Il 2021 dovrà essere l’anno del riscatto dell’informazione medico-scientifica. La pandemia ha messo a nudo le approssimazioni e le leggerezze di certe narrazioni sul Covid-19 e ha evidenziato nitidamente la necessità di un maggiore equilibrio nella descrizione dei particolari di notizie riguardanti la salute dei cittadini.
Una più matura assunzione di responsabilità dovrà esserci sia da parte dei produttori di informazioni (comunicatori scientifici e giornalisti) sia da parte dei diffusori e in particolare delle piattaforme di condivisione sul web. Dovremo lasciarci alle spalle quanto accaduto quest’anno di fronte a un nemico invisibile, inizialmente rappresentato dai media con la spontaneità delle testimonianze dei protagonisti, come doveroso, ma progressivamente piegato a torsioni sensazionalistiche e spesso devastanti per la psiche degli individui.
Lo ha sottolineato nei giorni scorsi David Lazzari, Presidente dell’Ordine Nazionale degli Psicologi, parlando della variante inglese del Covid. In un’intervista ad Adnkronos, Lazzari ha dichiarato: “Angoscia e paura vengono alimentate e amplificate da un eccesso di ripetizione, da un bombardamento mediatico che genera allarmismo e timori superiori all’effettivo pericolo del virus stesso. Ed ecco che molte persone si chiudono nella propria nicchia, nel proprio mondo e non vogliono più uscire o comunque vogliono avere meno contatti possibili”.
Peraltro, il confine tra terrorismo mediatico e fake news appare sempre più sfumato. Dopo l’overdose di notizie false e di dubbia autenticità sul Covid-19, che hanno spesso generato disorientamento rispetto ai comportamenti da tenere per contenere la diffusione del virus, ora è la volta delle bufale sui vaccini. Nelle ultime settimane, complice l’auspicata accelerazione nella somministrazione delle prime dosi di vaccini in alcune parti dell’Europa e del mondo, si sono susseguite comunicazioni più o meno ufficiali sulla presunta o reale affidabilità degli stessi.
Il bilanciamento tra diritto all’informazione e tutela della salute resta alquanto problematico, considerata l’attesa messianica che circonda il vaccino anti-Covid e le reazioni che si registrano di fronte a manifestazioni di scetticismo sulla sua capacità di farci uscire dalla pandemia.
Di certo un ruolo cruciale lo giocheranno le piattaforme social, territorio di esercizio di un sano pluralismo delle idee e delle opinioni, almeno in linea teorica, ma attualmente molto determinate nel supporto a campagne di sensibilizzazione circa l’importanza di vaccinarsi non appena possibile.
Muovendosi su scala planetaria, Facebook, Twitter e gli altri social sono in grado di canalizzare i flussi informativi in una direzione predeterminata che, nel caso di specie, è quella della selezione e rimozione di contenuti ritenuti falsi o quanto meno non supportati da evidenze scientifiche e non riconducibili a fonti istituzionali.
Facebook ha fatto sapere che, nel tentativo di frenare la disinformazione on line, sta iniziando a “…rimuovere le false informazioni sui vaccini che sono state confutate dagli esperti”. In concreto, la policy del social salva almeno in linea teorica la libertà degli utenti di scrivere e condividere determinati contenuti, ma prevede la censura di tutte le pubblicità che cercano di convincere le persone a non vaccinarsi. Tali azioni si inseriscono in una nuova campagna per la salute finalizzata a diffondere notizie autorevoli sulla profilassi antinfluenzale. È contemplata, quindi, la permanenza dei post No-vax e delle discussioni sui vaccini, ma senza più la possibilità di accedere al servizio di promozione dei contenuti di Facebook.
Se gli interventi restrittivi dei colossi del web saranno contenuti entro i confini descritti, non si potrà parlare di censura ma semplicemente di valorizzazione di notizie e punti di vista suffragati da evidenze scientifiche e da ricerche di autorevoli istituzioni deputate alla difesa del diritto alla salute dei cittadini. Ove, per converso, quegli interventi straripassero rispetto alle barriere dichiarate, ci troveremmo di fronte a una soverchiante azione di compressione della libertà di espressione in Rete.
Sui vaccini esistono processi di certificazione imprescindibili, che ne comprovano l’affidabilità. Tuttavia ci si muove sempre e comunque sul terreno delle congetture, delle opinioni e delle interpretazioni. Non esistono verità assolute e un approccio dogmatico all’argomento rischia di rivelarsi fallace ed è pertanto sconsigliabile. Ecco perché sospendere il giudizio sul vaccino nell’attesa di ulteriori test, e chiarire che farlo non è un azzardo ma neppure una formalità, equivale a un atteggiamento di buon senso.
In ambito nazionale, per quanto riguarda la produzione di contenuti giornalistici sui vaccini e, in generale, sull’emergenza sanitaria che stiamo vivendo, va segnalata una novità importantissima in materia di deontologia. Il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti ha aggiornato il Testo unico dei doveri del giornalista, integrando l’art.6, che prima si intitolava “Doveri nei confronti dei soggetti deboli” e che ora s’intitola “Doveri dei confronti dei soggetti deboli. Informazione scientifica e sanitaria”. Sono stati dunque recepite le indicazioni elaborate nel “Manifesto di Piacenza” (2018) dall’Ugis (Unione giornalisti italiani scientifici), con la collaborazione della Fondazione Ordine dei giornalisti dell’Emilia Romagna.
“Il giornalista – si legge nel nuovo art.6 – evita nella pubblicazione di notizie su argomenti scientifici un sensazionalismo che potrebbe far sorgere timori o speranze infondate avendo cura di segnalare i tempi necessari per ulteriori ricerche e sperimentazioni; dà conto, inoltre, se non v’è certezza relativamente ad un argomento, delle diverse posizioni in campo e delle diverse analisi nel rispetto del principio di completezza della notizia; c) diffonde notizie sanitarie e scientifiche solo se verificate con fonti qualificate sia di carattere nazionale che internazionale nonché con enti di ricerca italiani e internazionali provvedendo a evidenziare eventuali notizie rivelatesi non veritiere; d) non cita il nome commerciale di farmaci e di prodotti in un contesto che possa favorirne il consumo e fornisce tempestivamente notizie su quelli ritirati o sospesi perché nocivi alla salute. Tali modifiche (indicate in neretto) entreranno in vigore il 1° gennaio 2021.