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COP27, l’accordo che non piace a nessuno e il nodo cinese

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Nel documento finale presentato alla COP27 si conferma l’obiettivo di rimanere sotto l’aumento di 1,5°C, di ridurre l’impiego di carbone per produrre energia elettrica e di istituire il fondo “Loss and damage” per ristorare i Paesi più vulnerabili ai cambiamenti del clima. La Cina non vuole più essere inserita tra i Paesi in via di sviluppo.

COP27, un mezzo fallimento?

Si è chiusa la COP27 di Sharm el Sheikh in Egitto e nella notte su domenica è stato approvato il documento finale su un accordo di massima per l’edizione 2022 della Conferenza delle parti sul clima. Un testo che non è piaciuto a nessuno e che tutti, anche il nostro ministro dell’Ambiente, Pichetto Fratin, hanno definito deludente o poco efficace.

Si parla, tra le altre cose, di mantenere il riscaldamento globale entro gli 1,5°C di aumento rispetto ai livelli preindustriali, che poi è quanto stabilito nella COP26, di ridurre l’impiego di carbone per generare energia elettrica e di accelerare la transizione alle fonti energetiche rinnovabili, ma soprattutto di raddoppiare gli investimenti nella decarbonizzazione e di accrescere il fondo “Loss and damage”, per , per risarcire i Paesi più vulnerabili delle perdite e i danni causati dal cambiamento climatico antropogenico.

“Dobbiamo ridurre drasticamente le emissioni ora, e questo è un tema che questa Cop non ha affrontato. Un fondo per i loss and damage è essenziale, ma non è una risposta alla crisi climatica che spazza via una piccola isola dalla mappa, o trasforma un intero paese africano in un deserto. Il mondo ha ancora bisogno di un passo da gigante sull’ambizione climatica. La linea rossa che non dobbiamo superare è la linea che porta il nostro pianeta oltre il limite di 1,5 gradi di temperatura”, ha dichiarato il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, in un messaggio per la chiusura della Cop27 di Sharm el-Sheikh.

Soprattutto, ha senso parlare di rimanere sotto 1,5°C di aumento della temperature media globale rispetto alla media dell’era preindustriale, quando ormai la comunità scientifica ha già decretato che stiamo viaggiando sui +2/+2,4°C (alcuni sostengono +2,8°C) entro la fine del secolo?

Senza un rafforzamento delle politiche adottate entro la fine del 2020, secondo l’IPCC, si prevede che le emissioni di gas serra continuino ad aumentare portando a un riscaldamento globale medio che raggiungerebbe +3,2°C entro il 2100.

Timmermans: “Alcuni hanno messo barriere non necessarie”

Quello che abbiamo davanti non è abbastanza da costituire un passo in avanti per la popolazione del pianeta. Non porta sufficienti sforzi aggiuntivi da parte degli inquinatori maggiori per un incremento e un’accelerazione delle loro emissioni“, ha invece detto in chiusura di Conferenza il vicepresidente della Commissione europea, Frans Timmermans.

Vi chiedo di riconoscere che tutti abbiamo mancato nell’azione per minimizzare le perdite e i danni – ha proseguito Timmermans – avremmo dovuto fare molto di più, e questo vuol dire ridurre le emissioni molto più rapidamente. Noi abbiamo cercato di portare tutti sull’obiettivo di 1,5 gradi, sul picco delle emissioni al 2025 e su una chiara intenzione di eliminare i combustibili fossili. Questa settimana abbiamo sentito 80 paesi sostenere questi obiettivi. Tristemente, non li vediamo riflessi qui. Alcuni hanno messo barriere non necessarie sulla strada verso la decarbonizzazione”.

Il fondo “Loss and damage”

Di fatto, l’unica novità è l’istituzione di un fondo per i ristori delle perdite e i danni del cambiamento climatico nei paesi più vulnerabili, assieme ad un sistema di primo allarme per gli eventi meteorologici estremi in tutti i paesi del mondo.

Il fondo in questione dovrebbe diventare operativo a fine 2024, e già si stima che le risorse necessarie a riparare i danni e le perdite potrebbero arrivare a circa 380 miliardi di dollari.

C’è da chiedersi, si istituisce un fondo per i Paesi più vulnerabili (e bisognerà vedere chi per davvero ci metterà le quote promesse) e non si fa nulla per ridurre concretamente l’impiego dei combustibili fossili, ma come si pensa di affrontare le minacce sociali ed economiche legate al clima che cambia e al surriscaldamento globale seguendo una linea politica così debole?
Chi sono questi Paesi destinatari delle presunte risorse? Chi i donatori?

La questione cinese

La road map per raddoppiare i finanziamenti globali per gestire l’adattamento” ai cambiamenti climatici “non è ancora chiara” e questo “non favorisce la costruzione della fiducia reciproca tra il nord e il sud”, ha detto la portavoce del ministero degli Esteri cinese Mao Ning, riferendosi al fondo in questione, secondo quanto riportato da askanews.it.

La Cina, inoltre, ha chiesto di non esser più inserita nella lista dei Paesi in via di sviluppo, visto che ormai è la seconda potenza economica globale, oltreché il Paese più inquinante al mondo con il 31% del totale delle emissioni di carbonio.

Il problema, sollevato da molti, è che quando si parla di soldi sono tutti d’accordo, poi quando è il momento di tirarli fuori i portafogli non si aprono. Nel 2009 si stabilì di raccogliere 100 miliardi di dollari l’anno fino al 2020, per favorire l’adattamento dei Paesi più poveri ai cambiamenti del clima, ma l’obiettivo non è stato mai raggiunto.

Nel 2021 ci si era fermati a 83 miliardi, secondo quanto riportato dalla rivista online Il Bo Live dell’Università di Padova, mentre entro il 2030 si stima che i finanziamenti necessari all’adattamento e alla mitigazione a livello globale dovranno essere almeno 2.000 miliardi di dollari.

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