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Cresce l’eGovernment nell’Ue, ma poca cybersecurity e niente identificazione elettronica. La resistenza analogica italiana

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Migliora in linea di massima l’offerta di servizi di eGovernment in tutti i Paesi dell’Unione europea, negli ultimi due anni. E’ quanto confermato nella nuova Relazione diffusa dalla Commissione europea dal titolo “eGovernment Benchmark 2020”.

Dalla compilazione della dichiarazione dei redditi all’apertura di un conto bancario, alla domanda di iscrizione a un’università straniera, “il 78% dei servizi pubblici è ora disponibile online”, ha dichiarato in conferenza stampa Margrethe Vestager, Vicepresidente esecutiva per Un’Europa pronta per l’era digitale.

Un dato che ci semplifica la vita, “ma che deve andare di pari passo con un’identità elettronica che funzioni ovunque in Europa e che protegga i dati degli utenti”, ha precisato la Vestager.

Migliora l’offerta di servizi eGovernment nell’Ue, ma poca sicurezza e niente eID

E qui ci sono già due punti chiave, tra gli altri, che la Relazione ha messo ben in evidenza: se il numero di servizi online della Pubblica Amministrazione è aumentato notevolmente e se i cittadini ne fanno buon uso, grazie anche al potenziamento dell’accesso da mobile device, rimangono comunque delle criticità di non poco conto da risolvere, come la sicurezza dei dati e la possibilità per noi di utilizzare l’identità elettronica (eID).

Se da una parte la trasparenza dei servizi pubblici online (quanto sono chiare e aperte le informazioni sulle modalità di erogazione dei servizi e sul trattamento dei dati) è aumentata dal 59% al 66%, e la compatibilità con i dispositivi mobili si attesta al 76%, rispetto al 62% di due anni fa (più di 3 servizi online su 4 sono progettati per essere utilizzati su un dispositivo mobile), non si può dire la stessa cosa per la cybersecurity e i servizi eID (electronic identification).

In base a quanto riportato dal documento, solo il 20% delle URL di tutti i siti web governativi soddisfa criteri di sicurezza di base. Riguardo, invece, la diffusione dell’identità elettronica, i cittadini europeo possono utilizzare la propria eID nazionale solo per il 9% dei servizi di altri Paesi.

Su questa situazione, Thierry Breton, Commissario per il Mercato interno, ha affermato: “La crisi del coronavirus ha dimostrato quanto i cittadini facciano affidamento sui servizi pubblici online. Mentre un numero crescente di governi si adegua, dobbiamo fare un passo in più e lavorare a un’identità elettronica europea sicura”.

In Italia resiste la PA analogica

Se nell’Unione europea il 67,3% dei cittadini ha utilizzato servizi di eGovernment nell’ultimo anno, in Italia il dato non supera il 32%. Praticamente il nostro Paese è all’ultimo posto, contro dati eccellenti di Finlandia (94,4%), Estonia e Danimarca (91%).

Probabilmente agli italiani non piace la PA online o forse non piace utilizzare internet, se è vero che, secondo dati Eurostat, solo il 73% dei nostri concittadini fa un uso quotidiano della rete, collocandoci al 21° posto nell’Unione, dove in media il 79% dei cittadini accede ogni giorno a internet (fino al 92% in Olanda e Danimarca, o al 90% in Svezia e Gran Bretagna).

Ad evidenziare ulteriormente i nostri limiti nella trasformazione digitale della PA ci ha pensato l’Indice DESI 2020.

Solo il 47,8% delle amministrazioni pubbliche italiane offre la possibilità di gestire full digital l’iter dei procedimenti avviati e solo un’amministrazione su sei ha avviato un corso di formazione per i dipendenti legato all’innovazione digitale.

Altro elemento fortemente negativo è il gap digitale tra la PA del Nord e del Sud: se il livello di digitalizzazione dei servizi pubblici arriva al 70% in Veneto e supera il 62% in Lombardia ed Emilia Romagna, Abruzzo, Sicilia e Molise non superano il 30%.

C’è infine un problema di dimensioni: tra i piccoli comuni con meno di 1000 residenti, solo uno su tre (33,7%) ha interamente digitalizzato almeno un servizio al pubblico. Di poco sopra il 40% nella fascia 1.000-2.000 abitanti e al 46,9% in quelli da 2.000 a 3.000 residenti.

Di fatto, il 44,9% delle nostre amministrazioni pubbliche locali ancora protocolla documenti alla vecchia maniera, con timbri, carta e penne.

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