Riceviamo e volentieri pubblichiamo l’intervento del Professor Roberto Caso in occasione del Workshop organizzato a Roma dall’Isimm ‘Informazione e creatività nell’ecosistema digitale. Quale approccio regolatorio per lo sviluppo?’
Lo scopo dell’intervento è mettere in evidenza la schizofrenia del processo di evoluzione del copyright dell’UE. La Commissione, il Parlamento e la Corte di Giustizia viaggiano su binari paralleli e… non convergenti.
Mentre il Parlamento e la Corte sembrano, pur con le contraddizioni tipiche di un processo evolutivo complesso, essersi resi conto che urge un ripensamento profondo del copyright volto a dare maggiore flessibilità al diritto di esclusiva bilanciandolo con diritti fondamentali quali la libertà di espressione del pensiero e dell’informazione nonché a limitare la portata monopolistica del diritto d’autore, la Commissione mette in cantiere, nell’ambito delle politiche volte alla costruzione di un Digital Single Market, la possibilità che siano istituiti nuovi diritti connessi in capo agli editori finalizzati a dare a questi ultimi il controllo esclusivo su “link” e “snippet” della stampa digitale.
Un’iniziativa che sorprende per almeno tre ordini di ragione.
a) L’istituzione di nuovi diritti connessi sembra non solo porsi in frontale contrasto con la tradizione del copyright e con il diritto internazionale, ma anche essere priva di un “rationale” economico;
b) Le recenti esperienze ispiratrici dell’iniziativa (le leggi tedesca e spagnola) hanno avuto effetti disastrosi. Nessuno sembra aver tratto vantaggio dalle iniziative (meno che mai i fruitori di Internet), mentre si sono sperperate ingenti risorse pubbliche per mettere in piedi leggi che moltiplicano i costi di transazione, distorcono il gioco della concorrenza e non producono né innovazione né progresso della conoscenza.
c) L’iniziativa contraddice l’intenzione (declamata) della stessa Commissione di investire sull’Open Science. Nel “Competitiveness Council” dello scorso 27 maggio l’UE dichiara di voler spingere sulla scienza aperta sbandierando l’ambizioso obiettivo di rendere gratuitamente accessibili online dal 2020 tutti i “risultati” della ricerca scientifica finanziata con fondi pubblici nonché di rendere i dati della ricerca accessibili online e riusabili a meno che non ostino ragioni attinenti alla proprietà intellettuale e alla privacy.
Quest’ultimo punto disvela l’inconcludenza schizoide delle politiche della Commissione UE. Non è possibile praticare la scienza aperta senza rendere maggiormente flessibile il copyright.
Da questa prospettiva, nell’ottica di una riforma organica del copyright – che probabilmente non vedrà mai la luce – occorrerebbe trovare spazio per norme che diano maggiore libertà di espressione e di informazione agli scienziati nonché ai cittadini interessati alla scienza.
Accanto al rafforzamento delle eccezioni e limitazioni in ambito scientifico (ad es. la creazione di un’eccezione a compasso allargato sul Text and Data Mining) occorre istituire, sulla scorta dei modelli tedeschi e olandesi recentemente entrati in vigore, un diritto indisponibile in capo all’autore scientifico a riprodurre, distribuire e mettere a disposizione del pubblico le opere già pubblicate.
Tale diritto costituisce la leva necessaria per praticare la c.d. via verde all’Open Access ovvero la “ripubblicazione” su archivi istituzionali e disciplinari ad accesso aperto di quanto precedentemente pubblicato nei canali tradizionali. In questo senso si muove una recente proposta articolata dall’Associazione Italiana per la Promozione della Scienza Aperta (AISA).