Il percorso resta in salita ed accidentato, ma questa mattina la gestazione della normativa per un riequilibrio dell’economia del web, a favore dei creativi ed in fondo (riteniamo) degli utenti stessi (almeno nel lungo periodo), ha registrato un significativo passo avanti: in Italia, è stata l’Ansa, alle ore 13.15 a battere sul tempo – come spesso accade – le altre fonti di informazioni, diramando un breve dispaccio: “L’Eurocamera approva la riforma sul copyright. Testo passato con 348 sì, 274 no e 36 astenuti. Il Parlamento europeo ha approvato le nuove regole sul diritto d’autore. Il via libera dall’aula di Strasburgo all’accordo provvisorio raggiunto a febbraio sulle nuove norme sul rispetto del diritto d’autore in Internet è passato con 348 sì, 274 no e 36 astenuti. Le nuove norme Ue sul copyright, che includono salvaguardie alla libertà di espressione, consentiranno a creatori ed editori di notizie di negoziare con i giganti del web”.
Da segnalare che gli eurodeputati di Lega e Movimento 5 Stelle hanno votato compatti contro la Direttiva europea sul copyright. A favore della riforma Forza Italia, la stragrande maggioranza del Partito Democratico (solo 3 contrari, Brando Benifei, Renata Briano e Daniele Viotti), e gli eurodeputati italiani di Ecr (Conservatori e Riformisti Europei). Tra gli altri contrari, Elly Schlein e Sergio Cofferati (S&D), Marco Affronte (Verdi), Eleonora Forenza e Barbara Spinelli (Gue). Astenuta l’ex M5S Giulia Moi.
Interessante osservare le reazioni: primo politico a manifestare plauso è stata, un minuto dopo il dispaccio Ansa, la parlamentare di Forza Italia Elvira Savino, che ha dichiarato “chi crea contenuti si vedrà riconosciuto il diritto d’autore anche su internet. No alla pirateria, sì alle imprese culturali e creative italiane”.
Un minuto dopo un altro esponente di Forza Italia, l’europarlamentare Giovanni La Via: “la censura viene in questo caso citata a sproposito, è una fake news: si tratta piuttosto di riconoscere i diritti d’autore ai loro legittimi proprietari, modificando una normativa ‘vecchia’ che finisce oggi per avvantaggiare i soli colossi tech, a scapito di autori, cantanti, creativi, giornalisti. Con questa Direttiva intendiamo tutelare i piccoli, ridimensionando il profitto e il potere di giganti come Google o YouTube, che praticamente a costo zero si appropriano e diffondono a portata di un click”.
Segue, nell’arco di pochi attimi, il commento di Riccardo Levi, Presidente dell’Associazione Italiana Editori – Aie (“una bella pagina e una grande giornata per la cultura e l’Europa”), del Presidente del Parlamento Antonio Tajani (“riforma equilibrata, protegge autori e non imbavaglia web, finalmente stop al Far West”), del senatore del Partito Democratico Roberto Rampi (“il testo approvato oggi dal Parlamento Europeo sul diritto d’autore è equilibrato e utile a tutelare il lavoro intellettuale e creativo di migliaia di donne e di uomini”), dell’ex Ministro piddino per i Beni e le Attività Culturali Dario Franceschini (“una giusta battaglia per tutelare il diritto d’autore e la libertà creativa che ha sempre visto l’Italia in prima fila… sino al voltafaccia di questa maggioranza, oggi tra gli sconfitti da un voto storico”). Seguono Enrico Gasbarra, membro della Commissione Giuridica dell’Eurocamera, la Capo Delegazione del Pd Patrizia Toia…
Alle ore 13.22, Ansa rilancia la dichiarazione di Wikipedia Italia, che è tornata in chiaro, dopo l’oscuramento messo in atto alla vigilia del voto sulla riforma del copyright (un atto di legittima protesta, ma – a parer nostro – discretamente aggressivo e non granché democratico): “nonostante tutti i nostri sforzi e le proteste della comunità di Wikipedia, di tantissime associazioni e di milioni di cittadini europei, la Direttiva Copyright è passata così come proposta. Grazie a tutti quelli che ci hanno aiutato a cercare di ribaltare un risultato che era segnato”, ha spiegato una nota di Wikimedia, la Fondazione a cui Wikipedia fa capo.
Seguono poi decine e decine di dispacci di agenzia, ma va segnalato che, nella prima ora dopo la votazione, non emerge nessuna dichiarazione di esponenti politici che hanno votato contro: imbarazzo, prudenza, pentimento?!
