Sono passati già due anni. Per 14 anni ci siamo incrociati saltuariamente sul lavoro; poi per un anno i rapporti sono stati quotidiani, sette giorni su sette, anche al di fuori del contesto lavorativo, grazie anche alle passioni comuni e ai medesimi modi di intendere e vivere la vita, trascorsa da coetanei su binari paralleli. Molte le emozioni condivise. La sua disponibilità, la sua semplicità, il suo comportamento sempre composto e gradevole, il tono di voce sempre pacato, il suo talento sempre accompagnato da competenza e delicatezza. Ma anche le fragorose risate per le frivolezze e il sarcasmo. Come pochi sapeva ascoltare, e in modo comprensivo mi è stato vicino, incoraggiandomi in un periodo difficile. Ciao Faustone, mi manchi ma sei sempre presente. Il tuo saluto al mattino, intorno alle 7:30, al bar, accompagnato a un gran sorriso è un’immagine che terrò perennemente a mente, un’emozione che mi rimarrà nel cuore.
Questo è un articolo che io e Fausto De Felici abbiamo scritto circa due anni e mezzo fa e a cui ho apportato qualche piccolo ritocco (*) solo per attualizzarlo senza stravolgerne il senso………………
Ricordate la trasmissione televisiva Pronto, Raffaella? Condotta da Raffaella Carrà, andò in onda tra il 1983 e il 1985. La chiave del successo del programma fu l’inedito format di interazione diretta con il pubblico attraverso le telefonate in diretta, le lettere e i giochi, come il gioco dei fagioli, dove si doveva indovinare il numero di fagioli contenuti in un barattolo di vetro, molto difficile da indovinare, tanto che di puntata in puntata si creava sempre una suspense maggiore, sia per l’aumentare del montepremi sia per l’avvicinarsi al momento ineluttabile della soluzione dell’enigma.
Sulla falsariga del gioco televisivo, anche noi vi formuliamo una domanda: quante sono oggi le leggi in vigore in Italia? Viviamo in un Paese nel quale nessuno è in grado di rispondere con certezza.
Non c’è Istituzione – Presidenza della Repubblica, Parlamento e Governo inclusi – che sia in grado di dire con certezza quanti atti aventi forza di legge – e destinati, dunque, ad incidere sulla vita dei cittadini e dello Stato medesimo – siano in vigore in questo momento.
Secondo Normattiva, un progetto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Senato e della Camera dei Deputati – in collaborazione con la Corte Suprema di Cassazione, l’Agenzia per l’Italia Digitale e l’Istituto poligrafico della Zecca dello Stato – che ha l’obiettivo specifico di classificare e rendere accessibile al cittadino la normativa vigente, nel 2009, in Italia, la massa normativa statale dei provvedimenti numerati (leggi, decreti legge, decreti legislativi, altri atti numerati), dalla nascita dello Stato unitario può essere valutato in “circa 75.000″ unità. Un numero immenso solo “stimabile” ma non definibile con certezza al quale, peraltro, per avere un quadro di tutte le norme che regolano la vita di un cittadino e di un’impresa, occorrerebbe aggiungere quelle di matrice regionale, i provvedimenti comunali oltre ai regolamenti di un’interminabile sequenza di enti ed Autorità di regolamentazione. Non esiste a disposizione della Presidenza della Repubblica, del Governo e del Parlamento una banca dati, né un altro qualsiasi strumento di ricerca che consenta ad un cittadino o ad un’impresa di conoscere quanti e quali siano gli atti dei quali si debba tener conto prima di porre in essere una qualsiasi condotta o avviare una qualsiasi attività.
Le leggi sono le fondamenta della vita di qualsiasi società e guardando alla nostra da questa caotica prospettiva, vien da chiedersi come possa lo Stato reggersi ancora in piedi e vien voglia di gridare al miracolo etico, morale e culturale italiano. È una situazione democraticamente insostenibile, il Paese rischia di morire prigioniero di un labirinto regolamentare nel quale cittadini ed imprese non riescono ad orientarsi. Forse la riforma dello Stato dovrebbe cominciare proprio da qui.
Quindi ci chiedevamo: che relazione c’è tra le nostre leggi e la posizione dell’Italia nei ranking internazionali?
Secondo Raffaele Squitieri, (Presidente della Corte dei conti fino a giugno 2016), le leggi, anziché aiutare, ostacolano l’opera dei controllori perché “l’eccesso di legislazione ha fatto sì che nel sistema si inserisca la corruzione “. L’Italia è un paese “attrezzato sul piano delle strutture per combattere la corruzione, “ma siamo caduti nel paradosso opposto, e le norme servono a ingessare il sistema”, citando poi Tacito, perfettamente in linea: “Moltissime sono le leggi quando lo Stato è corrotto”.
Anche i segnali che arrivano dall’Europa non sono confortanti: “L’Ue ha i fari puntati sull’Italia per il problema corruzione”.
