Il titolare di un’opera abusivamente diffusa sul web attraverso i servizi offerti da un fornitore di accesso alla rete (“mere conduit”) può agire per ottenere l’emissione di un’ingiunzione che imponga a quest’ultimo di impedire la “prosecuzione di tale violazione” e per ottenere il rimborso “delle spese di diffida e delle spese legali”.
Questi i principi espressi dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea che, con la sentenza resa il 15 settembre 2016, si è pronunciata su un procedimento (già qui commentato) avente ad oggetto la possibilità di considerare responsabile un professionista che, nell’ambito della propria attività commerciale, forniva ai clienti, gratuitamente e senza restrizioni, una rete Wi-Fi che veniva poi sfruttata da terzi per diffondere abusivamente un brano musicale di cui Sony Music Entertainment era titolare esclusiva.
Nella pronuncia i Giudici comunitari hanno innanzitutto premesso che il carattere apparentemente gratuito del servizio fornito non può essere ritenuto, di per sé, rilevante al fine di determinare l’inapplicabilità della disciplina prevista dalla Direttiva 2000/31/CE. Secondo la Corte, infatti, è vero che “i servizi della società dell’informazione ai quali si riferisce l’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva 2000/31 sono soltanto quelli forniti normalmente dietro retribuzione […] tuttavia, non è possibile inferirne che una prestazione di natura economica effettuata a titolo gratuito non possa mai costituire un ‘servizio della società dell’informazione’ […]. Infatti, la remunerazione di un servizio fornito da un prestatore nell’ambito della sua attività economica non è necessariamente versata dai soggetti che ne fruiscono […] Ciò si verifica, in particolare, nel caso in cui una prestazione effettuata a titolo gratuito sia fornita da un prestatore a fini pubblicitari” (punti 40 – 42).
Passando poi ad analizzare le questioni più squisitamente attinenti la disciplina applicabile ai fornitori del servizio di accesso alla rete e, in particolare, andando a verificare se per beneficiare delle esenzioni di responsabilità previste dalla Direttiva 2000/31/CE sia necessario che i “mere conduit provider” agiscano immediatamente “non appena vengono a conoscenza di un’informazione illecita, al fine di rimuoverla o di disabilitarne l’accesso”, nella sentenza è stato precisato che “il legislatore dell’Unione ha voluto distinguere i regimi applicabili alle attività di semplice trasporto (‘Mere Conduit’), di memorizzazione di informazioni nella forma detta ‘caching’ e in quella di hosting, dato che tali attività sono disciplinate da disposizioni diverse di tale direttiva” (punto 56).
Muovendo da tale constatazione, nella sentenza è stato dunque rilevato che “l’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva 2000/31 non subordina l’esenzione di responsabilità ivi prevista in favore dei fornitori di accesso a una rete di comunicazione” (punto 59) al fatto che questi ultimi provvedano immediatamente a rimuovere o disabilitare l’accesso ai contenuti della cui natura illecita siano venuti a conoscenza: condizione a cui è invece subordinata l’applicabilità dell’esenzione di responsabilità riconosciuta in favore degli hosting provider.
Nella pronuncia viene anche chiarita la ratio di tale differenziazione: “il servizio fornito dal prestatore di servizi di hosting […] si caratterizza perché dura nel tempo. Di conseguenza, detto prestatore di servizi può venire a conoscenza del carattere illecito di talune informazioni da esso immagazzinate in un momento successivo a quello in cui si procede a detto immagazzinamento e nel quale esso è ancora in grado di intraprendere un’azione volta a rimuoverle o a disabilitarne l’accesso […] invece, nel caso di un fornitore di accesso a una rete di comunicazione, il servizio di trasporto delle informazioni da esso prestato di norma non si prolunga nel tempo, cosicché, dopo aver trasmesso informazioni […] spesso non è in grado di intraprendere, in un momento successivo, azioni volte a rimuovere dette informazioni o a disabilitarne l’accesso” (punti 62 – 63).
La Corte ha tuttavia chiarito che la normativa comunitaria non priva di ogni genere di tutela il titolare dei diritti lesi e che anche il fornitore del servizio di connettività può essere coinvolto attivamente nelle attività di contrasto alla pirateria. Secondo i Giudici comunitari, infatti, “l’art. 12, paragrafo 1, della Direttiva 2000/31” non osta a che “un soggetto leso dalla violazione dei suoi diritti su un’opera […] chieda che sia inibita la prosecuzione di tale violazione nonché il pagamento delle spese di diffida e delle spese legali nei confronti di un fornitore di accesso ad una rete di comunicazione i cui servizi siano utilizzati al fine di commettere la violazione stessa, nel caso in cui tali domande siano volte, oppure siano conseguenti, all’adozione da parte di un’autorità o di un organo giurisdizionale nazionale di un’ingiunzione che vieti a detto fornitore di permettere la prosecuzione di siffatta violazione” (punto 72).
Infine la Corte, si è pronunciata in merito alla possibilità di imporre “a un fornitore di accesso ad una rete di comunicazione […] a pena del pagamento di una penalità, di impedire a terzi di rendere disponibile al pubblico […] una specifica opera protetta dal diritto d’autore” (punto 80).
In proposito, i Giudici comunitari, nell’ottica di assicurare “un giusto equilibrio” dei diritti e degli interessi contrapposti hanno ribadito la possibilità di adottare “un’ingiunzione che lasci a un fornitore di accesso a una rete di comunicazione l’onere di determinare le misure concrete da adottare” per impedire la lesione dei diritti di un terzo. Nello specifico, secondo la Corte, “le misure adottate dal destinatario di un’ingiunzione devono avere l’effetto di impedire o, almeno, di rendere difficilmente realizzabili consultazioni non autorizzate dei materiali protetti e di scoraggiare seriamente gli utenti di Internet che ricorrono ai servizi del destinatario di tale ingiunzione dal consultare tali materiali messi a loro disposizione” (punto 95).