Alle 13.57, sempre l’Ansa riporta una diplomatica (e ambigua) reazione di Google (fonte imprecisata): “la Direttiva sul Copyright è migliorata, ma porterà comunque ad incertezza giuridica e impatterà sulle economie creative e digitali dell’Europa. I dettagli contano e restiamo in attesa di lavorare con politici, editori, creatori e titolari dei diritti mentre gli Stati membri dell’Ue si muovono per implementare queste nuove regole”. Come interpretare quel… “i dettagli contano”?! Senza dubbio, come l’auspicio che, nelle fasi di recepimento da parte degli Stati membri, il gigante del web possa ancora… intervenire. Va segnalato che è anche latente il rischio che Paesi come l’Italia (restando al governo la maggioranza grillino-leghista) rinuncino ad applicare il pacchetto di regole di garanzia che arriva dal Parlamento europeo.
Senza dimenticare uno scenario possibile, ovvero che, dopo le elezioni del Parlamento Europeo di maggio, gli equilibri attuali vengano completamente sconvolti, e che la Direttiva approvata oggi possa essere cancellata da un successivo provvedimento normativo…
Si ricorda che il testo era stato presentato dalla Commissione Ue a settembre del 2016, e spetterà ora agli Stati membri, nelle prossime settimane e mesi, approvare la decisione del Parlamento Ue. L’accordo deve essere ancora formalmente approvato dal Consiglio Europeo ed entrerà in vigore due anni dopo la pubblicazione sulla “Gazzetta Ufficiale” dell’Unione Europea. Insomma, il percorso è ancora lungo ed irto di ostacoli.
Esulta naturalmente la Società Italiana Autori Editori (Siae), nella persona del Presidente Giulio Rapetti in arte Mogol: “giornata storica per i creatori di contenuti. Dopo cinque anni di discussioni e nonostante una massiccia campagna di disinformazione orchestrata dai giganti del web, oggi il Parlamento Europeo ha adottato la Direttiva… è una grande notizia, hanno vinto la ragione e la cultura sui soldi”. Mogol precisa; “non impone una tassa, ma riconosce un giusto compenso… in Siae abbiamo 90mila iscritti, almeno 20mila guadagnano meno di mille euro al mese senza contributi, e spesso sono all’inizio della loro carriera…”. Una delegazione Siae in trasferta a Strasburgo ha addirittura seguito “live” i lavori del Parlamento in seduta plenaria a Strasburgo: c’erano il Vice Presidente Siae Salvo Nastasi, il Direttore Generale Gaetano Blandini, il Maestro Nicola Piovani, ed una vivace delegazione di studenti del Conservatorio di Musica Santa Cecilia, dell’Accademia Silvio D’Amico e del Centro Sperimentale di Cinematografia, partiti ieri in pullman da Roma, per sostenere simbolicamente con la loro presenza l’approvazione della Direttiva. Nicola Piovani ha dichiarato, sostenendo la Direttiva: “non è qualcosa che va a vantaggio dei pochi autori ricchi, ma va a vantaggio dei tanti, tantissimi autori che ricchi non sono, e dei tanti giovani autori che hanno diritto a vedere riconosciute le opere del proprio ingegno, per piccolo che sia, perché questa è una premessa perché esista la libertà degli autori, la ricchezza e la diversità dei contenuti”.
Prima voce contraria, sulle agenzie stampa, quella di Massimiliano Dona, Presidente dell’Unione Nazionale Consumatori (Unc): “una pessima notizia. La riforma approvata dalla Ue, purtroppo, non riesce a coniugare la sacrosanta tutela del diritto d’autore con la facilità di accesso alle news, salvaguardando la libertà della rete ed il diritto dei consumatori ad un’informazione libera ed accessibile… Avevamo scritto ai parlamentari europei, denunciando che la previsione di una responsabilità assoluta per le piattaforme di condivisione online, sarebbe comunque andata a colpire il pluralismo e la diffusione delle notizie, rischiando di trasformarle in censori”.