Molti di voi avranno letto o ascoltato Luca Attias affermare in diverse occasioni che l’Italia è sul fondo di una buona parte dei ranking internazionali. Per chi non lo avesse fatto si segnala questa https://www.youtube.com/watch?v=HIERyjne5K8. una intervista rilasciata alcuni mesi fa proprio a key4biz in cui il CIO parla anche del DESI (Digital Economy and Society Index) e del ranking di Transparency International.
Il DESI (Digital Economy and Society Index) è l’indice elaborato dalla Commissione Europea per valutare lo stato di avanzamento degli Stati membri dell’UE verso un’economia e una società digitali attraverso cinque indicatori:
- connettività
- capitale umano
- uso di internet
- integrazione della tecnologia digitale
- servizi pubblici digitali.
Nell’ultimo anno si sono registrati progressi in particolare nell’ambito dei servizi pubblici digitali, così come nell’ambito della trasparenza e della disponibilità dei dati aperti: l’Italia si classifica infatti sesta nel ranking europeo.
L’usabilità e l’interoperabilità dei servizi rappresentano le priorità sulle quali lavorare affinché i servizi digitali messi a disposizione dalle pubbliche amministrazioni possano essere sempre più efficienti e facilmente fruibili.
È in questa direzione che si sta orientando il lavoro dell’Agenzia per l’Italia Digitale: i principali progetti stanno entrando nella fase attuativa, la strategia sarà caratterizzata da specifiche regole di usabilità per migliorare l’esperienza dell’utente e da standard di interoperabilità per rendere i servizi digitali offerti dalle PA ecosistemi interconnessi.
Il CPI, indice di percezione della corruzione (in inglese Corruption Perception Index), è un indicatore statistico pubblicato da Transparency International a partire dal 1995 con cadenza annuale, che viene utilizzato per creare una graduatoria dei paesi del mondo ordinata sulla base “dei loro livelli di corruzione percepita, come determinati da valutazioni di esperti e da sondaggi d’opinione“. L’organizzazione definisce la corruzione come “l’abuso di pubblici uffici per il guadagno privato”.
Nella ventunesima edizione del CPI per l’anno 2015 l’Italia si è classificata al 61° posto nel mondo, scalando di 8 posizioni il ranking globale rispetto all’anno precedente.
Quanto vale il CPI? E come viene misurato?
L’Indice di Transparency misura la corruzione percepita nel settore pubblico aggregando dati di 12 fonti diverse (almeno tre per ogni nazione) e per l’Italia, tra gli altri, utilizza i sondaggi realizzati dal World Economic Forum e dal World Justice Project. A essere intervistati non sono i cittadini, ma uomini del mondo dell’economia ed esperti nazionali. “La corruzione generalmente prevede attività illegali intenzionalmente occultate, che vengono scoperte sono grazie a scandali, inchieste e processi” spiega Transparency in una nota: “Non esiste un modo affidabile per calcolare i livelli assoluti di corruzione di Paesi o territori sulla base di dati empirici oggettivi”. Comparare il numero di tangenti scoperte o il numero di processi non sempre è una soluzione efficace “perché mostra solo quanto procure, tribunali o media sono efficaci nell’investigare e portare allo scoperto la corruzione”. Perciò, per Transparency, misurare la percezione resta il metodo più attendibile per comparare i livelli di corruzione tra diverse nazioni. Noi purtroppo continuiamo a percepire il nostro paese con una forte corruzione nel settore pubblico. Bisogna anche tenere presente che le rilevazioni sono state effettuate prima della maxi operazione denominata “mafia capitale” a Roma, altrimenti saremmo classificati ancora più in basso. Per questo siamo dell’opinione che si stimi la percezione e non il dato reale della corruzione, in quanto un dato reale non esiste o, meglio, non è calcolabile. La corruzione è un reato difficile, se non impossibile, da rilevare nella sua interezza soprattutto a causa dell’elevatissima cifra oscura, cioè la parte sommersa del fenomeno. Si parla infatti di “percezione” proprio perché è difficile quantificare la corruzione reale: si tratta di confronti fra paesi che possono avere una diversa definizione di corruzione, leggi diverse e diverse capacità di prevenzione e di repressione del fenomeno.
Il punteggio assegnato al nostro Paese denota un lieve miglioramento passando da 43 a 44 su 100.
Tuttavia l’Italia rimane ancora in fondo alla classifica europea seguita solamente dalla Bulgaria e dietro altri Paesi generalmente considerati molto corrotti come Romania e Grecia.
Al vertice e in coda alla classifica la situazione rimane pressoché invariata: Somalia e Corea del Nord si confermano anche quest’anno come i due Paesi più opachi, mentre la Danimarca è nuovamente campione di trasparenza.
