soluzione che eviti il ritorno di una frontiera “dura” con la Repubblica d’Irlanda e garantisca la pace sull’isola. Il secondo documento contiene la richiesta a Londra di legiferare sul riconoscimento dei prodotti europei con indicazione geografica protetta (come il Parmigiano o lo Champagne, ma sono piu’ di 3.300). Un’altra richiesta e’ la giurisdizione della Corte europea di giustizia per le merci in transito nel giorno della Brexit, in caso di presunte violazioni delle norme doganali e sull’Iva. Al governo britannico, inoltre, viene chiesto di garantire gli standard di protezione dei dati dell’Ue sui documenti secretati; in caso contrario di cancellarli o distruggerli. Infine, si chiede alla Gran Bretagna di non discriminare le compagnie europee impegnate in progetti infrastrutturali finanziati dagli Stati iniziati prima della Brexit. Tutte le carte sono datate 6 settembre e sono state elaborate dalla task force sulla Brexit guidata dal capo negoziatore di Bruxelles, Michel Barnier. Complessivamente evidenziano la complessita’ dell’uscita del Regno Unito dall’Ue ed espongono dettagli non affrontati durante la campagna referendaria; inoltre, confermano la determinazione della Commissione a dare priorita’ alla questione del divorzio rispetto all’accordo commerciale. Il documento sul confine irlandese, che sara’ discusso oggi a livello diplomatico, e’ il piu’ delicato. Pochi giorni fa Michel Barnier ha incontrato il ministro degli Esteri dell’Irlanda, Simon Coveney, preoccupato per l’impatto della Brexit, che potrebbe essere “straordinariamente negativo”; Dublino preferirebbe che il Regno Unito restasse nell’unione doganale.
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Regno Unito, Starmer esorta a considerare la permanenza nell’unione doganale
07 set 11:06 – (Agenzia Nova) – Keir Starmer, segretario ombra per la Brexit del Labour, il principale partito di opposizione del Regno Unito, ritiene che dovrebbe essere presa in considerazione l’ipotesi di restare a tempo indefinito nell’unione doganale europea, finche’ non ci siano prove che i nuovi accordi commerciali rendano piu’ vantaggioso uscirne. Intervistato dal “Financial Times”, il politico laborista sostiene che vale la pena valutare questa possibilita’, anche se preclude l’opportunita’ di stipulare intese con altri paesi: “Non e’ l’unica opzione finale, ma e’ un’opzione finale”, dichiara. “L’assunto che gli accordi con terze parti saranno immediatamente disponibili e compenseranno qualunque perdita di commercio con l’Ue non e’ dimostrato”, spiega Starmer, sottolineando che per controbilanciare gli effetti dell’uscita servirebbe un accordo con una potenza come gli Stati Uniti o la Cina. L’esponente del Labour osserva, inoltre, che la Gran Bretagna dovrebbe rispondere a una questione piu’ ampia sulle sue future partnership: con chi vuole allinearsi “in termini di valori”: “Dobbiamo ricordarci — esorta Starmer — che l’Europa sara’ il nostro piu’ grande partner commerciale per molti decenni e che ottenere un accordo con l’Europa dovrebbe essere il nostro obiettivo primario”. Per Sir Keir “e’ evidente” che le trattative commerciali non saranno concluse in tempo per essere implementate al momento dell’uscita, nel 2019, e non si possono assumere altri rischi per il paese; sarebbe opportuno mantenere l’attuale assetto durante il periodo di transizione perche’ la possibilita’ di negoziarne un altro in parallelo con tutto il resto e’ “molto, molto piccola”. Starmer ribadisce che il suo partito non vuole rovesciare il risultato del referendum dell’anno scorso, ma che il disegno per l’abrogazione della legge che ha introdotto il diritto comunitario nell’ordinamento nazionale non puo’ andare avanti senza modifiche: “Il governo vuole un assegno in bianco per uscire in qualunque modo ritenga giusto”, accusa.
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Germania, Wolfgang Schaeuble a tutto campo prima delle elezioni
07 set 11:06 – (Agenzia Nova) – Il ministro delle Finanze tedesco, il cristiano-democratico (Cdu) Wolfgang Schaeuble, compira’ 75 anni il 18 settembre, una settimana prima delle elezioni politiche in Germania. Il quotidiano economico “Handelsblatt” lo ha intervistato. Il ministro sostiene di voler continuare la sua carriera politica per la crescita economica che assicuri alla Germania una presenza attiva nella rete europea, offrendo stabilita’. In merito alla creazione di un sindacato bancario proposto dal capo della vigilanza della Bce, Schaeuble sostiene che i rischi siano troppo grandi per sostenere un tale progetto e che la Commissione non abbia dato indicazioni in merito a come evitarli. Il ministro non contesta il salvataggio di tre banche italiane negli ultimi mesi, sottolineando come le relative procedure siano state supervisionate anche dall’autorita’ europea per la concorrenza. Al contrario dell’Ad della Banca tedesca John Cryan, che ha criticato la frammentazione del mercato bancario tedesco, il politico della Cdu vede la costituzione del mercato bancario in banche private, casse di risparmio e banche cooperative come un punto di forza, essendo il sistema bancario un riflesso della struttura economica tedesca, fatta non solo di grandi aziende, ma anche di piccole e medie imprese. Una diversificazione e’ buona, spiega Schaeuble. Il ministro difende inoltre l’indipendenza della Bce e le decisioni prese in merito ai tassi d’interesse e agli acquisti di titoli obbligazionari, sottolineando i dati economici incoraggianti che giungono dall’eurozona. In merito alla Brexit, Schaeuble sottolinea che una parte della finanza che non sara’ in grado di rimanere a Londra si trasferira’ in Europa, preferibilmente a Francoforte, posto ideale per la vigilanza bancaria europea. Infine, Schaeuble dedica un commento al tema della digitalizzazione, un processo fondamentale, ma inevitabilmente distruttivo anche sul fronte occupazionale: la Germania, spiega il ministro in accordo con il cancelliere Angela Merkel, deve farne il suo focus per i prossimi anni, perche’ “al progresso non ci si puo’ opporre”.