Soltanto a distanza di un’ora, emerge la voce di un esponente politico dell’avversa fazione, in questo caso un rappresentante del Governo guidato da Giuseppe Conte, nella persona del Sottosegretario ai Beni ed Attività Culturali, il grillino Gianluca Vacca, che ha la delega Mibac anche in materia di diritto d’autore: “è la risposta sbagliata a un giusto problema. Si è persa una grande occasione per fare una riforma equilibrata e al passo con i tempi… Nessuno mette in dubbio che fosse necessario intervenire per superare una normativa anacronistica, che occorra garantire adeguata tutela ai contenuti frutto di ingegno e di creatività e giusto compenso a chi ne detiene i diritti di sfruttamento, ma c’era la possibilità di trovare altri equilibri, senza incidere sulla libertà della Rete. La strada scelta, con l’approvazione di un testo che anche nell’ultima versione presenta evidenti criticità, è pericolosa e insidiosa per più motivi”. Il Sottosegretario ripropone le tesi di coloro che hanno avversato questa versione della Direttiva: “preoccupa una riforma che impone alle piattaforme controlli preventivi per i contenuti da caricare online, penalizzando chi non può onorare questo obbligo, e con il chiaro rischio di censura e di limitazione degli usi leciti dei contenuti stessi. Una limitazione destinata a colpire gli utenti finali, ma anche gli stessi creatori di contenuti, laddove saranno penalizzati da errori dei sistemi di controllo. E preoccupa una riforma che, indubbiamente, favorisce i grandi gruppi editoriali a scapito delle realtà più piccole, visto che gli aggregatori di notizie saranno interessati a stringere accordi soprattutto con i primi. Insomma, era doveroso intervenire ma lo si è fatto con un approccio restrittivo, che mette a rischio la libertà di espressione in Rete. La Rete deve invece restare libera. La sacrosanta tutela dei creatori non può attuarsi a danno di tutti i cittadini”.
Altro esponente del Governo manifesta parere critico, il Sottosegretario all’Interno Carlo Sibilia, anch’egli esponente del Movimento 5 Stelle: “ieri Wikipedia Italia è stata completamente oscurata in segno di protesta per il passaggio al Parlamento Europeo della discussa riforma sul copyright. Oggi il Parlamento Europeo, con l’appoggio di Pd e Forza Italia, ha approvato la Direttiva che impone ulteriori oneri di licenza ai siti web che raccolgono e organizzano le notizie rischiando così di colpire in modo rilevante la libertà di espressione e la partecipazione online”.
Prende poi posizione ufficiale anche il gruppo parlamentare del M5S, con una dichiarazione dei componenti grillini della Commissione Politiche Ue di Montecitorio: “la Direttiva sul copyright, così come è stata approvata oggi, mina fortemente la libertà di espressione sul web. L’idea di limitare il diritto all’informazione e alla partecipazione online, imbavagliando la rete, è pericolosa e preoccupante e ci vede radicalmente contrari. La Direttiva sul copyright votata oggi è la chiara dimostrazione che le istituzioni dell’Unione Europea sono lontane anni luce dalle esigenze dei cittadini. Ecco perché, attraverso il voto di maggio, auspichiamo che il vento del cambiamento rinnovi presto e dalle fondamenta le istituzioni europee”.
E qui ci fermiamo, perché sicuramente nel pomeriggio di oggi martedì 26 marzo si registreranno… fiumi di parole.
Nessuna presa di posizione del Ministro per i Beni e le Attività Culturali Alberto Bonisoli. E nessuna presa di posizione da parte di esponenti della Lega Salvini.
Va osservato – in chiave squisitamente mediologica – che il rapporto tra “favorevoli” e “contrari”, almeno nell’analisi della ricaduta sui dispacci di agenzia, è comunque di almeno 9 ad 1, fatto 10 il totale delle pubbliche dichiarazioni.
Le tesi di coloro che hanno combattuto la Direttiva sono rappresentate in modo efficace dall’avvocato Guido Scorza, Responsabile degli Affari Regolamentari Nazionali ed Europei del Team Digital della Presidenza del Consiglio, che ha dichiarato, con la sua abituale lucidità: “abbiamo perso tutti. A rischio il pluralismo nell’informazione. Oppure, nella migliore delle ipotesi, ci sarà un caos di leggi nazionali”. Scorza prospetta due scenari. Il migliore: “nel migliore dei casi, quando tra due anni, la Direttiva genererà 27 leggi diverse in giro per l’Europa, il suo effetto sull’industria editoriale e quella dei contenuti sarà prossimo allo zero”. Il peggiore: “Nel peggiore, ci risveglieremo in un’Europa in deficit di pluralismo dell’informazione e con le grandi piattaforme per la condivisione dei contenuti prodotti dagli utenti, trasformate in novelle televisioni che trasmettono solo contenuti prodotti da qualche centinaio di editori in tutto il mondo”. E, ancora, “il migliore degli scenari si può avverare perché non esiste uno straccio di studio economico sull’impatto della Direttiva, e nessuno sa se e quanto di più editori e titolari dei diritti guadagneranno di più”. E, ancora: “il peggiore degli scenari, perché di fatto si sono trasformati Google & c. in editori e ora toccherà a loro decidere quali contenuti pubblicare e quali no. Oggi non hanno nessun obbligo di fare accordi, ma solo di rimuovere se la pubblicazione è illecita. Domani, dove non avranno accordo, essendo un loro obbligo, rimuoveranno in maniera quasi automatica attraverso i filtri perché altrimenti pagheranno loro”. Riteniamo le tesi di Scorza veramente… estremiste, più che radicali.
