Booking.com sotto la lente della Corte Ue
Le clausole di restrizione sui prezzi offerti dagli hotel e gli alberghi che hanno stretto accordi con la piattaforma di prenotazione online booking.com possono creare problemi alla libera concorrenza, limitandola o addirittura ostacolandola.
Nella sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea (Ue) si sottolinea che “la fornitura di servizi di prenotazione alberghiera online da parte di piattaforme come Booking.com ha prodotto un effetto neutro se non addirittura positivo, sulla concorrenza. Tali servizi consentono, da un lato, ai consumatori, di accedere ad un’ampia gamma di offerte di alloggio e di confrontare tali offerte in modo semplice e rapido secondo diversi criteri e, dall’altro, ai prestatori di servizi alberghieri, di acquisire una maggiore visibilità”.
Clausole restrittive non necessarie, rischi per la concorrenza tra piattaforme
Nello stesso tempo, la sentenza non dimostra “che le clausole di parità, sia ampia che ristretta, della tariffa, da una parte, siano oggettivamente necessarie per la realizzazione di tale operazione principale e, dall’altra, siano proporzionate rispetto all’obiettivo perseguito da quest’ultima”.
Nel testo si specifica inoltre che “per quanto riguarda le clausole di parità ampia, si deve constatare che esse, oltre ad essere tali da ridurre la concorrenza tra le varie piattaforme di prenotazione alberghiera, comportano rischi di espulsione delle piccole piattaforme e delle nuove piattaforme dal mercato”.
Ugualmente, si legge nella nota del tribunale europeo, le clausole di parità ristretta, “per quanto esse generino, prima facie, un effetto restrittivo della concorrenza inferiore e mirino a scongiurare il rischio di parassitismo, non risulta che siano oggettivamente necessarie per garantire la redditività della piattaforma di prenotazione alberghiera”.
Secondo i giudici tedeschi le clausole restrittive sono anticoncorrenziali
Riguardo a queste restrizioni, i giudici tedeschi, senza interpellare la Corte, avevano già statuito che le clausole di parità (ristretta o ampia) della tariffa utilizzate dalle piattaforme di prenotazione alberghiera erano in contrasto con il diritto della concorrenza, in particolare, dell’Unione. L’autorità federale tedesca garante della concorrenza era già giunta alla stessa conclusione.
È stata proprio booking.com ha chiamare in causa la Corte europea per esprimersi sul caso per confermare la compatibilità delle clausole di parità, sia ampia che ristretta, della tariffa, rispetto al diritto dell’Unione in materia di concorrenza.
Le clausole
Al momento, secondo la Corte Ue, queste clausole non sono da considerarsi necessarie e anzi potrebbero anche danneggiare la concorrenza nel mercato interno, ma allo stesso tempo non sono state considerate anticoncorrenziali ai sensi delle leggi dell’Unione.
Di fatto, le clausole di parità della tariffa non possono, in linea di principio, essere qualificate come «restrizioni accessorie» ai fini del diritto della concorrenza dell’Ue.
Booking.com offre ad oggi più di 28 milioni di unità totali inserite, che includono oltre 6,6 milioni di case, appartamenti e altri posti unici dove soggiornare.
Le strutture alberghiere pagano una commissione a booking.com per ogni prenotazione effettuata dai viaggiatori tramite la piattaforma. Benché tali strutture possano avvalersi di canali di vendita alternativi, è loro vietato offrire pernottamenti a prezzi inferiori a quelli offerti sulla piattaforma.