Non potevamo immaginare che la verifica del nostro stato del nostro avanzamento tecnologico e della sua qualità avvenisse in un momento così drammatico e soprattutto in una modalità di urgenza così tempestiva.
Di fronte alle catastrofi si fa appello a quanto si è appreso fino a quel momento, agli strumenti che si hanno a disposizione, si agisce senza più la possibilità di provare e si cerca di rispondere alle necessità, alle richieste di aiuto, agli imprevisti, cercando di fronteggiare al meglio l’impatto degli eventi drammatici e adattarsi con resilienza allo sradicamento delle nostre abitudini.
In questo cambio di rotta inaspettato gli strumenti digitali escono completamente depurati dal loro uso poco proficuo, dalle loro mode, dalla loro modalità di oggetti distraenti, futili nei diversi moniti recriminatori di adulti immigrati digitali, per immettersi in uno switch funzionale nella modalità di dispositivi non solo utili ma indispensabili per apprendere, formarsi, essere uniti nel distacco, vedersi quando il contatto vìs a vìs è impossibilitato, lavorare da casa, essere uniti tutti nell’asset progettuale con i quali erano stati creati: ovvero favorire la qualità delle nostre vite in termini relazionali, produttivi, formativi, educativi.
Il corpo, di fronte al trauma, accusa il colpo per prendere a prestito il titolo del noto libro di Van der Kolk e attiva leve motivazionali nuove tese al suo riadattamento funzionale. Da qui emergono azioni e reazioni e che verranno poi ripensate nella rielaborazione del trauma.
I tanti ragazzi chiusi nelle loro stanze con la testa china che utilizzano la tecnologia per chiudersi in un rifugio della mente ossessivo-compulsivo, interessati soltanto in apparenza a vedere foto o video su Instagram, nel momento in cui il rifugio si fa stretto, si ha paura, si ha bisogno di comprendere, si è spaventati, non riescono più a stare fermi, desiderano il contatto vero e reale con i loro amici facendoci vedere come in realtà il loro bisogno di controllo digitale sia legato in modo diretto alla timidezza dello stare insieme, alle difficoltà di essere accettati dal gruppo.
Testa china nelle stanze, sguardi furtivi nei luoghi di ritrovo come scudo difensivo delle difficoltà emotive legate alla delicata fase di transizione dall’infanzia all’adolescenza.
Sono gli stessi ragazzi a chiedere oggi il contatto diretto, a mostrare incertezze e perplessità dietro la proposta di garantire la continuità terapeutica in una fase di emergenza con sedute via Skype, perché vogliono quell’intimità del setting terapeutico che per loro, a differenza delle persone più grandi, non riesce a “bucare lo schermo” e a trasmettere il calore in un momento che, solo apparentemente, sembrano affrontare con leggerezza.
Le stanze oggi si trasformano in luoghi di apprendimento per i ragazzi che ci mostrano le loro difficoltà ad utilizzare la tecnologia in modo funzionale, che hanno paradossalmente difficoltà a connettersi con la classe virtuale ma sono divertiti dalla prodezza di insegnanti che cercano, anche loro, di garantire la continuità educativa e formativa a distanza.
Continuità educativa che dovrebbe essere garantita a tutti nella la coerenza e nella responsabilità di una scuola inclusiva in cui l’arretratezza tecnologica venga bypassata da un’uniformità culturale che dia la possibilità di avvalersi della modalità funzionale di un’informazione che supera confini e diseguaglianze.
I nodi vengono al pettine e se nelle emergenze occorre fronteggiare con resilienza l’impatto nefasto degli avvenimenti, l’analisi di quanto emerge è assolutamente doverosa per reimpostare un progetto formativo che non ci colga più impreparati.
Certamente dovremmo rivedere il nostro sistema scolastico e la centralità di un’alfabetizzazione digitale da svolgere su un terreno di competenze trasversali non solo dei ragazzi, ma anche degli adulti e delle istituzioni.
Il trade d’union di una tecnologia che supporta il vivere quotidiano in tutte le sue sfere contestuali ma che necessita sempre del cuore pulsante delle relazioni che sono a loro volta lo strumento elitario di una trasmissione educativa strutturata sul bisogno innato dell’essere umano di essere e rimanere connesso all’altro, soprattutto in momenti di bisogno e difficoltà come quello che oggi tutti stiamo vivendo.
Bibliografia
Van der kolk b. a. (2015), Il corpo accusa il colpo, Raffaello Cortina Editore,
Milano.