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Addio fusioni nelle tlc? Ma così la tenuta del settore è a rischio

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Il conflitto in essere tra concorrenza e investimenti sta avendo effetti tangibili sulla competitività delle tlc Ue, sollevando forti dubbi sulla futura sostenibilità del settore.

Il pollice verso della Ue alla fusione tra 3UK e  O2 evidenzia ancora una volta il conflitto in essere tra concorrenza e investimenti: la prima è, ovviamente, priorità dell’Antitrust europeo guidata da Margrethe Vestager; i secondi sono urgenti per far sì che l’Europa recuperi il gap infrastrutturale rispetto ad Asia e Usa, ma – sostengono gli operatori – non sono sostenibili perché non c’è prevedibilità delle regole e le dimensioni delle telco europee sono troppo ridotte per beneficiare delle economie di scala.

Hutchison, dal canto suo, non si da per vinta: farà ricorso contro la decisione di Bruxelles, visto che su altri mercati – Irlanda, Germania e Austria –  la riduzione da 4 a 3 operatori è stata approvata.

“Studieremo la decisione della Commissione in dettaglio e considereremo le nostre opzioni, compresa la possibilità di una battaglia legale”, fa sapere Hutchison.

Hutchison ribadisce poi che si concentrerà ora “sul lavoro con la Commissione per l’autorizzazione della nostra proposta di fusione con Wind e 3 Italia e continuerà a perseguire la propria strategia di portare valore al gruppo”.

Resta il fatto che il conflitto tra la lotta contro un aumento dei prezzi dei servizi mobili e la necessità di investire nelle reti sta avendo effetti tangibili sulla competitività del settore europeo delle telecomunicazioni, sollevando forti dubbi sulla sua futura sostenibilità.

I prezzi praticati ai consumatori europei e, quindi, i ricavi degli operatori sono in calo da anni sia per i diversi interventi regolamentari – dai tagli alle tariffe di terminazione a quello del roaming – sia per effetto della forte concorrenza tra operatori e con i servizi OTT, da quelli di messaggistica istantanea (da Whatsapp a Facebook Messenger) a quelli per le chiamate (come Skype).

Allo stesso modo, la capitalizzazione dei principali gruppi tlc del Continente è scesa inesorabilmente, tranne che per qualche eccezione. Tra il 2006 e il 2016, ad esempio, la market cap di Vodafone è passata da 78 a 59 miliardi di euro. Quella di Telefonica (che controlla O2) da 64 a 47 miliardi. Quella di Orange da 47 a 39 miliardi.

Unici in controtendenza la tedesca Deutsche Telekom (da 58 a 72 miliardi) e l’ex monopolista britannico BT, passata da 18 a 44 miliardi, ma rientrata solo di recente sul mercato mobile in seguito all’acquisizione del primo player mobile britannico EE, nato da una joint venture tra Orange e Deutsche Telekom.

Il tutto mentre cresce la necessità di investire nella banda larga mobile – 4G e, in futuro, anche  5G – e nella fibra ottica.

La soluzione, per gli operatori europei sembrava semplice: unire le forze all’interno dei mercati per ottenere una maggiore forza finanziaria. L’ex Commissario antitrust Joaquin Almunia sembrava aver colto l’appello delle telco e aveva approvato, seppur a fronte di rigidi paletti, una serie di operazioni che hanno riportato a 3 il numero di player in Austria, Irlanda e Germania con le fusioni, rispettivamente tra Orange Austria e 3 (2012), O2 e 3 Ireland (2013) e O2 ed ePlus (2013)..

Sulla scia di queste approvazioni, sono state subito proposte simili operazioni in Francia, Regno Unito e Italia.

Ma la nuova responsabile antitrust ha invertito del tutto rotta e spento le speranze di consolidamento.

Il primo segnale è stata l’archiviazione della proposta di fusione tra Telenor e TeliaSonera in Danimarca: troppo severe le misure che la Ue avrebbe voluto imporre. Tanto severe da inficiare i vantaggi dell’operazione, hanno spiegato le due società, che quindi hanno deciso volontariamente di mandare a monte il matrimonio.

Il caso danese era particolare, si era detto, perché avrebbe portato alla creazione di un gruppo dalle dimensioni troppo grandi per un mercato relativamente piccolo. La Vestager aveva quindi cominciato a ripetere in diverse occasioni che ogni caso è un caso a sé stante e che non ci sono numeri magici né soluzioni adatte a tutti i mercati. Lo ha fatto anche ieri, facendo tirare un sospiro di sollievo a Wind e 3 Italia, su cui la Ue si dovrà pronunciare ad agosto, al termine di una indagine approfondita aperta dopo aver evidenziato il rischio di un possibile aumento dei prezzi e un calo degli investimenti nelle reti di telecomunicazioni mobili.

Gli stessi dubbi che hanno portato alla bocciatura del merger tra 3Uk e O2.

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