Prima di entrare nel merito delle più recenti iniziative della Commissione europea per valutarne l’impatto sui consumatori, è necessario sottolineare l’infondatezza del luogo comune secondo cui accesso ai contenuti online e tutela della proprietà intellettuale sarebbero esigenze tendenzialmente antinomiche. Non è così, non c’è contrasto fra fruibilità dei contenuti e diritto d’autore, come non ce n’è, su un piano più generale, fra libertà e diritti. E ciò non solo dal punto di vista giuridico o da quello etico, ma anche sotto il profilo dell’opportunità. La protezione della proprietà intellettuale è infatti indispensabile se non si vogliono depauperare le fonti stesse della creatività, il cui inaridimento comporterebbe, in ultima analisi, una rarefazione dei contenuti disponibili e quindi un danno per gli stessi consumatori.
L’Agcom ha sostenuto questo principio fin dall’inizio del percorso che ha portato all’adozione del regolamento per la tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica. In una prima fase non sono mancate le polemiche e le incomprensioni, ma col tempo si è fatta strada – anche grazie all’esperienza applicativa del regolamento – la consapevolezza che i diritti degli utenti e la libertà della rete non avevano davvero nulla da temere.
Ai fini della tutela dei legittimi interessi dei consumatori bisogna concentrarsi, piuttosto, sulla promozione dell’offerta legale dei contenuti online. Ne danno prova i recenti sviluppi del settore musicale: a un incremento dell’offerta legale hanno fatto seguito il calo della pirateria e la crescita economica del comparto dopo anni di stagnazione, se non di contrazione, dei ricavi. Il regolamento Agcom per la tutela del diritto d’autore persegue, infatti, anche questa finalità. Bisogna però tener conto che, ovviamente, nei confronti dell’offerta legale l’Agcom non dispone di strumenti autoritativi, come per l’enforcement, ma deve limitarsi a svolgere soltanto un’opera di moral suasion.
Venendo agli sviluppi della normativa europea in materia di copyright, pur non volendo svolgere il ruolo di difensore d’ufficio della Commissione non posso non rimarcare che uno degli obiettivi prioritari indicati nella Comunicazione del maggio 2015, con la quale è stata annunciata la Strategia europea per il Digital Single Market, era quello di garantire ai consumatori l’”accesso a servizi, musica, film ed eventi sportivi sui loro dispositivi elettronici ovunque in Europa e indipendentemente dal paese in cui si connettono”.
Un primo passo in questa direzione è stato fatto con l’approvazione, il 14 giugno scorso, del regolamento sulla portabilità transfrontaliera nel mercato interno dei servizi che mettono a disposizione contenuti online, le cui norme – che saranno applicabili dal 20 marzo 2018 – renderanno possibile l’accesso ai contenuti anche ai consumatori che si trovano temporaneamente in uno Stato membro diverso da quello di residenza.
A sua volta, anche la proposta di direttiva sul diritto d’autore nel mercato unico digitale, presentata nel settembre 2016, si propone – com’è detto nella relazione – lo scopo di rendere più semplice l’accesso transfrontaliero dei consumatori a contenuti protetti dal diritto d’autore, attraverso una serie di misure destinate a facilitare le procedure di concessione delle licenze e di acquisizione dei diritti.
C’è quindi un quadro normativo europeo – in parte già varato, in parte in divenire – che si fa carico, in linea generale, dell’esigenza di assicurare ai consumatori la fruibilità dei contenuti in tutto il territorio dell’UE.
Entrando nello specifico della proposta di direttiva sul diritto d’autore, le preoccupazioni manifestate dagli utenti si appuntano soprattutto sulle norme che estendono agli editori le tutele già riconosciute ad altri titolari di diritti connessi, prevedendo, in particolare, che essi possano richiedere un compenso per le utilizzazioni delle opere su cui abbiano acquisito diritti.
Personalmente non penso che questa misura possa pregiudicare i consumatori. Al contrario, ritengo che garantire agli editori una remunerazione per i loro investimenti potrà consentire loro di incrementarli, con ciò contribuendo ad aumentare i contenuti a disposizione degli utenti.
Né credo che sarebbe saggio per i consumatori sposare il punto di vista delle piattaforme. Bisogna prendere atto, piuttosto, che l’utilizzo in rete dei contenuti prodotti dall’industria culturale genera profitti a vantaggio di operatori che non fanno parte della filiera, impoverendo – come s’è detto all’inizio – le fonti della creatività, a tutto danno degli stessi consumatori.
Mi ha meravigliato, quindi, leggere commenti critici sulla disposizione dell’art. 13 della proposta di direttiva, che fa obbligo agli Internet Service Provider di adottare misure volte a impedire la messa a disposizione sui loro servizi di contenuti identificati dai titolari come protetti da diritto d’autore.
Il ruolo delle piattaforme è enormemente cresciuto negli ultimi anni, tanto da far apparire del tutto obsoleto il regime della loro responsabilità, risalente alla direttiva e-commerce del 2000. È trascorsa da allora un’era geologica in termini di progresso della tecnologia e di cambiamento degli assetti del mercato. Come non vedere che oggi le piattaforme influenzano e condizionano grandemente le scelte dei consumatori attraverso i loro algoritmi? E questo senza che ad esse sia fatto carico di una responsabilità di tipo editoriale, come quella che grava invece sugli operatori dei mercati tradizionali i quali offrono servizi sostanzialmente analoghi.
In una indagine conoscitiva conclusasi nel maggio 2015, la Commissione trasporti, poste e telecomunicazioni della Camera dei deputati ha messo in luce efficacemente questa contraddizione. Anche la Commissione europea ha mostrato di esserne consapevole, sottolineando, nella già citata Comunicazione del maggio 2016, che l’attuale regime di responsabilità è stato concepito in un’epoca in cui le piattaforme non avevano certo l’importanza attuale. Tuttavia, nella stessa Comunicazione la Commissione ha concluso, sorprendentemente, nel senso di voler conservare tale regime, solo temperandolo con un approccio di tipo settoriale. Approccio che ha prodotto – sia nella proposta di direttiva sul copyright, sia in quella di direttiva sui servizi di media audiovisivi – misure parziali e inadeguate a risolvere il problema delle piattaforme nel suo complesso.
Né sembra realistico puntare solo sull’autoregolamentazione, come pure fanno sia la recente Comunicazione sulla revisione intermedia della strategia per il mercato unico digitale, sia gli orientamenti per le piattaforme online – presentati dalla Commissione il 28 settembre scorso – volti a rafforzare la prevenzione e la rimozione dei contenuti illeciti che incitano all’odio, alla violenza e al terrorismo. L’esperienza passata in materia di autoregolamentazione non è granché incoraggiante, come è stato dimostrato, da ultimo, dall’applicazione del Codice di condotta in materia di hate speech sottoscritto da Facebook, Microsoft, Twitter e Youtube.
Peraltro, in occasione della presentazione degli orientamenti del 28 settembre la stessa Commissione europea ha precisato che nei prossimi mesi valuterà – alla luce delle azioni intraprese dalle piattaforme – l’eventuale necessità di misure legislative. Il mio auspicio è non solo che questo effettivamente avvenga, ma che si metta da parte l’approccio settoriale e si ponga mano a una riforma sistematica che adegui finalmente il quadro normativo alla mutata realtà delle tecnologie e del mercato.