Il Parlamento Europeo ha approvato la proposta di direttiva sul copyright nel mercato unico digitale. Finalmente! Lo scrivo perché sia chiaro sin da subito da che parte sto, rispetto al dibattito che sta infiammando le prime pagine dei giornali e i primi snippet reperibili sui vari motori di ricerca.
Il dibattito si snoda principalmente intorno agli articoli della proposta di direttiva, che riguardano la condivisione on line di pubblicazioni di carattere giornalistico e di contenuti protetti dal diritto d’autore, e che impongono ai prestatori di servizi della società dell’informazione di dotarsi di una licenza (pagando le relative royalties agli autori, editori e quant’altro) e di impedire la condivisione illegale di contenuti protetti sulle proprie piattaforme.
Il presupposto fondamentale per arrivare a questa presa di posizione è il riconoscimento del fatto che i prestatori di servizi di condivisione di contenuti online fanno comunicazione al pubblico e sono dunque qualcosa di più di semplici e asettici intermediari tecnici.
Gli estimatori della proposta di direttiva ritengono che le scelte fatte siano la sola via per ridare vita alla creatività delle persone, alle diversità culturali dell’Europa e alla sostenibilità economica delle imprese che investono nella produzione di contenuti, contro i monopoli dei giganti del web. Tra gli estimatori mi piace citare Mogol, oggi presidente della SIAE, autore di molti dei più bei testi della canzone italiana.
E’ importante leggere l’intera proposta di direttiva, comprese le premesse iniziali, per capire come l’obiettivo sia quello di scardinare le posizioni di potere dei colossi e ridare spazio ai diritti dei produttori di contenuti. Infatti: gli obblighi previsti per le grandi piattaforme non si applicano alle piccole e micropiattaforme, né a biblioteche, istituti culturali e di istruzione; i link accompagnati da singole parole potranno essere condivisi liberamente; giornalisti e artisti potranno esigere una remunerazione.
I critici sostengono invece che l’introduzione della “link tax” e l’obbligo di prevedere un meccanismo di filtraggio per i contenuti caricati dagli utenti siano strumenti di censura, che minano gravemente la libertà di informazione e l’indipendenza della rete.
Chi sostiene questa posizione, che richiama le affermazioni di principio delle origini del web, non sa o non vuole tenere conto del fatto che la rete ha avuto un’evoluzione ben diversa delle promesse iniziali.
Si pensava che la rete avrebbe eliminato le barriere di entrata nel campo dell’informazione, della musica, della cultura, ma questo nei fatti non è avvenuto.
Gli Stati Uniti hanno permesso che i fornitori di servizi, intermediari indispensabili per distribuzione dei contenuti sul web, come Google, Facebook, YouTube (sempre Google), Apple, crescessero a dismisura e senza regole, diventando monopolisti dei vari contesti in cui operano, con un potere che nessuna impresa potrebbe avere nel mondo reale.
La grande diffusione dei contenuti è nelle mani di questi colossi del mondo digitale, che ottengono ricavi multimiliardari grazie al giro d’affari di pubblicità che deriva dalla condivisione di contenuti protetti dal diritto d’autore sulle loro piattaforme.
Non solo, di fatto sono i colossi del mondo digitale che decidono le regole secondo le quali alcuni contenuti sono premiati con la maggiore visibilità. E anche in questo caso ciò che viene premiato non è tanto la qualità, quanto la possibilità che il contenuto ha di richiamare l’attenzione e di ottenere un numero di visualizzazioni elevato (vere o false che siano), tale, ancora una volta da consentire un incremento delle entrate pubblicitarie.
In sostanza la crescita dei fenomeni monopolistici nella circolazione dei contenuti ha limitato le possibilità di crescita degli autori e ha viziato l’informazione.
Mi pare difficile ritenere che le previsioni della direttiva possano danneggiare gli autori, che possono tranquillamente decidere di far circolare liberamente le loro opere, ciò che eviterebbe ai provider di pagare alcunchè, oppure stipulare degli accordi che permettono la riproduzione dei contenuti, magari con qualche provider diverso da quelli oggi dominanti. In altre parole, i produttori di contenuti possono trovare il modo di riguadagnare terreno.
Mi pare anche singolare preoccuparsi del possibile controllo da parte dei provider, dato che, come ben si sa, i colossi del web già controllano ogni click, ogni contenuto, ogni utente, per “migliorare la sua esperienza sul web” o per “presentare contenuti su misura”.
Certamente il testo della proposta di direttiva presenta delle criticità e le misure previste sono di difficile attuazione, come inevitabilmente avviene per tutti i provvedimenti normativi che affrontano argomenti complessi, nei quali vi è una componente tecnica importante e nei quali vi sono molteplici interessi di cui tenere conto.
Certamente il mercato può assestarsi in maniera tale da imporre di fatto agli autori di acconsentire alla libera circolazione, per ragioni di visibilità per obblighi contrattuali con gli editori, o per altre ragioni. Ma di certo questa direttiva può cambiare qualcosa negli attuali equilibri, e questo giustifica la virulenza delle battaglie che si stanno conducendo e che si continueranno a fare.
E’ interessante però notare come l’approvazione della proposta di direttiva sul copyright da parte del Parlamento Europeo si affianchi all’irrogazione delle pesanti sanzioni inflitte a Google dalla Commissione Europea per abuso di posizione dominante, l’ultima delle quali risalente a luglio 2018. Entrambi sono segnali che forse la vecchia Europa – la patria dei diritti – si sta svegliando dal torpore in cui sembrava caduta.
Per concludere: questo articolo è pubblicato con licenza di riproduzione gratuita del contenuto; chissà se questo sarà sufficiente a farlo circolare.