La domanda che ci siamo fatti è: siamo proprio sicuri che in queste classifiche l’Italia occupi il posto che le spetta?
Qualcuno è riuscito ad affermare che “…per il nostro Paese c’è un’inversione di tendenza rispetto al passato”. Affermazione alquanto eccessiva e, a nostro avviso, anche spropositata: il nostro Paese è penultimo nella lista dei 28 membri dell’Unione Europea dove si piazzano meglio sia Grecia che Romania mentre fa peggio la sola Bulgaria.
I dati del 2015 riflettono l’opinione anche di potenziali investitori esteri; negli ultimi 24 mesi l’Italia è rimasta ferma al palo, sorpassata – tra i paesi dell’Ue – persino da quelli considerati molto corrotti, nonostante gli interventi normativi degli ultimi anni (la legge Severino) e l’impegno profuso dall’Autorità nazionale anticorruzione guidata da Raffaele Cantone, la nostra cattiva reputazione continua a godere nel mondo di ottima salute.
Il recupero di un paio di posti nella classifica di Transparency, sbandierato come un clamoroso exploit da un telegiornale nazionale, fu attribuito alla nostra fresca e vigorosa legge anticorruzione.
Nel panorama globale, in una scala da zero (gravemente corrotto) a 100 (assolutamente pulito), il nostro paese con i suoi 43 punti si colloca tra le nazioni al mondo che non raggiungono neppure la sufficienza in trasparenza continuando a mantenere una posizione da ultima della classe nel vecchio continente.
A fronte di tutto ciò la considerazione, che combacia con quella dell’Ing. Attias, è che noi inganniamo le classifiche come il DESI e Transparency International, poiché gli organismi internazionali credono che in Italia, come in qualsiasi altro Paese, le leggi vengano fatte rispettare. È invece nostra usanza che la maggior parte delle leggi restino sulla carta mutandole in sole dichiarazioni d’intenti.
Senza contare poi che molte norme in Italia non sono solo inapplicate, ma sono chiaramente inapplicabili; ci si preoccupa solo della copertura economica e nessuno ne analizza la fattibilità organizzativa.
Anche in questo caso quindi è richiesto un veloce cambiamento culturale basato sull’etica. Da qualche anno alcune organizzazioni, anche con milioni di sostenitori, svolgono un lavoro quotidiano serrato per diffondere la cultura dell’anticorruzione in Italia, ma non sempre le Istituzioni hanno risposto in maniera incisiva all’appello dei cittadini. Dei punti individuati per contrastare efficacemente la corruzione nel nostro Paese, molti sono ancora incompleti, farraginosi o addirittura ignorati dall’agenda politica e lo si nota soprattutto dai social network.
È facile notare che gli Stati più virtuosi sono accomunati da alcune caratteristiche fondamentali: alto livello di libertà di stampa, accesso alle informazioni di bilancio in modo che i cittadini sappiano dove e come viene speso il denaro pubblico, alti livelli di integrità tra le persone al potere, magistratura indipendente e che non fa differenza tra ricchi e poveri.
Guerre, malgoverno, Istituzioni, forze di polizia e magistratura inefficaci, mancanza di indipendenza degli organi di stampa sono invece problemi diffusi nei Paesi più corrotti. Che il CPI 2015 ci serva per aggiornare la nostra analisi di coscienza per poi passare immediatamente dalla percezione all’azione. Solo coi fatti potremo risalire la classifica; la strada è ancora molto lunga e in salita, ma con la perseveranza i risultati si possono raggiungere. Una società civile più unita su obiettivi condivisi e aventi come focus il bene della “res pubblica” apporterà necessariamente un contributo fondamentale al raggiungimento di traguardi importanti.
La battaglia per legalità e trasparenza è resa meno difficile dalla rivoluzione digitale; anche su questo fronte occorre insistere con decisione per fare della macchina pubblica un attore trasparente, imparziale e rispettoso delle regole del mercato.
Questa la ricetta. Per valutare i risultati occorrerà attendere le pagelle dei prossimi anni.
(*) Dati attuali
I dati del 2016 vedono l’Italia indietro nel digitale; nella classifica DESI occupiamo il 25esimo posto su 28. Il punteggio assegnato è 0,404, 71% è la percentuale di famiglie europee che ha accesso alla banda ultralarga. 75 su 100 è il rapporto tra gli abitanti Ue che hanno un abbonamento a banda larga. Dal confronto sull’innovazione l’Italia esce perdente, nonostante sia uno dei Paesi dove il tasso di digitalizzazione cresce di più.
Nel 2017: l’Italia rimane al 25esimo posto. Per quanto riguarda l’utilizzo delle tecnologie digitali da parte delle imprese e l’erogazione di servizi pubblici online, l’Italia si avvicina alla media. Rispetto all’anno scorso ha fatto progressi in materia di connettività, in particolare grazie al miglioramento dell’accesso alle reti NGA.