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In Libia, la Francia ha ignorato l’Europa
07 set 11:06 – (Agenzia Nova) – Il quotidiano “Le Monde” fustiga la politica della Francia sulla Libia, in un editoriale che accusa il presidente Emmanuel Macron di ignorare il ruolo dell’Europa ed in particolare le esigenze che nel paese nordafricano ha l’Italia. L’editoriale, non firmato e quindi attribuibile alla direzione del “Monde”, giudica con favore il “colpo” diplomatico messo a segno da Macron, che nello scorso mese di luglio ha organizzato a Parigi un vertice tre i leader delle due principali fazioni libiche: il primo ministro Fayez Sarraj che e’ a capo del governo di “unita’ nazionale” basato a Tripoli ed e’ riconosciuto dalle Nazioni Unite, ed il maresciallo Khalifa Haftar, che dalla citta’ di Bengasi con le sue truppe controlla la regione orientale della Cirenaica. Ma aldila’ della lodevole iniziativa, che secondo il “Monde” ha comunque il merito di smuovere le acque stagnanti della drammatica crisi che ha inghiottito la Libia dopo la caduta del regime di Gheddafi, e della dubbia efficacia di quanto il vertice ha prodotto, soprattutto per quel che riguarda la prevista tenuta di elezioni politiche nel paese, e’ la sua “forma” che secondo il quotidiano parigino e’ assai carente: e la “forma”, sottolinea il “Monde”, in diplomazia e’ sostanza. Macron innanzitutto ha fatto uno sgarbo ad un partner che in Libia e’ essenziale: l’Italia, l’ex potenza coloniale che e’ in prima linea di fronte al flusso migratorio e che e’ seriamente impegnata nel paese afriano soprattutto a livello umanitario; ed ha anche scartato la Gran Bretagna, paese che deve necessariamente essere coinvolto in Libia sul piano militare. Ma soprattutto, giocando in solitario come ai tempi della diplomazia del suo predecessore Nicolas Sarkozy, l’attuale presidente francese ha ignorato ancora una volta l’Unione Europea. Si tratta di un errore, sostiene l’editoriale del “Monde”: Macron avrebbe dovuto coinvolgere direttamente il capo della diplomazia Ue, l’italiana Federica Mogherini, non fosse altro che per avere il sostegno europeo all’applicazione pratica delle dichiarazioni di principio emerse dal vertice libico a Parigi. Non ci si attende di meno da un presidente francese che spesso e volentieri dichiara la sua fede europeista: e’ troppo tardi per rimediare all’errore?
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L’Italia di fronte alla questione dell’integrazione dei migranti
07 set 11:06 – (Agenzia Nova) – “Un’accoglienza illimitata dei migranti senza la loro integrazione e’ un rischio per il futuro della societa’”: il quotidiano economico francese “Les Echos” sceglie questa frase del ministro dell’Interno italiano, Marco Minniti, per l’inizio di un reportage del suo corrispondente da Roma, Olivier Tosseri, sulla questione dell’integrazione degli immigrati davanti a cui si trova l’Italia in questo momento. Dopo il drastico calo quest’estate del numero degli sbarchi nella Penisola, non sono piu’ i salvataggi in mare ad occupare le prime pagine dei giornali italiani, ma le condizioni di accoglienza degli immigrati. Secondo Minniti, non e’ l’immigrazione in quanto tale ma e’ la mancata integrazione degli immigrati a costituire un pericolo, a partire dal rischio di creare un terreno di coltura per il terrorismo islamico: e cosi’, dopo aver constatato il successo della sua strategia per far diminuire il numero degli arrivi, il ministro degli Interni ha annunciato il lancio di un piano per favorire l’integrazione basato “sul rispetto dei valori della nostra societa’ a partire dai diritti delle donne”. Il suo piano poggia su tre pilastri: l’apprendimento della lingua italiana, la mediazione culturale per aiutare gli immigrati a comprendere la societa’ in cui vivranno ed infine la formazione per permetter loro di trovare un lavoro; il tutto in stretta collaborazione con le Regioni. Oltre alla volonta’ del governo di mettere in campo una politica “di sinistra” in periodo pre-elettorale, il piano Minniti risponde all’esigenza di sopire le tensioni provocate nel paese dalla gestione della crisi migratoria: innanzitutto le feroci polemiche seguite allo sgombero di un palazzo nel centro di Roma occupato abusivamente da centinaia di profughi africani; poi la moltiplicazione degli episodi di intolleranza, anche da parte di numerosi sindaci di Comuni che hanno rifiutato di accogliere ulteriori immigrati; ed infine i gravissimi fatti di criminalita’ commessi da stranieri che hanno riempito le cronache e suscitato inevitabili strumentalizzazioni da parte di alcuni partiti politici. Insomma in Italia c’e’ un clima deleterio, in concomitanza con l’aspro dibattito sulla legge che intende introdurre lo “jus soli” per la concessione della cittadinanza italiana. Quale che sia l’esito della battaglia su questa legge, l’Italia sta prendendo coscienza che non deve soltanto affrontare e gestire l’emergenza del dossier immigrazione, ma anche le sue conseguenze: se il paese ha gia’ dato buona prova di se’ sul primo aspetto, conclude il giornale francese, tutto resta ancora da fare per l’integrazione.
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