Sono passati due giorni dall’annuncio dell’avvio dell’iter legislativo per la riforma del copyright nell’Unione europea (Ue). Il provvedimento è passato alla Commissione giuridica del Parlamento europeo con 14 voti favorevoli e 9 contrari.
Tra le voci sotto accusa c’è sicuramente l’articolo 11, o della “Protezione delle pubblicazioni di carattere giornalistico in caso di utilizzo digitale”.
In esso, molti professionisti del web hanno riscontrato una potenziale minaccia alla libertà di espressione degli utenti. Subito ribattezzato “Link tax”, o tassa sui link, l’articolo si pone come obiettivo il rafforzamento del mercato unico digitale a partire da una maggiore tutela dei contenuti online (soprattutto editoriali).
Ad oggi, chiunque può caricare contenuti editoriali protetti da diritto d’autore senza nessun tipo di autorizzazione, senza licenza insomma. Per questo, gli eurodeputati hanno messo nero su bianco che anche le piattaforme online devono essere ‘responsabilizzate’ sul tema copyright, provvedendo ad attivare dispositivi di controllo e monitoraggio in tempo reale dei contenuti illecitamente offerti in rete, perchè protetti da diritto d’autore, molto spesso dagli stessi utenti.
Con l’articolo 11 si vuole far pagare alle piattaforme e gli aggregatori del web la licenza per la pubblicazione di tali contenuti protetti da copyright. Gli stessi link sono soggetti a tale nuova impostazione giuridica, evidenziandone l’integrazione nella proprietà intellettuale.
Ad esempio, posto che la proposta di legge passi il voto del Parlamento europeo atteso per i primi di luglio, Google Italia si troverebbe costretta a pagare una tassa di licenza per i link ai contenuti editoriali che di volta in volta comparirebbero nelle pagine di ricerca.
Va ricordato, infatti, che la Commissione ha stabilito che sarà ogni singolo Paese membro dell’Unione a stabilire i criteri per l’applicazione del provvedimento, una volta passato a legge Ue.
Cosa che in prima battuta potrebbe favorire la nascita di 28 diverse applicazioni del testo, ma in seconda spingerebbe di sicuro le piattaforme al rispetto della norma base, quella più dura stabilita da Strasburgo, per evitare ogni rischio di incappare in severe sanzioni.
In parole povere, ogni volta che pubblichiamo un link, questo crea un collegamento ad un contenuto editoriale, mostrandone anche un’anteprima che consente al pubblico del web di capire subito a cosa si riferisce.
Oltre al titolo, quindi, c’è anche una breve descrizione del contenuto, anche chiamata “snippet”.
Lo scopo dello snippet e del titolo è rappresentare e descrivere al meglio ogni risultato e spiegare in che modo è correlato alla query dell’utente. Gli snippet vengono creati automaticamente, in base ai contenuti della pagina. Loro scopo è mettere in risalto i contenuti della pagina più attinenti alla ricerca specifica dell’utente. Ciò significa che per una stessa pagina potrebbero essere mostrati snippet diversi a seconda della ricerca.
Secondo gli editori questa nuova misura potrebbe garantire maggiore tutela dei contenuti, il che significa anche valorizzare e rilanciare le industrie creative e culturali, difendere gli investimenti, mantenere posti di lavoro o crearne di nuovi.
Altre voci, invece, ben più critiche, da una parte vedono una grande occasione per gli editori di fare profitti sul lavoro degli aggregatori e delle piattaforme, mentre dall’altra la misura potrebbe andare a favorire solo i grandi editori, a scapito dei piccoli.
Se ad esempio, sempre Google (ma anche Facebook, Twitter, Microsoft e altri giganti del web), di fatto il più grande ed utilizzato motore di ricerca al mondo, decidesse di pagare per pubblicare gli snippet, sicuramente raccoglierebbe i link degli editori più prolifici (è possibile che la tassa sia relativa al totale dei link pubblicati), quindi più grandi.
Se, invece, Google decidesse di non pagare nessuno e chiudere i battenti, a rimetterci sarebbero comunque solo i piccoli editori, che non avrebbero più modo di sfruttare l’evidenza assicuratagli dal web.
In ultima analisi, secondo i detrattori della proposta di legge, a rimetterci sarebbero gli stessi comuni utenti, che addirittura non potrebbero più pubblicare i famosi e simpatici ‘meme’, perché modificare immagini, gif e video altrui a fini ludici potrebbe diventare molto più complicato e soggetto a sanzioni di varia natura.
C’è il pericolo, infine, che la stessa cosa possa accadere per la musica, a cominciare dai remix.