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Copyright, la riforma Ue e lo scoglio del Governo italiano

La riforma del copyright in Europa si avvia verso quello che potremmo definire “l’ultimo miglio”. Nei prossimi giorni e settimane è atteso il voto del Parlamento europeo e quindi quello del Consiglio, ma secondo molti, a questo punto, la vera sfida da affrontare per il testo approvato mercoledì è il modo in cui i singoli Paesi dell’Unione europea (Ue) lo recepiranno.

Il timore è che gli sforzi fatti per giungere l’accordo possano essere messi in discussione da eccezionalità e discrezionalità riconosciute dal testo stesso ai singoli Governi, a partire da quello italiano, contrario al documento uscito fuori dal negoziato franco-tedesco.

Una decina di giorni fa, proprio in relazione della direttiva europea sul copyright, il Ministro dello Sviluppo economico e vicepremier, Luigi Di Maio, dichiarava: “Stiamo chiedendo in sede europea il cambiamento dei celebri articoli 11 e articolo 13 della direttiva. La rete deve essere mantenuta libera e neutrale perché si tratta di un’infrastruttura fondamentale per la libera espressione dei cittadini oltreché per il sistema Italia e per la stessa Unione Europea”.

Aggiungendo che “la priorità per l’Italia è l’eliminazione della link tax e dei filtri diretti o indiretti sui contenuti caricati dagli utenti delle piattaforme, insieme ad un allargamento delle eccezioni al diritto d’autore che consenta lo sviluppo della data economy. A queste condizioni l’Italia è pronta ad aderire ad una proposta che dovesse arrivare dalla Presidenza rumena”.

La proposta che è giunta non è però piaciuta al nostro Governo.

A rafforzare la posizione contraria alla riforma del titolare del Ministero dello Sviluppo, si legge sul sito dell’agenzia AgCult, ci ha pensato ieri il sottosegretario ai Beni culturali, con delega in materia di diritto d’autore, Gianluca Vacca, il quale ha dichiarato: “L’accordo raggiunto sulla riforma del copyright costituisce un pericoloso passo in avanti verso l’inaccettabile limitazione della libertà in rete, a danno soprattutto degli utenti e dell’innovazione. Internet deve rimanere libera e neutrale, deve garantire libertà di espressione e d’informazione, continueremo perciò a dare battaglia per fermare questa brutta riforma”.

Abbiamo sempre detto – ha precisato Vacca – che la normativa sul diritto d’autore è anacronistica e va adeguata, ma il compromesso raggiunto, tra l’altro ambiguo e lacunoso, rappresenta la soluzione sbagliata. Non sono state superate le criticità degli articoli 11 e 13, rimangono per esempio i filtri ai contenuti su internet, una misura contro la quale come Italia ci siamo sempre battuti in quanto lesiva dei diritti fondamentali degli utenti del web. Ma non è finita, la riforma deve passare ancora attraverso il voto del Parlamento europeo in plenaria e lì contiamo che il testo venga bocciato come già è successo a luglio. La sacrosanta tutela dei creatori non può attuarsi a danno di tutti i cittadini

Un punto di vista molto diverso, ad esempio, da quello espresso dal Presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, che soddisfatto per l’accordo raggiunto scriveva ieri: “Le nostre nuove regole mirano a mettere fine all’attuale far-west digitale, garantendo giusta remunerazione ai creatori e difendendo autori, giornalisti, scrittori e tutti gli artisti, musicisti, commediografi, designer e stilisti”.

A questo punto la domanda che molti si pongono è: abbiamo rafforzato la protezione del copyright per tutti gli artisti, gli scrittori, gli autori, gli editori, i giornalisti, ma fino a che punto sarà garantita?

A poche ore dall’accordo sulla riforma è già tempo di dubbi e timori, perché molto dipenderà dall’atteggiamento dei singoli Paesi.

L’accordo, infatti, riconosce ai Governi un certo potere di discrezionalità nell’applicare la direttiva, molta di più di quanta ne voleva riconoscere il Parlamento europeo: da una parte c’è la libertà di attuazione per i Governi, dall’altra la questione degli accordi di licenza lasciate alle parti.

Lo stesso relatore del testo votato mercoledì, Alex Voss, ha precisato post voto che avrebbe preferito una minore discrezionalità.

Di fatto, la direttiva conta molto sulla libera contrattazione, grazie anche agli obblighi meno stringenti per le imprese, soprattutto le più piccole (fatturato non superiore ai 10 milioni di euro l’anno, traffico non superiore ai 5 milioni di utenti al mese).

Staremo ora a vedere quali saranno le mosse del Governo Conte, ma una cosa è certa: fuori dalla direttiva non si difendono le libertà di internet e dei suoi utenti, si fa solo il gioco dei giganti del web come YouTube, Facebook e Google News.

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