Il ministro Giovannini: “Siamo indietro rispetto alla COP21”
La COP26 di Glasgow entra nella fase finale dei lavori. C’è da integrare le proposte delle parti nel documento finale, limare le differenze, trovare la quadra delle esigenze e gli interessi di fondo. Tutti i Paesi del mondo, a parole, sono a favore di un pianeta più pulito e meno caldo, ma le priorità non sempre sono orientate ad una concreta azione climatica.
Se n’è accorto anche il nostro ministro delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili, Enrico Giovannini, che ha dichiarato a Sky TG24, che “siamo indietro, siamo in ritardo sugli impegni presi alla COP 21 di Parigi”.
Siamo in ritardo sugli obiettivi fissati nel 2015, figuriamoci cosa saremo in grado di fare con i nuovi, su cui si sta lavorando nel documento finale, di cui c’è già una bozza.
Se passi in avanti bisogna fare, ha spiegato il ministro, si facciano seriamente: “Tutti hanno capito che la crisi climatica non solo è un problema ambientale, ma anche sociale ed economico”, ha sottolineato Giovannini, secondo quanto riportato da Teleborsa.
“Ricordiamo che grandi imprese di assicurazione ormai non assicurano più contro rischi legati al clima. D’altra parte – ha sottolineato il ministro – sappiamo che l’inquinamento genera malattie gravissime, oltre che i disastri ambientali che conosciamo, con costi di ripristino”.
“Rispetto agli impegni di COP21 siamo indietro, siamo in ritardo, ed è per questo che il senso che deve emergere da questa COP è di accelerazione e non semplicemente di prosecuzione in una tendenza che non basta”, ha continuato il ministro.
I ritardi dell’Italia, le opportunità del PNRR
“L’Italia purtroppo, da questo punto di vista, ha un track record, una storia di mancati investimenti preventivi, e quindi paghiamo moltissimo i costi, se pensiamo solo al dissesto idrogeologico”, ha detto il responsabile del Mims.
Riferendosi alle politiche del suo ministero, Infrastrutture e mobilità sostenibili, e da quanto stabilito nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), Giovannini ha poi ricordato che in Italia c’è un problema di riconversione, soprattutto nel comparto dell’automobile.
“Con il PNRR investiamo svariati miliardi per la riconversione green degli autobus: non si finanziano più autobus diesel, e continueremo negli anni anche grazie a quello che stiamo mettendo in Legge di Bilancio proprio su questo tema”, ha affermato il ministro.
“A questo punto i produttori nazionali, che sono un po’ debolucci sotto questo aspetto, tanto è vero che gran parte degli autobus green vengono importati, hanno la possibilità di capire che nei prossimi dieci/quindici anni vi sarà una straordinaria opportunità di business per costruire in Italia, investire in tecnologie, per realizzare nel nostro Paese quello che oggi importiamo”, ha aggiunto Giovannini.
Climate Change Performance Index: l’Italia scende al 30° posto
Italia che occupa il 30° posto nella graduatoria del “Climate Change Performance Index”, a causa del rallentamento dello sviluppo delle rinnovabili e per una inadeguata politica climatica nazionale.
L’attuale Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC), d’altronde, consente un taglio delle emissioni entro il 2030 di appena il 37% rispetto al 1990.
È quanto emerso, in sintesi, dal rapporto annuale di Germanwatch, CAN e NewClimate Institute sulla performance climatica dei principali paesi del pianeta, realizzato in collaborazione con Legambiente per l’Italia.
“Il peggioramento in classifica dell’Italia – ha chiarito Mauro Albrizio, responsabile ufficio europeo di Legambiente – ci conferma l’urgenza di una drastica inversione di rotta. Si deve aggiornare al più presto il PNIEC per garantire una riduzione delle nostre emissioni climalteranti, in linea con l’obiettivo di 1.5°C, di almeno il 65% entro il 2030. Andando quindi ben oltre l’obiettivo del 51% previsto dal PNRR e confermando il phase-out del carbone entro il 2025 senza ricorrere a nuove centrali a gas”.
L’Italia ha a disposizione ben 70 miliardi, allocati dal PNRR per la transizione ecologica, da investire per superare la crisi pandemica e fronteggiare l’emergenza climatica, attraverso una ripresa verde fondata su un’azione climatica ambiziosa.
Più virtuosi gli scandinavi, maglia nera per Canada, Australia e Russia
Tornando alla classifica, ai primi posti troviamo i Paesi scandinavi, che guidano la corsa verso zero emissioni. Danimarca, Svezia e Norvegia si posizionano dal quarto al sesto posto, grazie soprattutto al loro grande impegno per lo sviluppo delle rinnovabili.
In fondo alla classifica troviamo, invece, Paesi esportatori e utilizzatori di combustibili fossili come Arabia Saudita, Canada, Australia e Russia.
La Cina, che è il maggiore responsabile delle emissioni globali, scivola di quattro posizioni al 37° posto. Ancora più indietro si piazzano gli Stati Uniti, secondo emettitore globale, che troviamo al 55° posto.
Tra gli altri Paesi del G20, solo Regno Unito, India, Germania e Francia si posizionano nella parte alta della classifica. L’Unione Europea scivola di sei posizioni al 22° posto, soprattutto per la pessima performance di Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovenia, che si posizionano in fondo alla classifica.