La sentenza

Corte d’Appello di Roma. A. La Rosa (Studio Previti), la videosharing platform è responsabile per la violazione di copyright

di Alessandro La Rosa (Studio Previti) |

Per la prima volta la Corte d’Appello di Roma si è espressa sul tema, più volte affrontato dalla giurisprudenza nazionale, della responsabilità dei fornitori di piattaforme che consentono anche la visualizzazione di video caricati dagli utenti

La Corte d’Appello di Roma, Sezione Impresa, con sentenza 2833/2017 del 29.4.2017 ha integralmente confermato la sentenza di primo grado n. 8437 emessa dal Tribunale delle Imprese di Roma il 15.3.2016 (già commentata qui) ed ha rigettato l’impugnazione proposta dalla TMFT Enterprises, LLC, gestore del noto portale digitale americano break.com (brand della Defy Media: http://www.defymedia.com/).

La Corte d’Appello di Roma ha chiarito che le rivendicazioni di RTI (società del Gruppo Mediaset) vanno qualificate in termini di illecito aquiliano per cooperazione colposa mediante omissione del gestore del portale Break.com (non più raggiungibile dall’Italia) ed ha anzitutto confermato la competenza del giudice italiano a decidere la controversia (competenza contestata dalla società californiana).

Per la prima volta la Corte d’Appello di Roma si è espressa sul tema, più volte affrontato dalla giurisprudenza nazionale, della responsabilità dei fornitori di piattaforme che consentono anche la visualizzazione di video caricati dagli utenti, ed ha confermato il consolidato orientamento del Tribunale delle Imprese di Roma (si vedano i casi Break Media; Megavideo; Kewego).

E’ stato quindi chiaramente affermato che il regime di limitazione della responsabilità dei fornitori di servizi di hosting previsto dalla Direttiva 2000/31/CE è applicabile solo ed unicamente ai soggetti che forniscono un supporto di tipo meramente tecnico ai fini del caricamento di contenuti (in questo caso video) a richiesta degli utenti e che l’attività di gestione dei detti contenuti, soprattutto se si traduce nella associazione agli stessi di spazi pubblicitari, esclude in radice qualsiasi possibilità di considerare tali operatori meramente “neutrali” rispetto alle informazioni ed ai dati memorizzati:

-“in concreto l’attività svolta dall’odierna appellante non può ritenersi limitata alla sola fornitura di un supporto tecnico per consentire agli utenti di accedere alla piattaforma digitale”;

– tale attività è “risultata ben più complessa ed articolata di una attività di tipo neutro, automatico e meramente tecnico , tenuto conto delle pluriarticolate attività svolte dal provider nella gestione dei contenuti immessi sulla propria piattaforma digitale”;

– “si tratta di attività tutt’altro che avulse dalla conoscenza e valutazione dei contenuti presenti sulla detta piattaforma digitale” che include la “cernita dei contenuti audio video da collegare alla pubblicità in base ai dati di maggiore o minore visione, così palesandosi l’interesse diretto di detto provider alla natura ed al tipo di contenuti esistenti nella propria piattaforma digitale per l’anzidetto scopo diretto proprio per evidenti ragioni di tornaconto economico”.

Quindi, conformemente a quanto costantemente stabilito dalla Corte di Giustizia UE, è stato chiarito che la presenza di un “evoluto sistema operativo” funzionale alla migliore operatività della piattaforma, é “incompatibile con l’attività passiva tipica dell’hosting provider”, soprattutto in presenza di un editorial team per la predetta selezione dei video caricati con la finalità del loro sfruttamento commerciale pubblicitario”.

In presenza dei suddetti elementi fattuali, la responsabilità del provider per la diffusione non autorizzata di opere di terzi è ben configurabile il concorso del provider nell’illecito direttamente posto in essere da chi immette le opere di terzi sulla piattaforma in assenza dell’autorizzazione degli aventi diritto. Nessuna limitazione di responsabilità quindi e, al contrario, quando le informazioni memorizzate integrano “fatti illeciti e violazione dei diritti di terzi”, in assenza di attività meramente passiva, è certamente “ravvisabile un’attività volontariamente finalizzata a concorrere o cooperare col terzo nell’illecito”.

In particolare, la conoscenza dell’illecito da parte del provider attraverso apposite diffide –in questo caso inviate dall’operatore televisivo RTI prima del giudizio- ha determinato il sorgere “in capo al provider (di) un preciso obbligo di intervento protettivo e di rimozione dei contenuti illeciti segnalati,”. Al riguardo, “non può sorgere dubbio in merito all’insorgenza di un obbligo attivo di intervento da parte del provider per impedirne la prosecuzione” dell’illecito stante “la effettiva conoscenza, in seguito a segnalazione di RTI, della illiceità dei contenuti lesivi del diritto d’autore di quest’ultima”.

Infine, sostiene la Corte capitolina, in capo al titolare dei diritti non sussiste alcun obbligo normativo di informare la piattaforma di videosharing comunicando i singoli URL per la localizzazione specifica dei brani audiovideo pubblicati in violazione dei propri diritti.

In presenza di violazioni come quelle oggetto di causa, l’operatore ben può ritenersi sufficientemente informato attraverso la comunicazione dei titoli delle opere televisive in questione, soprattutto qualora i brani video abusivamente diffusi recano, tutti, i marchi identificativi del titolare dei diritti:

tale dato tecnico (URL ndr) non coincide con i singoli contenuti lesivi presenti nella piattaforma digitale, né tale dato tecnico costituisce presupposto indispensabile per provvedere all’individuazione dei medesimi contenuti, ma sopra tutto, e ciò che è più rilevante, nessuna base giuridico-normativa può ricollegarsi a siffatta pretesa collaborativa di Break Media, posto che l’unico dato di fatto decisivo in ordine all’insorgenza della responsabilità del provider (in caso di segnalazione degli illeciti) è quello della effettiva conoscenza”;

Condizione assolutamente soddisfatta nel caso di specie in relazione alle due diffide inviate da RTI, con i titoli identificativi dei programmi diffusi arbitrariamente, peraltro facilmente individuabili proprio in virtù dell’intimo collegamento del marchio collegato a tali prodotti audiovisivi, tali cioè da non lasciare alcun margine di incertezza sulla loro individuazione, senza necessità di altri dati tecnici che, come detto, non trovano necessità di essere forniti dal titolare del diritto leso né alcuna normativa di settore, tanto meno nelle numerose decisioni giurisprudenziali ampiamente richiamate dalla stessa appellante”.

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