La tematica resta comunque senza dubbio controversa. Altri accurati analisti, come il collega mediologo Michele Mezza, ritengono che “la norma europea che doveva tutelare i produttori di contenuti si sta rivelando una trappola mortale che assicurerà in eterno più monopolio dei padroni delle piattaforme” (vedi “Key4biz” del 21 marzo 2019, “Google, 4 miliardi di link da rimuovere per tutelare il copyright: dopo il danno la beffa”).
Analisi della ricaduta mediale a parte, riteniamo che si debba riflettere, in modo serio ed equilibrato: la riforma va senza dubbio nella direzione di un riequilibrio dei rapporti di forza, che si caratterizzano da anni per una oggettiva asimmetria a favore degli “over-the-top”.
Si tratta oggettivamente – al di là dell’abusata metafora – di una vittoria di Davide contro Golia.
Il rischio paventato da coloro che non hanno sostenuto il testo è questione più “di principio”, piuttosto che dinamica ancorata alla realtà dei fatti, ovvero all’economia del web.
In effetti, in linea teorica, la Direttiva potrebbe ridurre, seppur in minima parte, la “infinita libertà” di internet, ma non si può sostenere che abbia una funzione censoria, o che determini conseguenze realmente onerose o dannose per gli utenti.
In sostanza, infatti, la Direttiva cerca semplicemente di imporre un minimo di regole – a beneficio anzitutto degli autori e degli editori (e quindi degli utenti, almeno nel lungo periodo) – a fronte di una situazione di sostanziale enorme anarchia, ovvero di una apparente libertà… di saccheggio.
E che “anarchia” corrisponda a “democrazia” sarebbe ardita tesi, anche per i militanti più sfegatati del “libero web”.
E che dire di un argomento tabù, qual è la fruizione indiscriminata di pornografia che il “libero” web consente anche ai minori?! Una tematica delicata e scabrosa, che sembra incredibilmente rimossa dal dibattito politico e dalla sensibilità istituzionale. Qualcuno vuole avere il coraggio di studiare le conseguenze di una piattaforma psichicamente “criminogena” ed anarcoide come YouPorn sullo sviluppo di fanciulli ed adolescenti?! L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni tace, il Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza brilla per la sua totale assenza. Altro che… libero web!
Tornando a… Davide e Golia, chi redige queste noterelle studia da anni l’economia del web, con particolare attenzione alla creatività (si rimanda al pionieristico studio IsICult realizzato per Act e Mediaset nel 2011, “Italia: a Media Creative Nation. Il contributo delle industrie audiovisive allo sviluppo socio-economico delle nazioni”), ed è dimostrabile che la “grande rivoluzione” di internet non ha determinato un rafforzamento del tessuto economico delle industrie culturali, né ha contribuito a garantire condizioni di redditività minimamente decenti agli autori ed ai creativi, che vedono saccheggiate le proprie opere e risorse a vantaggio di un uso indiscriminato di contenuti liberamente offerti in rete.
Il mito della rivoluzionaria gratuità del web va scardinato, perché rientra anch’esso nelle “fake news” della retorica e della demagogia del digitale salvifico.
Quando il Presidente della Siae Mogol rimarca che, su oltre 90mila iscritti alla Siae, oltre 20mila autori guadagnano meno di 1.000 euro al mese (e che dire di coloro che non sono nemmeno iscritti alla Siae?!), conferma – con la nuda verità dei dati oggettivi – la tesi del progressivo depauperamento e della diffusa proletarizzazione che una asimmetrica economia del web finisce per determinare. Certo, qualche centinaio di “youtuber” magari riesce a guadagnare danari sufficienti per una dignitosa esistenza (ed “uno su mille ce la fa” – parafrasando Gianni Morandi – e finanche si arricchisce), ma il web produce prevalentemente un esercito di neo-poveri, anche nell’ambito del sistema culturale ed artistico.